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sci, e ritengono la signoria. E diceva, che dopo la cacciata de' re erano stati creati magistrali patrizii, poscia i plebei, dopo l'appartamento della plebe. Domandavali poi di che parte essi fossero? se popolare, che avessero eglino fatto mai, mediante i consigli del popolo: se degli ollimali, in che modo? essendo già quasi un anno intero che mai non avessero ragunato il senato, ed ora averlo ragunato in modo, che non si parli della repubblica. Non confidate troppo nell'altrui timidità, perchè oramai agli uomini paiono più gravi le cose che patiscono, che quelle che temono di patire.

XL. Haec vociferante Horatio, quum decemviri XL. Dicendo Orazio queste cose ad alta voce, nec irae nec ignoscendi modum reperirent, nec, non trovavano i dieci modo nè di potersi adiraquo evasura res esset, cernerent; C. Claudii, qui | re, nè di perdonare, nè conoscevano ove la cosa patruus Appii decemyiri erat, oratio fuit, precibus avesse a riuscire. L'orazione di C. Claudio (che quam iurgio similis, orantis per sui fratris paren- era zio di Appio decemviro) fu più simigliante ai tisque eius Manes, ut civilis potius societatis, in pricghi, che a reprensione; pregandolo per l'aniqua natus esset, quam foederis nefarie icti cum ma del suo fratello, e padre di lui, che si ricorcollegis, meminisset. Multo id magis se illius dasse più tosto della società civile nella quale causa orare, quam reipublicae. Quippe rempu- era nato, che della nefanda cospirazione e lega blicam, si a volentibus nequeat, ab invitis ius fatta coi suoi compagni; dicendo, che lo pregava expelituram. Sed ex magno certamine magnas mollo più per amore di lui, che della repubbliexcilari ferme iras; earum eventum se horrere. ca: perchè la repubblica, s'ella non ollenesse le Quum aliud, praeterquam de quo retulissent, de- sue ragioni da quelli che volessero, le richiederà cemviri dicere prohiberent, Claudium interpel- e ricercherà per forza da quelli che anche non landi verecundia fuit. Sententiam igitur peregit, volessero. Ma che di una grande contesa le più nullum placere senatusconsultum fieri. Omnesque volle si eccitava grandissimo sdegno: e perciò si ita accipiebant, privatos eos a Claudio iudicatos: raccapricciava per lo spavento del fine che di multique ex consularibus verbo assensi sunt. Alia quel dovesse seguire. Avendo vietato i dieci che sententia, asperior in speciem, vim minorem ali- si trattasse di altro, che di quello che eglino stessi quanto habuit, quae patricios coire ad prodendum avean proposto, ebbero pure rispetto, e vergointerregem iubebat: censendo enim, quoscunque gnaronsi di rompere le parole di Claudio, tanto magistratus esse, qui senatum haberent, iudica- ch'ei finì di dire il suo parere concludendo, che bant; quos privatos fecerat auctor nullius senatusnon gli piaceva che 'l senato facesse alcuna deliconsulti faciendi. Ita labente iam causa decemvi- berazione; per il che ognuno ripigliava le parole rorum, L. Cornelius Maluginensis, M. Cornelii de sue in questo modo, che concludendo ei giudicemviri frater, quum ex consularibus ad ultimum casse che i dieci fossero prívati cittadini, e molti dicendi locum consulto servatus esset, simulando uomini consolari si conformarono alla sua opiniocuram belli, fratrem collegasque eius tuebatur, ne. Un altro parere il quale voleva che i Padri si raquonam fato incidisset, mirari se dictitans, ut gunassero a fare uno interrege, più aspro in appadecemviros, qui decemviratum pelissent, aut so- renza, ebbe alquanto minor forza; perciocchè quecii, aut hi maxime oppugnarent? aut quid ita, sto parere veniva ad approvare per veri magistrati quum per tot menses vacua civitate nemo, iusti- (qualunque si fossero) quelli che per deliberare ne magistratus summae rerum praeessent, con- ragunassero il senato, i quali chi era stato consitroversiam fecerit; nunc demum, quum hostes gliatore che non si dovesse fare alcuna deliberaprope ad portas sint, civiles discordias serant: zione, aveva dichiarato ch' erano uomini privati. nisi quod in turbido minus perspicuum fore pu- Così cominciando già la causa de' dieci balenando tent, quid agatur. Celerum neminem, maiore a piegare, L. Cornelio Maluginense, fratello di cura occupatis animis, verum esse, praeiudicium M. Cornelio, essendo stato in pruova, tra gli uo rei tantae afferre. Sibi placere, de eo, quod Va-mini consolari, riservato all'ultimo a parlare, finlerius Horatiusque ante idus maias decemviros gendo di tener gran cura della guerra, difendeva abisse magistratu insimulent, bellis, quae immi- | in fatto il fratello ed i compagni, dicendo come neant, perfectis, republica in tranquillum reda-mollo si maravigliava, non sapendo per qual

