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esset, nihil ultra ausurum Romanum; L. Postumi- | mani, e provocava audacemente a battaglia, rimus consul contemtum hostium in suam occasionem proverando di paura e di ignavia i nemici che non solerter vertit. Instructis enim silentio copiis o- accorrevano al suo invito: ma eglino contenti di mnibus, intraque vallum retentis, accedentem pro respingere all'uopo dallo steccato il nemico con more Poenum cum paucis submovens, a prima zuffe di picciol rilievo, nè facevano mai una piena luce ad horam diei sextam velitando detinuit; tum ordinanza, onde combatter di fronte con lui, nè demum recipientibus se hostibus productas ex ca- lo inseguivano quando si ritirava. Nella quale stris legiones immisit. condotta avendo i Romani perseverato per alcuni giorni, ed essendo per conseguenza i Cartaginesi venuti nell'opinione che i Romani non avrebbero tentata verun' altra cosa; il console L. Postumio seppe accortamente cavar profitto dalla non curanza del nemico e dal dispregio in cui sapeva di esser tenuto da lui. Perocchè poste di notte tempo in ordinanza tutte le sue genti al di dentro dello steccato, e fatto comandamento che quivi si stessero così in pronto com'erano, con pochi soldati respinse que' Cartaginesi che secondo il consueto loro costume si erano approssimati agli alloggiamenti, e li tenne in una leggiera zuffa dall'alba fino alla sesta ora del giorno; ma quando poi vide che i nemici abbandonando il combattimento si ritiravano, allora aperse il varco alle legioni e lasciò che sortendo improvvisamente li assaltassero.

LVII. Hanno, quanquam contra opinionem suam pugnandum sibi videret, intrepide congressus in serum diei ambiguum certamen extraxit. Sed Romanos, curatis bene corporibus, ad pugnam praeparatos, aestus, sitis, labor, non aeque fatigabat: Carthaginiensis autem acies ante commissum proelium inedia et stando fessa, quanto longius protrahebatur dimicatio, fatiscentibus corporibus minus ad resistendum virium habebat. Postremo conductitius miles, qui in prima fronte pugnabat, diutius sustinere laborem non potuit; neque solum ipse cessit loco, sed in elephantorum agmen, alios a tergo stantes ordines trepida fuga se inferens, turbavit totam aciem, hostique acriter incumbenti terga dare coegit. Eadem felicitate tum quoque ab alia parte gesta res: Hannibalque, cum eruptione pugnavisset, maiore suo quam hostium detrimento in urbem compulsus est. Capla Carthaginiensium castra sunt: elephanti vulnerati tres, caesi triginta, undecim in manus Romanorum venere similis et hominum fortuna fuit; de tanto exercitu pauci cum ipso duce Heracleam evase

runt.

et

LVII. Ed Annone da sua parte, sebbene si trovasse nella necessità di combattere fuor d'ogni sua aspettazione, pure sostenne intrepidamente il nemico; e produsse la battaglia fino ad ora assai tarda del giorno senza che mai piegasse a favore dell'una o dell'altra parte. Ma i Romani, come coloro che avevano innanzi provveduto ai propri bisogni, ed erano usciti apparecchiati alla pugna, non erano travagliati dal caldo, dalla sete e dalla fatica quanto i Cartaginesi, i quali, stanchi dall'inedia e dallo stare in sull'armi già prima che fosse dato principio alla pugna, quanto più questa traevasi in lungo, tanto meno avevan di forze per far resistenza. E finalmente le milizie mercenarie che nella prima fronte combattevano, non poterono più a lungo sostener la fatica: nè solamente abbandonarono il proprio luogo, ma gettandosi spaventate e fuggendo tra gli elefanti e tra le file che loro stavan da tergo, scompigliarono tutta l'ordinanza, e posero tutto l'esercito nella necessità di volger le spalle al nemico che lo veniva acremente inseguendo. Nel medesimo tempo si combattè anche dall'altra parte con un esito parimenti felice; perocchè essendo Annibale uscito a combattere, fu cacciato di bel nuovo nella città, avendone riportato più danno di quello non avesse poluto recare al nemico. Fu espugnato il campo dei Cartaginesi: ferironsi tre elefanti, trenta ne furono morti, ed undici caddero in poter dei Romani: una somigliante fortuna ebbero poi anche i soldati:

LVIII. At qui in urbe clausi erant, rebus plane desperatis, nullam salutis viam sibi relictam esse videntes, maximis terroribus affligebantur: cum Hannibal optimi, ut in fortuna mala, consilii auctor, animadverso, Romanos et labore certaminis defatigatos, et laetitia bene gestae rei solutiores, negligentius solito excubias agere, circa tertiam vigiliam cum mercenariis exit oppido: et cratibus, quas hunc ad usum ante paratas stramento compleverant, in fossas iniectis, transgressus, aliquantum itineris praecipit, donec Romani luce iam oriente quid actum esset sentientes, partem extremi agminis deprehenderunt; Hannibal cum reliquis in tuta loca pervenit. At Agrigentini, desertos a Poenis se videntes, multos eorum, qui in urbe remanserant, sive per iram, sive ut a victore gratiam inituri, concidere. Nec ideo minus direptum est oppidum: homines, amplius quinque et viginti millia liberorum capitum, in servitutem venditi.

