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cessavano dal desiderio di mescolarvisi: forse sarebbe stato pericoloso il lasciargli posare. Quella vasta mole Francese pure testè ed a grave stento in se medesima rassodata ed alla quiete disavvezza, avea bisogno di muoversi : se nol faceva fuori, sovrastava pericolo, che il facesse dentro. Grand' arte per chi governa uomini, massime Francesi, è d'occupargli. L'ozio muove le lingue, le lingue le passioni, le passioni le armi. Enrico non mancava alla nazione, nè la nazione ad Enrico.

Presentavasi il re qual liberatore dei principi e dei popoli contro la tirannide, che sopra tutti pesava. Con questo nome in fronte allettava a se e chi generoso era e chi ambizioso. Trovava facilmente aderenza nei principi minori di Germania ancora memori della mano ferrea di Carlo V, ed ingelositi presentemente della potenza dei successori. Combattevano in lunga guerra i Batavi contro il superbo signore, desideravano i Tedeschi di combattere il consanguineo, volevano entrambi vedere la Gheldria, Cleves, Juliers, parte di Colonia, cambiar la signorìa Spagnuola in signoria Tedesca. A ciò prometteva di ajutargli Enrico. Tra chi prometteva e chi bramava libertà, fu facile l'accordo.

Ma veniamo all' Italia. Il papa vestiva sembianza di padre comune, e faceva mostra di volersene stare di mezzo. Ma nell'interno dell' animo suo era ben disposto verso i comodi pubblici, e la libertà d'Italia. Principalmente poi la resistenza, che incontrava nel Milanese e nel regno di Napoli ad allargare la potestà ecclesiastica, gli aveva fatto concepire pensieri sinistri

contro la Spagna. Ciò non fu nascosto al re Enrico, che tutto all' intorno stava guardando ed esplorando quali passioni sorgessero per farne il suo pro. Tentollo e guadagnosselo coll' asseverare l'impresa della comune libertà, e promettere ricchezze e stati a Scipione Borghese, suo nipote. Non dubitava delle intenzioni dei duchi di Mantova e di Parma; ma come gli conosceva deboli di forze, e da restare facilmente oppressi, se innanzi tempo si scoprissero, non gl'invitò al cooperare.

Venezia rispose colle solite protestazioni di voler la pace; ma il re non dubitava di averla per aderente, quando le si mostrasse quella preda di Cremona, della Ghiara d'Adda, e degli antichi porti di Puglia.

Enrico disperando dei consigli pubblici di Genova per essere in soggezione di Spagna, aveva pensato modo di rapire improvvisamente Savona per mezzo di un Danzer, Inglese, spaventevole pirata, che venuto con molte navi e grossa provvisione di denaro in Marsiglia, vi attendeva il tempo propizio per la sorpresa di Savona.

Principale momento nella gran macchina, che si andava preparando, doveva recare Carlo Emanuele di Savoja. Enrico rivoltosi al duca l'andava tentando, e teneva segrete pratiche con lui per mezzo principalmente del Lesdighieres, che più volte andò a trattare a Torino; e perchè queste pratiche per essere con un ugonotto, seguitando il capitano d' Enrico questa religione, non partorissero cattivi effetti sulla opinione dei popoli, narra il Sarpi, frate oltre ogni credere malizioso e mordace, quando tratta di Roma,

che il Lesdighieres ha promesso conversare papisti camente, e ne ha dato principio, avendo in compagnia l'amorosa; non vuol però messa. Pure, per dirlo anticipatamente, quel famoso guerriero del Delfinato, sul fine de' suoi giorni, volle anche messa, si fece cattolico, e morì coi frati a fianco.