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cta, senatu disceptante, agi: el iam nunc ila se parare Ap. Claudium, ul comitiorum, quae decemviris creandis decemvir ipse habuerit, sciat sibi rationem reddendam esse, utrum in unum annum creati sint, an donec leges, quae deessent, perferrentur. In praesentia omnia praeter bellum omitti placere: cuius si falso famam vulgatam, vanaque non nuntios solum, sed Tusculanorum etiam legatos, attulisse putent, speculatores mittendos censere, qui certius explorata referant: sin fides et nuntiis et legatis habeatur, delectum primo quoque tempore haberi; et decemviros, quo cuique eorum videatur, exercitus ducere; nec rem aliam praeverti.

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XLI. In hanc sententiam ut discederetur, iuniores Patrum evincebant. Ferocioresque iterum coorti. Valerius Horatiusque vociferari, ut de repu- | blica liceret dicere: dicturos ad populum, si in senalu per factionem non liceat. Neque enim sibi privatos aut in curia aut in concione posse obstare: neque se imaginariis fascibus eorum cessuros esse. Tum Appius, iam prope esse ratus, ut, ni violentiae eorum pari resisteretur audacia, victum imperium esset: Non erit melius, inquit, nisi de quo consulimus, vocem misisse: et ad Valerium, negantem se privato reticere, lictorem accedere iussit. Iam Quiritium fidem implorante Valerio a curiae limine, L. Cornelius complexus Appium, non cui simulabat consulendo, diremit certamen: factaque per Cornelium Valerio dicendi TITO LIVIO. I.

destino accadesse che il magistrato de'dieci fosse oppugnato da coloro che l'avevano cerco o desiderato, o dagli amici loro o da cotestoro massimamente, ovvero onde ciò fosse che già lanti mesi essendo la città oziosa e pacifica, niuno avesse mosso si falta controversia, o disputato, se della repubblica fossero, o no, giusti e legittimi magistrati, ed ora avendo i nemici quasi su le porte, andassero seminando le discordie civili: se non perchè, essendo così intorbidate le cose, pensavano, che si potesse veder manco chiaramente quel che divisassero. Ma egli è cosa certa, diceva, ch'essendo gli animi occupati al presente di maggior cura, a ciascuno è tolla la facoltà di consigliare sopra una cosa di siffatta importanza, e perciò che a lui piacerebbe, quanto a quello di che Valerio ed Orazio incolpano i dieci, dicendo, che essi hanno finito il magistrato avanti mezzo maggio, che s'indugiasse a disputarne finita la guerra che ne soprasta. va, poichè fosse pacificata la città. E che Appio Claudio da ora s'apparecchiasse, come colui che sa d'avere a rendere ragione di quelli squillini, i quali essendo egli de' dieci fece per creare i dieci, cioè se quei furon fatli per un anno, o veramente insino a tanto che si desse compimento a quelle leggi che mancavano. Ma al presente gli piaceva che ogni altra cosa si lasciasse indietro, fuorchè la guerra. Della quale, se le genti stimavano la fama esser vana, e non solamente gli altri messaggi, ma anche gli oratori Tuscolani raccontare il falso, e' giudicava che si mandassero esploratori, i quali riferissero le cose chiare: e se si prestava fede agli ambasciadori, consigliava, che quanto più presto si poleva si facesse la scelta de'soldati, e i dieci mandassero fuora gli eserciti, ove a qualunque di loro piacesse: ed innanzi a questo non s'attendesse ad alcun'altra cosa.

