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della chiesa si apparteneva. Si lamentavano ancora, che non si reprimesse l'autorità cardinalizia, divenuta, secondo la loro opinione, eccessiva.

Trattossi dell' ordine, ove furono proposti dogmi conformi alla dottrina cattolica. Sorse quivi una questione gravissima, e fu, che i vescovi siano instituiti da Cristo, e di ragione divina superiori ai sacerdoti. Gli Spagnuoli, massimamente l'arcivescovo di Granata, che in queste cose procedeva con maggior affetto degli altri, stavano pertinacemente nel partito affirmativo, per modo che se con questo si fosse ancor decretato, che anche la residenza era di ragione divina, i vescovi sarebbero stati altrettanti papi ciascuno nella sua diocesi, e poca autorità sarebbe rimasta al supremo pontefice; la pietra di San Pietro si sarebbe rotta, e l'edifizio religioso di Roma crollato.

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La maggior parte dei vescovi Italiani si contrapponeva a questa opinione volendo, che i vescovi non avessero altre facoltà se non quelle, che loro sono delegate dal pontefice Romano, vicario di Cristo; e che quantunque l'ordine fosse indelebile, la giurisdizione, cioè la potestà di governare una diocesi determinata, fosse caduca e mutabile secondo la volontà del papa; il che distruggeva affatto la dottrina, che la residenza sia di ragione divina. Questa ultima sentenza era principalmente sostenuta dai generali degli ordini religiosi, i quali, essendo i detti ordini immediatamente soggetti all'autorità papale, credevano nella difesa del papa consistere la propria; per

chè se una parte dell' autorità suprema del papa cadeva nei vescovi, diveniva chiaro, che qualche grande perturbazione sarebbe nata nel loro essere con venire in soggezione degli ordinarj; la quale cosa sommamente detestavano, parendo ai regolari un gran pri– vilegio quello di non dipendere se non da Roma.

Dimostrossi singolare in questa difesa del pontificato il generale de' gesuiti Lainez. Chiamò primieramente in testimonio Iddio, giudice dei vivi e dei morti, ch' ei parlava secondo coscienza; che tre volte era intervenuto in quel concilio sotto Paolo, Giulio e Pio; che mai non aveva profferita parola con inten➡ zione di adulare; che sempre aveva usata sincerità di favella, e che per lo innanzi sempre la userebbe; non aver cagione di operare in altra foggia, perciocchè nulla cercava, o sperava, o temeva. Dette queste magnifiche parole, e discussa la materia per certe gene ralità, entrò il Lainez a parlare sul punto della dottrina controversa, ed affermò, essere due le potestà, quella dell' ordine, l'altra della giurisdizione, la primą venire immediatamente da Dio, ed imprimersi nella consecrazione, la seconda non darsi nella consecrazione, ma in semplice commissione, ond' è, ch' ella si può comunicare ad ogni cherico minore, ed eziandio ad un laico; venire bensì quest' ultima anche dal cielo, come tutte le umane cose, ma mediatamente e per ministerio di chi è a ciò deputato, cioè del superiore; quella perciò essere invariabile, questa mutabile, e però potersi nei vescovi variare ed alterare dal papa, primo fonte, come vicario di Cristo, di ogni autorità

ecclesiastica, quantunque non a mero volere, ma per cagione ciò fare solamente potesse.

Il discorso del gesuita suscitò molto romore dentro e fuori del concilio, vociferando i contrarj, massime gli Spagnuoli, ch' ei volesse, con allargar di soverchio l'autorità del papa, mettere la chiesa in servitù. Fu ventilata questa grave materia in più congregazioni, nè il canone potè acconciarsi se non tardi e quando già erano arrivati in Trento i prelati di Francia.