Il fine di tutti questi negoziati era di fare un nuovo assetto di potenze in Italia con ingrandire Savoja a danno di Spagna. Il duca stette qualche tempo in forse, e pel suo soverchio acume d'ingegno in varj pensieri avviluppandosi, ora andava avanti, ed ora si tirava indietro senza deliberare risolutamente, se nell' antica amicizia di Spagna perseverasse, o se alla nuova di Francia si accostasse. La Francia lo adescava con le promesse di parentado, d'aumento di stati, di cooperazione attivissima. Il valore e la fama d'Enrico soprattutto il muovevano. Finalmente sollevato a nuove speranze, deliberò di non rifiutar l'occasione, di congiungersi con Enrico, e di seguitare la parte Francese.

ma

Enrico e Carlo strinsero non solo amicizia, parentado ed alleanza. In primo luogo si accordarono a Parigi, che il re di Francia darebbe in matrimonio la sua figliuola Cristina al principe Vittorio Amedeo con trecentomila scudi di dote. Prometteva inoltre una pensione di cinquantamila scudi allo sposo, una di trentamila al cardinale Maurizio, ed una finalmente di ventimila al principe Tommaso, altri due figliuoli di Carlo Emanuele. Queste cose convenute per fede in Parigi, si stipularono poi in debita forma in Brussolo, piccola terra poco distante da Torino,

pei plenipotenziarj d'ambe le parti. Quivi promulgossi il matrimonio tra Vittorio Amedeo e Cristina; poi vi si statuì la ragione di guerra. Oltre lo sforzo, che il re medesimo ingrossato dai confederati d'Inghilterra, d'Olanda, d'Alemagna, intendeva di fare nella bassa Germania, fu concordato, che il duca e Lesdighieres con trentaduemila fanti e cinquemila cavalli assaltassero lo stato di Milano, dei quali il duca doveva mettere in piè dodicimila dei primi, duemila dei secondi, i restanti il re pel mezzo di Lesdighieres.

Grande aspettazione certamente era sorta nel mondo, vedendo Carlo Emanuele e Lesdighieres, amendue riputati i primi capitani dell' età dopo Enrico, stati sino a quel dì terribili nemici l'uno all' altro, ora uniti ad una comune impresa. Fuentes non era uomo, certo di gran lunga, da poter ostare a due fulmini di guerra, quali il Delfinate ed il Piemontese

erano.

I premj della vittoria pel duca dovevano essere i seguenti: acquisterebbe in piena sovranità lo stato di Milano, trattone solamente il Cremonese, che si teneva in serbo come esca per Venezia. Acquisterebbe anche il Monferrato, e questi tre stati, vale a dire Piemonte, Milanese e Monferrato sarebbero dal papa eretti in regno sotto il titolo di reame di Lombardìa. Aveva il re domandata la Savoja in contraccambio del Milanese. Al che ripugnando il duca, convennero, che quando

stello di Mosse in possesso della città e ca

stello di Milano, consegnerebbe in mano della Francia, per essere demolita, la fortezza ed il castello di

Monmeliano. Medesimamente il duca non aveva voluto consentire ad un' altra richiesta del re, che desiderava, che per sicurezza sua e de' suoi in ogni caso di fortuna gli fossero dati in deposito la città ed il castello di Pinerolo. Vennero in sul temperamento, che Valenza ed Alessandria, quando si conquistassero e quando no, altre due città fossero lasciate in deposito del re, con ciò però che il duca ne conservasse la sovranità, e niun altro culto vi si esercitasse che il cattolico Romano.

di

Non mai la casa d'Austria si era trovata in così grave pericolo. Enrico colla sua mente pronta e vasta animava tutta la mole, traendo con se il pondo della Francia con quanto v'era in Italia, in Inghilterra ed in Germania di valoroso e di gagliardo. Capitani fortissimi, un Carlo Emanuele, un Lesdighieres, un principe di Nassau con esso lui concorrevano. Le sorti d'Europa stavano in pendente, ed in punto cambiarsi Ravaillac, abbominevole sicario, troncando con coltello una delle più gloriose vite, che siano state al mondo, spense ad un tratto e speranze e timori e disegni di chi gridava libertà, e di chi gridava imperio. Fu ucciso Enrico addì quattordici di maggio del presente anno 1610. Austria respirò per virtù di un coltello.

FINE DEL LIBRO DECIMOQUINTO,

E DEL TOMO TERZO.

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