LIX. Hoc maxime modo captum a Romanis Agrigentum est, septimum intra mensem, quam obsideri coeperat, magna cum utilitate gloriaque populi Romani, sed multa quoque sanguinis impensa: quippe supra triginta hominum millia de consulum exercitu, Siculorumque auxiliis, inter istam obsidionem varia peste perierunt. Qua de causa, simul quia nihil iam magnae rei ob hiemem propinquam suscipi poterat, Messanam redierunt. Anno deinde proximo cum imperio iverunt in Siciliam L. Valerius M. F. M. N. Flaccus, et T. Otacilius C. F. M. N. Crassus, consules (A. U. 492, A. C. 260), prioribus ducibus ad spem triumphi Romam digressis. Carthaginienses quidem classe tanquam ad vastandam Italiam missa, novos consules a Siciliae cura distinere cupiverant; sed ii constitutis circum litora globis militum, qui praedones arcerent, nihilominus in insulam transiecerunt. Tunc quoque multa Siculorum oppida in fidem recepta,recenti cladis Agrigentinae exemplo et metu: neque obsistentibus Poenis, quos super proelium adversum etiam seditiones mercenariorum militum angebant: Gallis praecipue ob mensium aliquot stipendia non soluta tumultuantibus. Ad quos puniendos fraudem eiusmodi commentus est Hanno.

chè di un esercito si numeroso pochi ebbero copia di salvarsi col proprio capitano in Eraclea.

LVIII. Ma quelli che si trovavano chiusi in Agrigento, non avendo più d'onde sperare, nè veggendo aperta alcuna via che guidar li potesse a salvezza, erano tormentati dai più grandi terrori che mai si possan pensare: se non che Annibale, datosi ad un consiglio ottimo per avventura in quella sinistra fortuna, considerando che i Romani stanchi dalla fatica della pugna e negligenti per l'allegrezza dell'ottenuta vittoria non facevano colla solita loro diligenza le scolte, verso la terza vigilia sorti del castello colle milizie mercenarie; e fatte gettare nei fossi alcune graticce preparate già prima a tal uso e riempiute di stramenti, passò oltre e guadagnò una parte del cammino, fino a tanto che pos cia i Romani, in sul far del giorno, accorgendosi di questo suo procedimento, assaltarono l'estrema parte di quell'esercito; sicchè appena Annibale coi rimanenti soldati potè condursi in luoghi sicuri. Ma gli Agrigentini veggendosi abbandonati dai Cartaginesi, trucidarono molti di quella nazione rimasti tuttora nella città, o fossero a questa scelleratezza condotti dall'ira, o a ciò li spingesse il desiderio di gratificarsi al vincitore. Con tutto ciò il castello fu posto a sacco ed a ruba; e più di venticinquemila uomini liberi furon venduti in qualità di servi.

LIX. Di questa maniera fu presa dai Romani la città di Agrigento il settimo mese da che avevano cominciato ad assediarla: e fu questa un'impresa che fruttò al popolo Romano molta utilità e molta gloria, ma che non potè recarsi a compimento senza versare in gran copia il sangue: e veramente nel corso di quell'assedio in vari modi perirono più di trentamila uomini nell' esercito dei consoli e nei soccorsi Siciliani. Per la qual cosa poi, e sì ancora perchè la vicinanza del verno non lasciava intraprendere cosa alcuna di qualche importanza, se ne ritornarono a Messina. Nell' anno seguente fu dato il comando nella Sicilia a L. Valerio Flacco, figliuolo di M. e nipote parimenti di M. ed a T. Otacilio Crasso, figlio di C. e nipote di M. (A. R. 492, A. C. 260), dopochè già si erano mossi alla volta di Roma i comandanti dell'anno antecedente nella speranza di ottenervi il trionfo. E veramente i Cartaginesi mandata fuori una flotta che minacciasse quasi di correr le coste d'Italia e saccheggiarle, avevano fatta ogni opera per distornare i nuovi consoli dagli affari della Sicilia; ma essi, collocati qua e là lungo le spiagge alcuni drappelli di soldati che ne tenesser da lungi i predatori, passarono a malgrado di quella flotta nell'isola. E quivi molte città della Sicilia vennero nell'ubbidienza dei Romani, recandovele l'e

sempio e il timore detta rotta di Agrigento ancor fresca: nè poterono opporsi a ciò i Cartaginesi, tra vagliati com'erano non solamente dalla battaglia uscita loro dannosa, ma benanche dalle sedizioni dei mercenarii soldati; e dai Galli principalmente i quali tumultuavano perchè non erano loro pagati gli stipendii di alcuni mesi già scorsi. Se non che a punire poi questi uomini irrequieti, Annone inventò la seguente frode.

