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restonne sul colpo estinta. Di queste cose facevano gli Orsini a quei tempi.

Divulgatosi il fiero caso e l' orribile attentato, tutta la città si mosse a romore. I rettori fecero incontanente serrar le porte, custodire i passi, visitare i monasteri per pigliar gli assassini. I decemviri mandarono Alvise Bragadino, inquisitore di stato a Padova, acciocchè con Andrea Bernardo, podestà del luogo, e Lorenzo Donato, provveditore, vedesse, che un pronto castigo la scelerata opera seguitasse. Citarono Lodovico Orsini, ma egli non solamente fattosi contumace, ricusò di comparire, ma fortificatosi co' suoi sgherri in casa, faceva le viste di voler resistere alla giustizia. Chiamato più volte all' obbedienza, minacciava in luogo d' obbedire. Un' arroganza pazza, frutto di una naturale ferocia e del delitto, gli aveva tolto l' intelletto. Condussersi i cannoni, ai primi colpi andò per terra il muro. L' Orsino preso, fu strozzato in carcere. Tre ore ebbe di respitto dalla sentenza alla morte, scrisse alla moglie confortan dola, legò al senato le sue armi di squisito lavoro, che furono appese nella sala dei decemviri.

Io vo continuando in raccontare le pazzie crudeli dell' età. Lacerati nella funesta notte di San Bartolomeo gli ugonotti in Francia, risorsero più fieri e più feroci che per lo innanzi. Il regno era stracciato in ogni suo membro con incredibile furore, per soprassoma di tante disgrazie le armi forestiere stavano in punto di mescolarsi colle nazionali. Il giovane principe di Condè ritiratosi in Germania, sollecitava ajuti

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dai principi protestanti. Da un'altra parte i cattolici avevano intendimento col re di Spagna per chiamare in Francia a sostegno loro le milizie di quel reame. Il re di Navarra non curando la sua promessa di aderire alla fede cattolica, siecome quella, che era stata fatta per forza, se n'era fuggito dalla corte, e andatosene a reggere le forze de' suoi consettarj divenute formidabili nelle province meridionali ed occidentali. La regina madre, ed il re medesimo, che vedevano crescere in modo tanto pericoloso per l'accessione del re di Navarra, giovane di virile spirito e molto amato dai soldati per la sua natura vivace e graziosa, la fazione contraria, e che da un altro lato temevano della parte cattolica per avere per capi i Guisa, principi ragguardevoli tanto per ambizione, quanto per valore, si deliberarono di venire a qualche termine d'accordo con facilitare l'esercizio della religione riformata. Così dopo la carnificina, con cui la corte aveva creduto di distruggergli, e dopo la uccisione dei loro primi capi, i protestanti conseguirono più di quanto avessero mai ottenuto, e forse sperato. Fu concessa ai riformisti senza eccezione di tempi e di luoghi piena libertà di coscienza, con la facoltà di erigere seminarj, e celebrare matrimonj, congregarsinodi, amministrar sacramenti nell' istesso modo che alla religione cattolica era concesso. Si permetteva a tutti della medesima religione il poter esercitar cariche, ufficj e dignità di qualsivoglia sorte senza quella distinzione e precedenza de' cattolici, che s' era osservata per lo passato. Si prometteva di stabilire una

camera di giudici in ogni parlamento, che mezzi dell'una e mezzi dell'altra religione dovessero giudicare le cause de' riformisti. Si concedevano otto città ai principi di Borbone per la loro sicurezza sino all' intiera e perfetta esecuzione degli articoli.

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La parte cattolica sentì con grandissimo sdegno questa pace coi loro avversarj, pace, che essendo già la quinta in numero, non partorì nè migliori, nè più stabili frutti delle precedenti. Erano le cose in Francia in questa condizione, che sbandita ogni equità, quando si favoriva una parte, l'altra si offendeva, il governo non era abbastanza forte per domarle ambedue', e di una sola non si poteva fidare, perchè sì l'una che l'altra volevano cambiare il favore in padronanza.