XLI. S'affaticavano i più giovani de'Padri di far prendere questo partito; ma levaronsi su di nuovo più feroci che prima Valerio ed Orazio, gridando: Che si concedesse il poter parlare della repubblica; e che se non fosse loro lecito parlarne nel senato, per la forza della fazione, ne parlerebbero fuori nel popolo: perciocchè i privati, come erano essi dieci, non polevano contrastargli, o nella curia, o nel parlamento del popolo, e che non cederebbero a' loro fasci immaginarii. Allora Appio giudicando che la cosa era venuta a termine, che il suo potere fosse ruinato, se alla violenza di coloro non si facesse resistenza con pari violenza ed audacia, disse: Non sarà meglio no parlare, se non di quello, di che noi domandiamo consiglio; e mandò il littore a Vale24

lerio la fede de'Quiriti,e chiamando soccorso dalla porta della Curia, L.Cornelio abbracciando Appio, fermò la contesa, non però a beneficio di chi egli fingeva: laonde mediante Cornelio, fu fatta grazia a Valerio di parlare. Ma non essendo la libertà procedata più oltre che alle parole, i dieci perseverarono nel proposito loro. Gli uomini consolari, ed anco i più antichi, per l'odio che ancora restava nelle menti loro verso il magistrato dei tribuni, per lo desiderio del quale essi stimavano che più s'affliggesse la plebe, che per l'odio del consolato, volevano quasi più tosto che i dieci per loro medesimi rinunziassero al magistrato, che per la malevolenza ed odio ch'era portato, la plebe avesse occasione di levare di nuovo la testa, pen| sando, che se la cosa fosse guidata così dolcemente e senza tumulto popolare, che si ritornerebbe al consolato; e la plebe o per guerre occorrenti, o per la moderazione e costumatezza dei consoli nello esercitare l'autorità del loro officio, facilmente s'avrebbe potuto dimenticar de tribuni.

gratia, quae vellet, quum libertas non ultra vocem rio,che negava di dover tacere, per non essere teexcessisset, decemviri propositum tenuere. Con-nuto di ubbidire a un privato. Già richiedendo Vasulares quoque ac seniores ab residuo tribuniciae potestatis odio, cujus desiderium plebi multo acrius, quam consularis imperii, rebantur esse, prope malebant, postmodum ipsos decemviros voluntate abire magistratu, quam invidia eorum exsurgere rursus plebem. Si leniter ducta res sine populari strepitu ad consules redisset, aut bellis interpositis, aut moderatione consulum in imperiis exercendis, posse in oblivionem tribunorum plebem adduci. Silentio Patrum edicitur delectus: juniores, quum sine provocatione imperium esset, ad nomina respondent. Legionibus scriptis, inter se decemviri comparabant, quos ire ad bellum, quos praeesse exercitibus oporteret. Principes inter decemviros erant Q. Fabius et Ap. Claudius. Bellum maius domi, quam foris, apparebat. Appii violentiam aptiorem rati ad comprimendos urbanos motus: in Fabio minus in bono constans, quam gnavum ingenium in malitia esse. Hunc enim virum, egregium olim domi militiaeque, décemviratus collegaeque ita mutaverant,ut Appii,quam sui, similis mallet esse. Huic bellum in Sabinis, M. Ra-Tacendo adunque e consentendo i Padri, si cobuleio et Q. Poetelio additis collegis, mandatum. M. Cornelius in Algidum missus cum L. Minucio et T. Antonio et K Duilio et M. Sergio: Sp. Oppium Ap. Claudio adiutorem ad urbem tuendam, aequo omnium decemvirorum imperio, decernunt.

