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razione pregiudiziale alla santa sede, perchè alcuni di loro per opinione, altri per gli stimoli di qualche sovrano, tutti finalmente per senso di loro medesimi, e per l'altezza d'animo, che acquistano naturalmente le assemblee numerose, sempre solite a presumere di se più del dovere, potevano facilmente desiderare di liberarsi dal freno del supremo pastore, con assumere una potestà quasi assoluta, ciascuno. nella sua diocesi. Si sapeva, che gli Spagnuoli massimamente nutrivano pensieri avversi, dei quali avevano già dati segni manifesti nelle due prime riduzioni. Nè era nascosto, che primo loro proposito erà, che si levasse dai decreti la clausola, che solo quelle materie si discutessero, che fossero proposte dai legati; dalla quale clausola affermavano essere offesa la libertà del concilio.

I Francesi poi principalmente davano timore di qualche novità, ove fossero venuti in Trento; imperciocchè in sul principio di questa terza adunata due prelati di quella provincia solamente erano concorsi. Temevasi, ch' eglino portassero tropp' oltre le dottrine sostenute dal clero di Francia, e conosciute sotto il nome di libertà della chiesa gallicana, fra le quali una specialmente era esosa a Roma, e quest' era, che il concilio fosse superiore al papa, e le sue decisioni riformare potesse. Nè il papa si fidava dei teologi sorbonisti, i quali necessariamente avrebbero accompagnato i prelati al concilio, e che si dimostravano aderenti alle dottrine gallicane, e volonterosi di emendazioni negli usi della Romana corte. Eravi

anche in ciò una gran necessità, per cui il papa s' insospettiva di Francia; perchè essendo allora questo regno in preda a gravissime discordie civili e religiose, si conghietturava, che il governo si potesse inclinare, per conciliarsi i dissidenti diventati molto potenti d'armi e di consiglio, a far loro concessioni in materia di religione, per cui l'autorità pontificale avesse a ricevere un grave pregiudizio.

Tutte queste cose molto bene considerate dal pontefice, e nei più segreti consiglj di lui diligentemente esaminate, il fecero venire in deliberazione di spingere al concilio quanti prelati Italiani più potesse, dai quali ragionevolmente poteva e doveva sperare appoggio ed assistenza. La corte Romana non solamente era fonte di grassi proventi per l'Italia, parte dei quali ridondava in utile personale di non pochi prelati Italiani, ma era ancora ornamento e sussidio di potenza per quella provincia derelitta e privata già da lungo tempo della forza, che danno le armi. Confidavasi, che oltre i vantaggi, che derivavano ai prelati Italiani dall' autorità e splendore di Roma, l'amore di patria avrebbe operato in loro per mantener vivo nel cuore di lei quel fonte proficuo e glorioso.

I principi Italiani stessì secondavano questi pensieri sì pei medesimi motivi, e sì ancora pel miserabile spettacolo, che pure testè aveva rappresentato la Germania, e che di presente rappresentava la Francia, per essersi l'una e l'altra dipartite dall' antica fede dei loro maggiori. Pareva loro, che coll'

unità della fede andasse congiunta la sicurezza dello stato, e che le novità religiose traessero con se il seguito di novità pregiudiziali all' autorità propria, ed alla quiete e felicità dei popoli. Già suonavano sull' alte cime dell'occidentale Italia le gridå e le armi di coloro, che contro l'antica religione combattendo, avevano anche levate le mani ed alzate le insegne contro l'autorità regia. Da un altro lato sanguinosa era la Germania per le recenti ferite, i suoi gemiti e i suoi lamenti avvertivano gl' Italiani, e coloro massimamente, che fra essi tenevano lo stato, che dalle menti mosse per motivi di religione nascono le ribellioni, dalle ribellioni le guerre, e dalle guerre tutta l'orribile accompagnatura degli strazj, delle morti, degl' incendj, e delle devastazioni. Siccome poi le nuove opinioni ferivano principalmente l'autorità papale, così stimavano, che in quel gran conflitto fosse da ajutarsi il papa, divenuto per la necessità dei tempi radice e puntello dell' autorità e potenza loro. Le passate tribolazioni di Carlo V imperatore, le presenti di Francesco II e di Carlo IX re di Francia, erano una terribile ammonizione pei principi Italiani. Ciò scorgevano, ciò sentivano, specialmente la repubblica di Venezia, il duca di Savoja, ed il governatore di Milano, che vedevano ardere i paesi vicini, anzi già le faville annunziatrici di maggiori fiamme avevano passate le Alpi il fuoco era acceso nelle Valdesi valli, Pietro Paolo Vergerio, prima ardentissimo cattolico, poi ardentissimo protestante, uomo assai dotto, ma di dottrina torbida e di natura ambi