I cattolici, considerata l'enorme depressione in cui veniva posta la loro parte pei capitoli accordati coi protestanti, fecero una risoluzione di estremo

la

momento, e di grandissima ruina per loro e per Francia; questa fu di collegarsi per mettersi in grado di resistere non solamente alla parte contraria, ma al governo stesso, ove egli non volesse ciò, che essi volevano. Il fine loro era ancora, in apparenza, di proteggere la religione cattolica, e d'impedire, che il re di Navarra chiamato alla corona dopo la morte di Enrico III, da cui non si sperava prole, come eretico non la cingesse, in sostanza per altri più veri̟ e più reconditi pensieri, cioè perchè chi era suddito, diventasse sovrano. Il duca di Guisa era promotore e capo di questa colleganza, divenuta poi famosa e di

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funestissimo esempio al mondo sotto nome di lega. I collegati promettevano e giuravano di voler tornare la religione cattolica in tutto il suo splendore, integrità, preminenze e privilegi; di conservare il re Enrico III, e i suoi successori cristianissimi in tutta la loro autorità; d'impiegare in caso che vi fosse impedimento, opposizione o ribellione, fosse da chi si volesse, tutti i loro beni e sostanze, e le loro proprie persone sino alla morte, per punire, castigare e perseguitare gli oppositori; se alcuno de' collegati o loro sudditi, amici e dipendenti fossero molestati, oppressi o ricercati per cagione della lega, fosse da chi si volesse, d'impiegare le loro persone ed averi per farne vendetta; se alcuno dei collegati dopo d'essersi unito con giuramento a questa confederazione, se ne partisse, di offendergli nei loro corpi e beni in tutti quei modi, che si potrebbero pensare, come nemici di Dio, ribelli e perturbatori del pubblico riposo.

Credo, che scrittura più audace e più ipocrita di questa, imperciocchè per iscritto si obbligarono, non sia mai uscita da uomini, comunque disordinati, ed ambiziosi si vogliano; perchè dall' un de' lati facevano sembianza di voler conservare l'autorità del re, dall' altro gliela levavano, trasportandola, in certi casi, in se medesimi, ed obbligandosi anche ad usarla contro di lui, quando i detti casi occorressero; perciocchè ciò appunto significavano quelle parole, che si dovessero armare contro gli oppositori, fossero chi

volessero.

L'ardire veniva loro, oltre che erano uomini ambiziosissimi ed usi alle guerre, da fomento esterno. Il papa Gregorio XIII, trattati a Roma gl'interessi di questa unione dal cardinale di Pellevè, antico allievo della casa di Guisa, dopo qualche perplessità, e sebbene non assentisse ad un' aperta protezione, l'appruovò; il che aggiungeva gran nervo ai collegati, perchè i più fra i medesimi, ignorando le passioni ed interessi dei capi, stimavano, ch' ella non avesse altro fine che la purità della fede, e la opposizione alle nuove dottrine ed usi dei riformati.

Da un'altra parte il re Filippo aveva caro, che la Francia si trovasse disordinata, stante che ella travagliando dentro, non poteva fuori tener in bilancio lo stato d'Europa, nè fargli quella opposizione, che l'imperatore suo padre aveva avuto dal re Francesco e dal re Enrico II. Perciò andava, quanto poteva più, con mezzi e palesi e secreti infiammando gli spiriti, anzi ajutava di contanti il duca di Guisa, divenuto suo pensionario. Prometteva anche sussidj di gente armata, ove il bisogno ne fosse venuto. Così i calvinisti di Francia chiamavano a' danni della loro patria la potenza della regina d'Inghilterra, e dei principi protestanti di Germania, i cattolici quella del re Filippo.

Da questa debolezza della Francia pativano molto svantaggio i principi d'Italia, perchè mancando il solito contrappeso di quella corona, erano costretti a dipendere intieramente dalla volontà del re Filippo. Mancando eglino di forze proprie sufficienti, non

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