XLII. Nihilo militiae, quam domi, melius respublica administrata est. Illa modo in ducibus culpa, quod, ut odio essent civibus, fecerant: alia omnis penes milites noxa erat: qui, ne quid ductu atque auspicio decemvirorum prospere usquam gereretur, vinci se per suum atque illorum dedecus patiebantur. Fusi ́et ab Sabinis ad Eretum et in Algido ab Aequis exercitus erant. Ab Ereto per silentium noctis profugi, propius urbem, inter Fidenas Crustumeriamque, loco edito castra

mandò la scelta. I giovani (essendo l'autorità dei dieci senza appello) ubbidirono col dare il nome. Scritte che furono le legioni, i dieci trattavano fra loro chi fosse a proposito che andasse alla guerra, o comandasse agli eserciti. I capi dei dieci erano Q. Fabio ed Ap. Claudio: e perchè si vedeva apparecchiarsi maggior guerra a casa, che fuori, giudicarono i dieci che l'audacia e violenza di Appio era più atta a frenare i movimenti della città. Fabio era d'una natura più tosto poco costante nel bene, che diligente nella malizia. Perchè il magistrato e la qualità de' compagni l'avevano in modo mutato di natura, essendo stato uomo già molto egregio in casa e fuori, ch'ei voleva ora essere più tosto simigliante ad Appio, che a sè stesso. A costui fu commessa la guerra contro i Sabini,e datogli in compagnia M. Rabuleio e Q.Petelio. M. Cornelio fu mandato in Algido con L.Minucio e T. Antonio e Cesone Duilio e M. Sergio; e lasciarono Sp.Oppio in aiuto di Appio, a difesa della città con l'autorità e balìa dell' intero magistrato.

XLII. Non fu punto meglio governata la repubblica nella milizia, che a casa. Ma la colpa de'capitani fu solamente questa, ch'essi avevano in modo fatto, ed eransi portati in cotal maniera, ch'erano in odio a'cittadini. Tutto il resto della colpa fu de'soldati, i quali, acciocchè non si facesse cosa alcuna felicemente sotto il capitanato de' dieci, si lasciavano vincere con grande loro vergogna e de' capitani. Gli eserciti erano stati battuti e cacciati ad Ereto da Sabini, e dagli Equi

communierant: persecutis hostibus nusquam se acquo certamine committentes, natura loci ac vallo, non virtute aut armis, tutabantur. Maius flagitium in Algido, maior etiam clades accepta: castra quoque amissa erant; exutusque omnibus utensilibus miles, Tusculum se, fide misericordiaque victurus hospitum ( quae tamen non fefellerunt), contulerant. Romam tanti erant terrores allati, ut, posito iam decemvirali odio, Patres vigilias in urbe habendas censerent: omnes, qui per aetatem arma ferre possent, custodire moenia, ac pro portis stationes agere iuberent: arma Tusculum ad supplementum decernerent, decemvirosque, ab arce Tusculi digressos, in castris militem habere: castra alia a Fidenis in Sabinum agrum transferri: belloque ultro inferendo deterreri hostes a consilio urbis oppugnandae.

XLIII. Ad clades ab hostibus acceptas duo nefanda facinora decemviri belli domique adiiciunt. L. Siccium in Sabinis, per invidiam decemviralem tribunorum creandorum secessionisque mentiones ad vulgus militum sermonibus occultis serentem, speculatum ad locum castris capiendum mittunt: datur negotium militibus, quos miserant expeditionis eius comites, ut eum opportuno adorti loco interficerent. Haud inultum interfecere: nam circa repugnantem aliquot insidiatores cecidere, quum ipse se praevalidus, pari viribus animo, circumventus tutaretur. Nuntiant in castra ceteri, praecipitatum in insidias esse: Siccium cgregie pugnantem militesque quosdam cum eo amissos. Primo fides nuntiantibus fuit. Profecta deinde cohors ad sepeliendos qui ceciderant, decemvirorum permissu, postquam nullum spoliatum ibi corpus, Sicciumque in medio iacentem armatumque, omnibus in eum versis corporibus, videre; hostium neque corpus ullum, nec vestigia abeuntium; profecto a suis interfectum memorantes, retulere corpus. Invidiaeque plena castra erant, et Romam ferri Siccium protinus placebat, nisi decemviri funus militare ei publica impensa facere maturassent. Sepultus ingenti militum mocstitia, pessima decemvirorum in vulgus fama, est.