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ziosa, l'accendeva nella Valtellina. Nel Friuli stesso si sentivano i cupi romori dell' eretica invasione.

Mossi adunque i principi d'Italia da queste gravissime considerazioni, seguitando i consigli del pontefice, s'ingegnavano con esortazioni e comandi di mandare a Trento quanti più dei loro prelati potessero. Principale fondamento faceva il papa sopra la repubblica di Venezia, i cui prelati erano i più numerosi, e del tutto liberi dalle influenze di Spagna. In fatti il senato si dimostrò molto curante di questo negozio, e il pontefice molto si lodò di lui, facendone anche dimostrazione pubblica.

Erano i legati giunti in Trento, e con loro buon numero di vescovi con alcuni abbati di mitra, ed i generali degli ordini religiosi. Aprivasi con solenne rito il concilio il dì diciotto di gennajo, celebrandosi in quel giorno la prima sessione dopo la riassunzione, o la decimasettima, dappoichè il concilio era stato intimato ed aperto da Paolo III. Vi si noveravano cento dodici mitrati, oltre ai cardinali. Sovrastavano i legati in sedie di velluto poste sopra un palco rilevato nel mezzo della cattedrale di Trento, dove si tenevano le sessioni. Presso a loro aveva luogo il cardinal Madruccio, come principe della città. Dal lato destro in seggi più bassi vedevansi gli oratori ecclesiastici de' principi laici, conciossiacosachè non sia da tacersi, che parecchi principi per ischivare le contese delle precedenze, mandavano oratori ecclesiastici, i quali sedevano non per ordine della dignità del mandatore, ma secondo la dignità, ch'essi mede

simi possedevano nella chiesa. Dal lato sinistro sedevano gli oratori secolari. Fra i prelati avevano il primo luogo i patriarchi, appresso gli arcivescovi, indi i vescovi secondo l'antichità delle sedi loro. Continuavano gli abbati di mitra, e dopo questi i generali delle famiglie religiose, constituiti nell'ultimo grado fra chi possedeva voce giudicativa.

Ardua cosa era il dar luogo al Lainez, generale dei gesuiti, perchè per antichità doveva, ma per sentimento di se medesimo e della società, cui rappresentava, non voleva esser l'ultimo fra i compagni. Trovossi per temperamento, che sedesse in un luogo a parte, e fuori dell' ordine. Il che il Sarpi attribuisce a superbia, il Pallavicino a modestia, come se maggior modestia non fosse statą, posciachè per ordine di antichità si sedeva, il contentarsi di sedere l'ultimo fra i suoi pari che farsi scorgere in luogo appartato ed insolito.

Dettasi la messa per l'invocazione dello Spirito Santo, il vescovo predicante, che fu quel giorno Guasparre del Fosso, frate Minimo, arcivescovo di Reggio, chinatosi ginocchione avanti ai legati, e pigliata di loro mano una carta, dov' erano scritti i decreti da proporsi, poscia salito sul pulpito ad alta voce gli leggeva, e questo rito si osservava in tutte le sessioni. Poi disse:

« Illustrissimi e riverendissimi signori, ed amplis<< simi padri, vi piace a laude e gloria della santissima <«<ed individua Trinità padre., figliuolo e spirito « santo, e ad aumento ed esaltazione della fede e

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