Dava al papa non poco pensiero l'arrivo vicino di quei prelati, perchè dubitava, che o per opinione, se avessero in qualche parte sentito l'effetto delle predicazioni ugonotte, o per compiacere al governo desideroso di mansuefare con álcuna concessione i dissenzienti, portassero animo avverso alle prerogative della santa sede. Si sapeva di vantaggio, che il cardinal di Lorena, che già aveva posto piede in Italia per alla volta del concilio, nutriva degli strani pensieri, e si vantava di voler proporre molte riforme della Romana corte. Poi voleva, che in Francia si celebrassero le messe e gli ufficj in lingua Francese, e già nella sua diocesi di Reims faceva amministrare i sacramenti in quell'idioma, cosa detestata, nè senza ragione dal papa, perchè il celebrare i riti sacri in lingua volgare è un fare svanir quel rispetto e riveche a loro ne viene naturalmente dall' arcano, ed un far nascere discussioni pericolose per la fede nel volgo ignorante.

Pio

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, per non restare sprovveduto contro tanti

assalti, aveva fatto sue pratiche presso il re Filippo, la repubblica di Venezia, e gli altri principi Italiani, raccomandando loro la santa sede, e pregandogli d'ingiungere ai loro oratori in Trento di favorirla. Il quale ufficio avevano essi fatto molto volentieri, sebbene con poco frutto rispetto ai prelati Spagnuoli, che se ne stettero sempre ostinati nelle loro opinioni. Anche Cesare esortato dal papa si era scoperto benigno verso di lui a' suoi oratori; ma l'ottima volontà di Ferdinando non poteva essere di grande utilità; essendo al concilio pochi i prelati, che da lui dipendevano. Il papa si era volto eziandio al tener bene edificati i prelati Italiani sì col sovvenir di denaro i più bisognosi, come col lasciar loro travedere le grazie della corte, ove delle pontificie cose zelatori si dimostrassero. Per tale maniera si apprestava a sostenere gli urti; che prevedeva.

Stavasi in Trento in grande 'aspettazione per la venuta del cardinal di Lorena. Innanzi che si venisse alle faccende, usavansi i complimenti. Il papa aveva mandato ad incontrarlo a titolo d' onoranza Carlo de' Grassi, vescovo di Montefiascone, ed il cardinale essendo già arrivato a Peschiera, i padri del concilio, a sua petizione e per dargli satisfazione, intermisero sino al suo prossimo arrivo, le congregazioni, e pro rogarono una sessione già destinata. Egli finalmente in Trento arrivava verso mezzo novembre, dove fu ricevuto con isplendide dimostrazioni d' onore sì pel suo grado, sì per la grande entratura, che aveva nei negozj pubblici del suo paese, e sì per risguardo del

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re e della nazione potentissima, a nome di cui egli veniva. I legati non solamente gli mandarono all' incontro per lungo tratto le loro famiglie con molti vescovi, ma essi medesimi uscirono buon pezzo fuori di Trento e in abito da viaggio per dar ad intendere, che si erano mossi oltre la città per incontrarlo. I due primi legati il posero in mezzo, gli altri due e il cardinal Madruccio seguitavano dietro, e dopo essi gli ambasciatori ecclesiastici dell'imperatore e del re di Polonia, e cento ventuno prelati. Cavalcavano avanti gli ambasciatori laici di Venezia, di Francia e di Firenze. Vennero col cardinale quattordici vescovi Francesi, tre abbati e diciotto teologi, la maggior parte Sorbonisti, essi a spese del re, il che dimostra in quale onore fosse tenuta quella famosa scuola, gli altri condotti dai vescovi particolari.

Il Lorena dava già insin sul suo primo giungere benigne parole, e nei particolari ragionamenti avuti coi legati professava una grande riverenza verso la sede apostolica, una piena sommessione verso i legati, come ministri di lei, una umile ed ossequiosa divozione verso il presente pontefice; poi prendendo a discorrere delle faccende disse, che non conveniva al ben pubblico scemare, nè restringer punto l'autorità della sede di Roma o del pontefice; il qual concetto metteva fuori, sì perchè il consiglio regio gliel' aveva ordinato per timore, che se si calcasse contro l'autorità del sommo pontefice, egli serrasse il concilio, e sì perchè vedendo, che la dottrina dei protestanti tendeva alla democrazia, ed amando egli per

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