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lonum rapi, trahi, vexari omnia, Volsiniis iam in morem venerat. Neve praetereatur insigne monumentum, quem ad finem servilium animorum belluina impudentia possit procedere, si nacta potentiam fuerit; lege lata sanxerunt, « uti libertinis in patronorum filias ac uxores stupri ius esset floremque virginis ingenuo nupturae primum aliquis ex suo ordine delibaret. » Volsinienses igitur veteres, cum neque ferre diutius miserias istas, neque propulsare viribus suis possent; consilio clam inter se habito, legatos Romam mittere decreverunt. Ii secretis precibus impetrato, uti privatis in aedibus senalus cogeretur: perni- | ciem enim sibi, si res emanasset, impendentem prospiciebant: oratione flebili calamitates urbis suae exposuerunt, qua moti Patres, opem miseris ad recuperanda pristina iura promiserunt.

XVI. Sed haec cum acta secreto putarentur, iis qui fuerant accusati, per Samnitem quendam indicata sunt. Is, cum in aedibus, ubi senatus convenerat, hospes domini aegrotaret, per oblivionem eo in loco relictus exceperat dicta, prodideratque. Quaestiones igitur de legatis Roma reversis habitae sunt; compertoque negotio, et ipsi et principes alii civitatis crudeliter interfecti. Eo iustior inferendi belli causa visa: missusque cum exercitu Q. Fabius Cos. occurrere ausos in fugam vertit, magnumque fugientium numerum cecidit: ceteros, qui intra munimenta se receperant, actis operibus oppugnare instituit. Sed illis non segniter resistentibus, cum levia, ut solet, certamina crebro fierent, consul, dum incautius inter tela versatur, vulnus accepit, et in cius deinde curatione decessit. Obsessi, casu eo cognito, eruptionem summis viribus fecere, sperantes, exercitum interitu ducis turbatum, si subito invaderetur, a moenibus submoveri posse.

XVII. Verumtamen eventus proelii contra dedit: excepti ferociter a militibus Romanis, et in

quelle ingiurie: e il rapirsi e l'appropriarsi e il perturbarsi ogni cosa ad arbitrio di ogni pessimo uomo della plebe, era venuto già in costume presso i Volsinii. Nè vuolsi tacere un insigne documento del grado a cui può pervenire la bestiale impudenza degli animi servili quando abbiano conseguito qualche grado di potere: perocchè posero una legge « che gli schiavi emancipati avessero diritto di stuprare le figlie e le mogli dei loro patroni: e che quando una zitella stesse per farsi sposa a un ingenuo, chiunque aveva comune con lei la condizione, potesse coglierne pel primo il fiore della verginità. Il perchè gli antichi Volsinii, non potendo nè sostenere più a lungo queste miserie, nè colle sole loro forze sottrarsene, deliberarono fra di loro di mandar legati a Roma. I quali, avendo con segreti preghi ottenuto che il senalo si congregasse in private case (chè dove si risapesse quel loro fatto, se ne tenevano già spacciali): quivi con miserabil discorso vennero dipingendo le proprie calamità: d'onde poi, commossi i Padri, promisero a quegli infelici il soccorso che lor bisognava a riacquistare i primitivi loro diritti.

XVI. Ma, sebbene in Roma si credesse che queste cose si facessero all'insaputa di tutti, ne su però dato avviso da un Sannite a coloro contro i quali movevansi le accuse. Il quale essendo ospite e malato nelle case dove il senato si era raccolto, e colà per dimenticanza lasciato, aveva intese e fatte poi manifeste le cose tutte che vi si erano dette. Per il che ritornati poscia da Roma i legati, furono posti alla tortura; e venuta in palese la cosa, furono crudelmente trucidati con alcuni altri principali della città. Parve ai Romani che questa condotta desse loro tanto più giusta cagione di guerra, e mandarono il console Q. Fabio con un esercito, il quale mise in fuga coloro che furono arditi di venirgli incontro; e un gran numero ne uccise mentre cercavano di scamparne fuggendo: e si diede ad espugnare con ogni acconcia maniera quegli altri che si erano riparati dentro alle fortificazioni. Ma resistendo poi costoro da valorosi, e facendosi, come suole avvenire, frequenti battaglie di picciol momento, il console, perigliatosi incautamente fra i dardi nemici, n'ebbe una ferita, e morì nell' atto medesimo che attendeva al guarirne. Laonde gli assediati, avuta notizia di quell' avvenimento, sortirono con tutte le forze che avevano, sperando che l'esercito, male in ordine per la morte del capitano, dove fosse all' improvviso assalito, sarebbe necessitato di allontanarsi dalle mura.

