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facinorosi divisi in parecchie masnade. Ma vinse la costanza e la destrezza di Clemente, ajutata dalle diligenze di Venezia e di Toscana, e dalla efficace cooperazione del padre Toledo, già innalzato alla dignità cardinalizia.

Il giorno decimosesto di settembre del 1595 il papa pontificalmente si trasferì, con tutti i cardinali, nel portico di San Pietro, ove sedendo sul trono apparecchiato a quest' effetto, comparirono il du Perron ed Arnaldo d' Ossat, mandatarj del re in abito di semplici sacerdoti con la supplica in mano, che consegnarono al segretario del Sant' Ufficio. Questi stando a piedi del trono, lesse il decreto del pontefice, il quale statuiva ed ordinava, che Enrico di Borbone, re di Francia e di Navarra, dovesse essere assolto dalle censure, ed accettato nel grembo della chiesa. Seguitarono le condizioni e le penitenze, che il re doveva consentire a fare; che s'introducesse nel ducato di Bierna la religione cattolica; che il principe di Condè si desse ad allevare a cattolici; che il re dovesse nominare alle prelature persone cattoliche e di vita esemplare; che restituisse i beni tolti alle chiese ed ai luoghi pii; che eleggesse ai magistrati persone non sospette d'eresia; che non favorisse gli eretici; che non gli tollerasse se non in quanto non si potesse fare senza tumulto e senza guerra; che si accettasse il concilio di Trento in tutto il regno di Francia, eccetto nelle cose, che potessero perturbarlo, delle quali lo dispenserebbe il pontefice. Queste furono le condizioni; le peni

tenze, che il re ogni domenica e ogni giorno di festa udisse messa conventuale nella cappella regia o in altra chiesa; che, secondo l'uso dei re di Francia, ogni giorno sentisse messa; che alcuni giorni della settimana dicesse certe orazioni; che digiunasse il venerdì e il sabbato; che pubblicamente si comunicasse quattro volte all' anno.

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I procuratori regj accettarono le condizioni, e di poi inginocchiatisi alla porta del tempio di San Pietro, abjurarono ad alta voce Peresie contenute in una scrittura; finita la quale abjurazione, dal cardinale Santa Severina, sommo penitenziere, tocchi sul capo colla solita verga, riceverono l'assoluzione. A tale atto si aprirono le porte di San Pietro, e tutto il tempio risuonò di lietissime voci musicali; il castello di Sant' Angelo, con tutta l'artiglierìa rimbombando, diede segno di festa e d'allegrezza. I procuratori, vestiti coll'abito delle loro prelature, assisterono alla messa nel luogo solito degli ambasciatori di Francia; la qual finita, si trasferirono a San Luigi, chiesa della nazione, ove furono duplicate le feste, sentendone infinito contento la corte ed il popolo Romano, essendo questo inclinato a favore dei Francesi, e godendo della riunione di un regno così nobile e principale. Per tal modo racconta il Davila una solennità tanto inudita, quanto grave, e piena di accidenti di somma importanza. Il pontefice deputò legato in Francia il cardinale Alessandro de' Medici. Tutta l'Italia si scosse con giubbilo a così

III.

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gran novella, e già vedeva nel monarca Francese lo scudo della sua libertà.

Non fu minore l'allegrezza in Francia per così ponderosa riconciliazione, e tale fu l'effetto, che vi produsse, che già le cose inclinavano in ogni luogo alla perfetta pacificazione del regno.

FINE DEL LIBRO DECIMOQUARTO.

LIBRO DECIMOQUINTO.

SOMMARIO.

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ANIMOSITA tra il duca di Savoja ed il gran-duca di Toscana; questi turba a quello la conquista di Marsiglia. Guerra in Piemonte. Come Ferrara diventi possessione della santa sede. Pace di Vervins. Come Saluzzo sia aggiunto agli stati del duca di Savoja. Viaggio di Carlo Emanuele a Parigi, e ciò, che il sup vivido e torbido spirito gli suggerisce. Trattato di Lione tra Francia e Savojà, e suoi effetti in Italia. Congiura terribile di alcuni frati in Calabria. Carlo Emanuele, impaziente di riposo, tenta un assalto notturno contro Ginevra, e quel, che ne avviene. Moti in Lunigiana. Si volta il discorso alla repubblica dei Grigioni con descrizione delle fazioni, che vi regnavano. Morte di Clemente, ed assunzione di Leone XI, il quale dopo un regno di pochi giorni è tolto di vita, e viene esaltato in suo luogo Paolo V. Questi è d'umore Caraffesco, ed ha una grave discordia colla repubblica di Venezia. Come bene la repubblica difenda i dritti del principato. Ragioni addotte da ambe le parti. Decreto del senato contro i gesuiti. Fine del litigio. Amarezze, che vengono al papa dall'Inghilterra. Morte di Ferdinando, gran-duca di Toscana. Sue qualità ed azioni. Sdegni di Carlo Emanuele contro Spagna. Si congiunge col re Enrico di Francia contro l' Austria per mettere in un nuovo sesto l' Europa. Ma la scelerata mano di Ravaillac, con troncare il filo della gloriosa vita d' Enrico, interrompe ad un tratto gli altissimi disegni.

TORNANDO all' Italia, la guerra romoreggiava sulle sue frontiere verso la Francia. Mentre Venezia se ne stava, nè d'altro ajutava questa parte o quella che di buoni consigli, mentre il papa andava procrasti

nando la benedizione del re di Francia, due principi Italiani gareggiavano fra di loro, l'uno per sostenere gl'interessi del re Filippo, l'altro per dar favore a quei di Enrico, quello per accrescere la sua potenza, questo per conservarla. Il duca di Savoja si dimostrava molto sdegnato contro il gran duca di Toscana, massimamente per avergli attraversata la conquista di Marsiglia, che era il nervo di tutta l'impresa per escludere totalmente i Francesi dall'Italia. Nè in fatti solamente si manifestava l'animosità dell' un principe contro l'altro, ma anche in acerbe parole, volendo sfogarsi entrambi dell' interna alterazione, prorompeva. Ferdinando chiamava Carlo Emanuele spirito torbido, inquieto, non buono ad altro che a fare ammazzar uomini in guerra, servo di Spagna. Carlo Emanuele chiamava Ferdinando banchiere, principe di mercanti, scritturale pigro, inventore d'intrighi imbelli, servo di Francia.

Quest' inimicizia, le arti cupe di Spagna, i successi diversi e lo scompiglio di Francia, intralciarono d' assai i movimenti di Provenza e di Piemonte. Monsignore della Valetta, governatore a nome del re della prima di queste province, l'aveva difesa anche coi denari e forze proprie contro le armi del duca di Savoja; e sebbene non avesse potuto impedire qualche progresso al nemico, ciò aveva però conseguito, che le insegne del re non ne fossero cacciate del tutto, e che ancora sventolassero a Tolone ed in altri luoghi non poco importanti. Ma essendo stato ucciso d'una moschettata, mentre batteva Roccabruna, terra, che

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