in Algido. Da Ereto partendosi come in fuga a mezza notte s' erano accampati e fortificati in un luogo rilevato più presso a Roma, tra Fidena e Crustumeria: ed essendo perseguitati da' nemici, non s'ardirono mai d'uscire incontro alla campagna, ma anzichè col valore o con le armi si difendevano con la fortezza del sito e delle munizioni. In Algido fu commesso maggior viltà e fu ricevuto maggior danno; perchè l'esercito perdette gli alloggiamenti, e spogliato di tutt'i suoi arnesi si rifuggì in Tuscolo, a vivere alla fede e discrezione degli amici forestieri; la qual però non mancò punto loro. Tante furono le spaventevoli novelle le quali furono rapportate a Roma, che i Padri (posto giù ormai l'odio de'dieci) consigliarono che si facessero le guardie per la terra, e che a tutti quelli che fossero d'età da portare armi fosse comandata la guardia delle mura e delle porte, e che a Tuscolo si mandassero armi in supplemento: e che i dieci partendosi di Tuscolo, alloggiassero i soldati alla campagna. E così l'altro campo da Fidena si trasferisse nelle terre de'Sabini, acciocchè col far guerra in casa a'nemici, si stogliessero dal pensiero di venire a combattere la città.

XLIII. Ai danni ed alle ruine ricevute da'nemici, aggiunsero i dieci due scellerati fatti a casa ed in campo. Avendo i dieci a stomaco L. Siccio, perchè egli andava per lo campo che guerreggiava contra i Sabini spargendo occultamente ragionamenti tra' soldati, di rifare i tribuni, e sommovendo il volgo, lo mandarono a speculare, e vedere un luogo dove si volevano accampare, e commisero a' soldati che andaron con lui compagni di quella impresa, che assaltandolo in luogo opportuno l'ammazzassero. Il che fu fatto; ma non l'uccisero già senza vendetta, perchè difendendosi egli gagliardamente con forze pari all'animo, uccise alcuni di quelli che l'assaltarono. Gli altri rapportarono in campo, di aver dato in un agguato, e che Siccio, combattendo francamente, con alcuni soldati vi era rimaso morto. La cosa fu da principio creduta: ma andando poi una squadra di soldati a seppellire i morti, di licenza de'dieci,arrivati al luogo, poichè non videro alcun corpo spogliato, e Siccio giacere in mezzo di tutti armato, essendo tutti gli altri corpi volti verso di lui, nè alcuno corpo de'nemici, o vestigio alcuno di essi che quindi partissero, riportando il corpo, affermarono per cosa certa, ch'egli era stato morto dai suoi medesimi. Onde il campo era pieno di odio, ed a molti piaceva che 'l corpo si portasse a Roma, se i dieci non si fossero affrettati di fargli l'esequie militari alle spese del pubblico. Fu sepolto con gran dolore de' soldati, e con carico e mala fama de'dieci.