LX. Dopo averli con pacato discorso rimossi dal primo impeto dell'ira, e fattili star quieti per alcun tempo, cominciò a venir loro mostrando com'egli aveva una certa e vicina speranza d'impadronirsi di un ricco castello, affermando che di quella preda sarebbono soddisfatti i Galli e che loro darebbesi qualche cosa più del conve, nuto siccome compenso di quella dilazione. Raffrenati poi in questa maniera quegli animi, e recatigli perfino a render grazie di quella promessa, quando gli parve tempo opportuno si accordò col suo pagatore, uomo fedelissimo, che facendo le

LX. Sermone blando mitigatos modicum ad tempus quiescere iubet: sibi esse certam et propinquam oppidi cuiusdam locupletis occupandi spem ostendit: ex eius praeda cumulate Gallis eliam pro solutionis mora satisfactum iri confirmat. Ita sedatis illis, adeoque gratias agentibus, opportuno tempore, cum dispensatore suo, quem habebat fidelissimum, agit, ul specie transfugae, tanquam rationibus interversis ad Otacilium consulem pergeret, indicaretque, nocte proxima Gallorum millia quatuor, ad urbem Entellinam proditorum opera recipiendam venturos, locatis insidiis circumveniri posse. Consul rem non sper-viste di esser fuggito per aver male amministranendam arbitratus, licet transfugae non omnino consideret, mittit delectam militum manum; veniunt et Galli ab Hannone decepti. Consurgentibus ad hos excipiendos Romanis oritur proelium atrox, in quo Galli omnes interfecti, cum inulti noluissent occumbere, duplex Hannoni gaudium praebuerunt, conductitiorum insolentiam, cum hostium haud exiguo detrimento, non incallide vindicanti.

LXI. Romae interim de aqua Anienis in urbem deducenda Minucius praetor in senatu retulit. Opus illud ex manubiis censor M. Curius locave rat; sed variis exortis impedimentis, res nonum in annum prolata, tum retractabatur. Creatique duumviri Curius et Fulvius Flaccus: sed Curio quintum intra diem defuncto, gloria deductae aquae penes unum Fulvium fuit. Sub id tempus Hamilcar in Siciliam Hannonis successor Carthagine venit. Hannonem namque, ex mala pugna domum redeuntem, ignominiose exceperant Poeni, mulctatumque sex millibus aureorum praefectura dimoverant. Eum Hamilcarem patrem Hannibalis, qui sequens bellum Punicum adversus Romanos

to il danaro a lui credulo, se ne andasse dal console Otacilio, e gli manifestasse che nella nolle seguente quattromila Galli dovevan portarsi alla città di Entellina ed occuparla coll'opera di alcuni traditori, i quali potrebbono essere di leggieri respinti e morti, se i Romani volessero collocare gli opportuni agguati. E il console, pensando che questa non fosse cosa spregevole, ancorchè non ponesse gran fede in quel fuggitivo, pure mandò ne' luoghi opportuni una scelta mano de' suoi: quivi sopraggiunsero non guari dopo i Galli ingannati da Annone lor capitano. Allora uscirono ad incontrarli i Romani, e si diede principio ad un ostinato combattimento nel quale tutti i Galli furono uccisi, e siccome coloro che non vollero morire invendicati, diedero ad Annone una doppia cagion di diletto, di veder punita l'insolenza di que' mercenarii con detrimento non piccolo dei nemici.

LXI. Mentre queste cose operavansi nella Sicilia, il pretore Minucio propose al senato che si guidasse nella città l'acqua dell'Aniene. Già prima il censore M. Curio aveva patteggiata quell'impresa da compiersi col danaro delle prede: ma insorti poi vari impedimenti e protratta la cosa per ben nove anni, se ne ripigliava ora un' altra volta il discorso. Crearonsi a tal uopo duumviri C. e Fulvio Flacco: ma essendo morto cinque giorni dopo Curio, toccò al solo Fulvio tutta la gloria di aver derivata quell'acqua nella città. In quel medesimo tempo venne da Cartagine nella Sicilia Amilcare per succedere ad Annone. Il quale essendo ritornato alla patria dopo la mal riuscita

battaglia era stato ignominiosamente accolto dai suoi concittadini, multato in seimila pezzi d'oro e rimosso dalla prefettura. La somiglianza dei nomi