XVII. Ma l'esito della battaglia fu lontano dal loro avviso: perocchè furono ricevuti ferocemente

urbem iterum cum clade compulsi sunt. Huic | dai soldati Romani, e ributtati di nuovo con molego pugnae Decium Murem praefuisse crediderim: hic enim legatus esse Fabio, et post necem eius, donec successor veniret, bellum administrare potuit; atque inde esse reor, quod apud negligentiores historicos, Volsiniensis belli coepti finitique titulus Decio Muri adscriptus est. Censores eo anno creati Cn. Cornelius L. F. Cn. N. Blasio, et C. Marcius, qui cum antea quoque censuram gessisset, in hoc honore Censorinus appellatus est. Memorabilis huius Marcii moderatio fuit, qui accepta potestate, quam non ambiverat, populum ad concionem vocatum gravissima oratione increpuit, « quod magistrátum illum bis eidem mandavisset, cuius tempora, non aliam ob causam, quam quia nimia potestas esset, coarclanda sibi maiores iudicassent. » Inde profecta lex est, qua cautum, ne quis censor iterum fieret.

XVIII. Eodem anno quaestorum numerus ampliatus est. Quatuor hactenus suffecerant: urbani duo: totidem ad bellum exeuntibus consulibus adiungebantur. Sed proximis aliquot annis, aucta maiorem in modum republica, vectigalibusque ac portoriis multis accedentibus, duplicari numerum istum necesse fuit ( A. R. 489, A. C. 263). Appius deinde Claudius, qui in magistratu Caudex cognominatus est, et M. Fulvius Flaccus consules sequuntur: annus coepto primum adversus Poenos in Sicilia bello memorabilis. Tum enim inter duas potentissimas civitates inimicitiae primum erupere, quae multos post annos, illatasque et acceptas horrendas clades, non nisi alterius excidio finiri potuerunt. Sed prius de Carthagine quaedam altius repetenda sunt, quam ad bellorum istorum expositionem accedamus; erunt enim his in rebus enarrandis multa intellectu iudicatuque difficiliora, nisi primum origo urbis et incrementa cognoscantur. ]

ta strage dei loro nella città. Ed io stimo che a questo combattimento presiedesse D. Mure: perchè costui potè benissimo essere allora legato di Fabio, e dopo la morte di lui avere amministrata la guerra insino a tanto che fosse eletto un successore: e di qui poi son di parere sia nato quello errore di alcuni storici negligenti che attribuirono a Decio la guerra co’Volsinii,dal suo principio fino al suo compimento. Furono in quell'anno creati censori Gn,Cornelio Blasio figliuolo di Lucio, nipote di Gneo e C.Marcio, il quale ebbe poi per onore il titolo di Censorino, perchè anche prima aveva esercitata già quella magistratura. E fu degna di ricordanza la moderazione di questo Marcio, il quale avendo ricevuto un potere da lui non ambito, ragunato il popolo, diessi a rimproverarlo con gravi parole, « dell' aver egli commesso due volte ad un medesimo cittadino quella magistratura, della quale i loro avi non per altra cagione avevano voluto abbreviare la durata, se non se perchè era troppa la podestà che seco traeva.»> E di qui poi ebbe origine quella legge che nessuno potesse essere eletto due volte censore.

XVIII. Fu ampliato in quel medesimo anno il numero dei questori: chè fino a quel tempo n'eran bastati due urbani, ed altrettanti per seguitare i consoli quando uscivano dalla città ad amministrare la guerra. Ma dopo non molti anni fattasi la repubblica molto maggiore di prima, ed essendo cresciuto il numero delle gabelle e dei dazii, s'ebbe necessità di raddoppiare il numero di questi magistrati (4. R. 489, A. C. 268). Tengono poi dietro i consoli Ap. Claudio, che nella sua magistratura fu nominato Caudex, e M. Fulvio Flacco, in un anno ch'è memorabile per essersi allora la prima volta cominciata la guerra nella Sicilia contro i Cartaginesi. Perocchè allora appunto ebbero cominciamento fra le due potentissime città quelle inimicizie, le quali, dopo molti anni, e dopo molte orribili stragi date e ricevute, non poterono recarsi a fine senza il pieno eccidio di una delle parti. Ma prima di farci a narrare ciò che appartiene a coteste guerre, vuolsi toccare alcun che di Cartagine, risalendo un po' più alle origini. Conciossiachè dove non fossero noti i principii e i progressi di questa città, s'incontrerebbero nel racconto delle guerre accennate tai cose che sarebbero difficili da intendere e da giudicare.]