XLIV. Sequitur aliud in urbe nefas, ab libidine ortum, haud minus foedo eventu, quam quod per stuprum caedemque Lucretiae urbe regnoque Tarquinios expulerat: ut non finis solum idem decemviris, qui regibus, sed causa etiam eadem imperii amittendi esset. Ap. Claudium virginis plebeiae stuprandae libido cepit. Pater virginis L. Virginius honestum ordinem in Algido ducebat, vir exempli recti militiae domique. Perinde uxor instituta fuerat, liberique instituebantur. Desponderat filiam L. Icilio tribunicio, viro acri et pro causa plebis expertae virtutis. Hanc virginem adultam, forma excellentem, Appius, amore ardens, pretio ac spe pellicere adortus, postquam omnia pudore saepta animadverterat, ad crudelem superbamque vim animum convertit. M. Claudio clienti negotium dedit, ut virginem in servitutem assereret, neque cederet secundum libertatem postulantibus vindicias: quod pater puellae abesset, locum iniuriae esse ratus. Virgini, venienti in forum (ibi namque in tabernis literarum ludi erant), minister decemviri libidinis manum iniecit: serva sua natam servamque appellans, sequi se iubebat; cunctantem vi abstracturum. Pavida puella stupente, ad clamorem nutricis fidem Quiritium implorantis fit concursus. Virginii patris sponsique Icilii populare nomen celebratur: notos gratia eorum, turbam indignitas rei virgini conciliat. Iam a vi tuta erat, quum assertor,nihil opus esse multitudine concilata ait; se iure grassari, non vi. Vocat puellam in ius. Auctoribus, qui aderant, ut sequeretur, ad tribunal Appii perventum est. Notam iudici fabulam petitor, quippe apud ipsum auctorem argumenti, peragit; puellam, domi suae natam, furtoque inde translatam in domum Virginii, suppositam ei esse. Id se indicio comper tum afferre, probaturumque vel ipso Virginio iudice, ad quem maior pars iniuriae eius pertineat. Interim dominum sequi ancillam, aequum | esse. Advocati puellae, quum Virginium reipublicae causa abesse dixissent, biduo affuturum, si nuntiatum ei sit; iniquum esse, absentem de liberis dimicare; postulant, ut rem integram in patris adventum differat, lege ab ipso lata vindicias det secundum libertatem; neu patiatur, virginem adultam famae prius, quam libertatis, periculum adire.

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XLIV. Seguito un'altra cosa nefanda nella città, che ebbe origine dalla libidine, e non manco sozzo e crudele fine che quella che, mediante lo stupro e morte di Lucrezia, aveva i Tarquinii dalregno e da Roma cacciato: acciocchè la signoria de'dieci, non solamente avesse il medesimo fine, ma anco la medesima cagione di perdere lo stato ch'ebbe quella de're. Ap. Claudio fu preso d'una sfrenata voglia di violare una vergine plebea. Il padre della fanciulla, L. Virginio, aveva onorato grado nell'esercito ch'era in Algido,uomo di buono esempio in pace ed in guerra: e la donna sua era stata parimente così avvezza, ed i figliuoli nel modo medesimo si disciplinavano. Aveva costui sposata la figliuola a L. Icilio uomo tribunizio, persona viva, e che per difendere la causa della plebe, aveva della sua virtù fatta esperienza. Appio ardendo d'amore, cominciò con doni, speranze e promesse a tentare questa fanciulla già grande e d'eccellente bellezza. Ma poichè ei vide che ogni modo e via gli era chiusa e tolta dalla pudicizia ed onestà di lei, rivolse l'animo a una crudele e superba violenza. Commise per tanto a M. Claudio suo cliente, che affermasse, che costei era sua serva: e non le concedesse punto di spazio, quando domandassero i suoi ch'ella godesse la libertà pendente la causa: stimando (perchè il padre era assente) avere più faciltà a farle ingiuria. Venendo dunque la fanciulla in piazza, tornando dalla scuola ivi vicina nella via delle taberne, il ministro della libidine del decemviro, appellandola serva, e nata di sua serva, le mise le mani addosso, e comandolle che n'andasse scco: minacciandola che, indugiando, ne la menerebbe per forza. Essendo stupefatta la fanciulla per la paura, alle grida della balia che chiamava la fede e soccorso de'Quiriti e del popolo, si fece grande ragunata di gente. Era quivi ricordato il nome, grato al popolo, di Virginio suo padre, e d'Icilio suo sposo. La benevolenza e'l rispetto di loro, e la disonestà della cosa, moveva i conoscenti e la turba a favorire la pulcella. Già era ella assicurata dalla violenza, quando l'assertore, che affermava chi ella era, disse: Non bisogna levare qui il romore nel popolo; io procedo con la ragione, e non uso la forza: sicchè vieni alla ragione. Confortandola quelli ch'erano presenti, che essa lo seguitasse, come giunsero al tribunale di Appio, l'attore espose tutta la novella notissima al giudice, come colui che dell'argomento era stato l'inventore, dicendo, che la fanciulla gli era nata in casa: di poi stata di furto involata e portata in casa di Virginio, e datagli come sua: e questo diceva, perchè egli aveva trovato per indizii che così era vero: e che, non che altro, lo proverebbe

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