duxit, fuisse, quidam similitudine nominum decepti non recte tradiderunt; nam genitor Hannibalis Hamilcar extremis eius belli temporibus in Siciliam cum imperio adolescens venit; sed cele-trasse in inganno alcuni scrittori, i quali asserirobritas eius effecit, ut alterius ignotioris Hamilcaris acta, Barcae Hamilcari, omnium qui hoc nomine fuerunt nobilissimo, adscriberentur. Successor igitur Hannonis Hamilcar, pedestri utique exercitu Romanos longe superiores esse cernens, mediterraneas quidem urbes nullas audebat aggredi, neque ex locis montosis et arduis in plana descendere; sed classe validus, qua haud dubie maris imperium tenebat, ea parte virium haud segniter utebatur, missoque iterum Hannibale ad vastandam Italiae oram, ipse Sicula litora circumvectus, pleraque maritima loca, quae Romanis sese adiunxerant, facile recuperavit. Qua re fiebat, ut Romanis loca procul a mari remota, Poenis litoralia et occupantibus facile, et tuentibus, aequo utrinque momento spes metusque librarentur, neque facile penes utrum populum totius bel li victoria esset futura, iudicari posset.]

no contro il vero, che questo Amilcare di cui qui parliamo fosse padre di quell'Annibale che fu poi capo della seconda guerra sostenuta dai Cartaginesi contro i Romani: ma veramente quell'Amilcare venne giovanetto in qualità di capitano nella Sicilia negli ultimi tempi di questa guerra; sebbene poi la celebrità alla quale innalzossi fosse cagione che le cose operate dall'altro Amilcare men conosciuto di lui fossero attribuite ad Amilcare Barca, celeberrimo fra quanti avessero mai cotal nome. Succeduto pertanto Amilcare ad Annone, veggendo che i Romani erano molto più forti di lui nell' esercito di terra, non ardiva dar l'assalto ad alcuna delle città mediterranee, nè calare dai luoghi montani e difficili nelle aperte pianure: ma forte com'era di flotta colla quale potea far da padrone sul mare, traeva accortamente vantaggio da ciò, ed avendo spedito un' altra volta Annibale a devastare le spiagge d'Italia, egli medesimo girando intorno alla Sicilia ricuperò assai facilmente que'luoghi marittimi che ai Romani si erano aderiti. Di qui poi avveniva che mentre i Romani s'impadronivano dei luoghi lontani dal mare, e i Cartaginesi occupavano quelli ch'eran sul lido, le speranze e la condizione degli uni e degli altri si compensavano fra di loro, nè sarebbe potuto giudicarsi di leggieri a quale dei duc popoli dovesse finalmente toccar la vittoria di tutta l'impresa. ]

LIBRO SETTIMO

SOMMARIO

Cn. Cornelius consul, a classe Punica circumventus, et per fraudem velut in colloquium evocatus, captus est. C. Duilius consul adversus classem Poenorum prospere pugnavit,primusque omnium Romanorum ducum navalis victoriae duxit triumphum: ob quam causam ei perpetuus honos habitus est, ut revertenti a coena, tibicine canente, funale praeferretur. L. Cornelius consul in Sardinia contra Sardos et Corsos, et Hannonem Poenorum ducem feliciter pugnavit. Alilius Calatinus consul, cum in locum iniquum, a Poenis circumsessum, temere duxisset exercilum, M. Calpurnii tribuni militum virtute et opera evasit: qui, cum trecentis militibus eruptione facta, hostes in se converterat. Hannibal dux Poenorum, victa classe, cui praefuerat, a militibus suis in crucem subtatus est. Atilius Regulus consul, victis navali proelio Poenis, in Africam traiecit.

Il console Gneo Cornelio, avviluppato dalla flo lla Cartaginese e fraudolentemente invitato come ad abboccarsi, vien preso. Il console Caio Duilio combattè prosperamente contro la flotta Cartaginese, e primo tra' comandanti Romani menò trionfo di vittoria navale. Perciò, ad onorarlo perpetuamente, gli si permelle che nel tornarsi da cena sia preceduto da un fanale al suon di flauto. Il console Lucio Cornelio combattè con buon esito nella Sardegna contro i Sardi e i Corsi, e contro Annone comandante dei Cartaginesi. Avendo il console Alilio Calatino condotto imprudentemente l' esercilo in luogo svantaggioso, avviluppato dal nemico, scampò pel valore e per l'opera di Marco Calpurnio tribuno dei soldati, il quale uscito con trecento uomini, avea rivolto sopra di sè tutte le forze de'nemici. Annibale, comandante de Cartaginesi, sconfitta la flotta che guidava, fu messo in croce dai suoi soldali. Il conte Alilio Regolo, vinti i Cartaginesi sul mare, passò in Africa.

Tito Livio, I.

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