LIBRO SESTO

SOMMARIO

Origo Carthaginiensium et primordia urbis eorum referuntur: contra quos et Hieronem regem Syracusanorum auxilium Mamertinis ferendum censuit senatus; cum de ea re inter suadentes, ut id fieret, dissuadentesque contentio fuisset. Transgressis tum primum mare equitibus Romanis, adversus Hieronem saepius bene pugnalum. Petenti pax data est. Lustrum a censoribus conditum est, censa sunt civium capita ducenta nonaginta duo millia, ducenta viginti quatuor. D. Iunius Brutus munus gladiatorium in honorem defuncti patris edidit primus. Colonia Aesernia deducta est. Res praeterea contra Paenos et Volsinios prospere gestas continet.

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Si riferisce l'origine de'Cartaginesi ed i primordi della loro città: contro i quali e contro lerone re de' Siracusani decretò il senato che si soccorressero i Mamertini, dopo che vi fu disputa tra chi persuadeva e chi dissuadeva che si facesse. Valicato allora per la prima volta il mare dalla Romana cavalleria, si combattè spesso con buon esito contro Ierone: se gli diede la pace che chiedeva. I censori chiudono il lustro: si noverarono duecento ottantadue mille duecento trentaquattro cittadini. Primo Decio Giunio Bruto diede uno spettacolo di gladiatori in onore del defunto suo padre. Si mandano coloni ad Esernia. Il libro contiene inoltre i vantaggi riportati contro i Cartaginesi ed i Volsinii.

LIBRO SESTO

[L. Che la città di Cartagine avesse a fondatori Tirii di Fenicia, ne fanno certissimo testimonio, oltre alla fede dell' antica storia, la perpetua amicizia durata fra queste due città per tutto il tempo che furono in fiore; non che la manifesta somiglianza dell'idioma che tuttavia si usa da loro. È fama che da questa gente procedesse Elisa, appellata anche Didone, figliuola di Agenore pro

[1. Carthaginem a Tyriis Phoenicibus conditam esse, practer veteris historiae fidem, etiam perpetua civitatum istarum, donec floruerunt, amicitia; praeterea linguae nunc quoque manentis manifesta similitudine, certum atque testatum est. Ex ea gente ferunt Elisam, quae et Dido cognominata est, filiam Agenoris Belo geniti, quod Pygmalionem iisdem parentibus ortum, ob iniustam mariti sui Sichaei caedem odisset, patria profu-le di Belo, la quale, per l'odio che portava al fragam, eum Africae sinum, peninsulamque in qua post condita Carthago fuit, tenuisse: parvis admodum rei tantae initiis, ac potentiae, quae deinceps consecuta est, spem nullam ostentantibus. Quippe non plus terrae ab incolis emisse Elisa creditur, quam corio bovis amplecti posset: hoc in tenuissima lora dissecto maius aliquanto spatium, quam venditores intelligebant peti, comprehendit; arcique struendae suffecit locus, quam ex eo Byrsam appellatam putant. Inde multis, commercio rum gratia cum advenis colendorum, sedes iuxta statuentibus, cum iam instar civitatis effectum esset; Afrique mansuetos homines et divites secum retinere cuperent: facile assensi sunt venientibus ab Utica legatis, qui suo exemplo (nam et Utica colonia Tyriorum erat) ad condendam iis locis urbem hortabantur. Ita convenit, ut Afri sedem oppidi Phoenicibus concederent; hi annuum eo nomine vectigal penderent Afris.

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tello Pigmalione che ingiustamente le aveva ucciso il marito Sicheo, fuggì dalla patria e venne ad occupare quel seno dell' Affrica e quella penisola nella quale in processo di tempo fu poi fondata Cartagine ed erano di sì poco momento allora i principii di quella terra, che non davano alcuna speranza di dover mai pervenire a quella grande potenza a cui si condusse. Imperciocchè si racconta che Elisa comperasse dagli abitatori di quelle spiagge soltanto quello spazio di terra che potesse essere circondata colla pelle di un bue; la quale tagliata poi in sottilissime liste potè capire in sè stessa uno spazio alquanto maggiore di quello che i venditori avevan creduto si richiedesse; di sorte che potè fabbricarvisi una rocca che appunto da ciò si crede ricevesse il nome di Birsa. Appresso concorrendo molti a cagion di commercio, e ponendo le loro sedi vicino a quegli stranieri, fattasi a poco a poco una specie di città; e venuto desiderio negli Affricani medesimi di avere fra loro quegli uomini mansue. ti e ricchi; si piegarono facili ai legati spediti da quei di Utica, i quali esortavanli a fabbricare in quei luoghi una città seguitando l' esempio dei primi; perocchè anche Utica era colonia di Tirii. Di questa guisa fu patteggiato che gli Affricani concedessero ai Fenicii un luogo in che fabbricar potessero un castello; e che questi in vece di

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