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et quibus ista pestis pepercerat, exesis sensim fundamentis (per multos enim dies isthacc inundatio tenuit) recedente iam aqua vitium fecere. Secutum est hanc calamitatem gravius ex igne damnum, qui noctu temere ortus, multasque urbis regiones pervagatus, domorum hominumque incredibilem numerum hausit: neque privatis cladibus contentus, omnia in circuitu fori devastavit. Ad extremum ipsa quoque aedes Vestae ardere coepit.

LXIV. Tum vero L. Caecilius pontifex maximus sacra populi Romani et arcana imperii pignora periclitari videns, dignum loco suo animum gessit. Nam in medios ignes insiliens, nulla sui cura, dum divinae res salvae essent, deserta a virginibus sacra ex incendio rapuit. Ipse brachio semiustulatus,et exusta flammis oculorum acie,praeter solatium facti sui, praemium a populo Romano pulcherrimum accepit, ut quoties in senatum iret, curru veheretur ad curiam: quod ab condita urbe tributum nemini fuerat. Interea Q. Lutatius consul cum fratre Catulo, et Q. Valerio propraetore, rebus in Sicilia constitutis, exercituque deportato, ad urbem redierant: decretosque sibi triumphos navales C. Lutatius Catulus a. d. IV nonas Octobres, Q. Valerius a. d. prid. casdem nonas, duxerant. Memorabile certamen inter duces istos de triumpho Q. Valerii fuit.

LXV. Cum enim C. Lutatio haud dubie decretus triumphus esset, Q. Valerius haud leviorem in eo negotio suam operam fuisse contendens, honore quoque pari haberi postulabat, quemadmodum societate periculi curaeque fuisset. Pugnabat contra Catulus, ne minor potestas maiori in tribuendis honoribus aequaretur. Cum incaluisset certamen, sponsione Catulum provocavit Q. Valerius, ni suo ductu Punica classis oppressa esset; nec ille dubitavit restipulari. Delectus est arbiter Atilius Calatinus: qui interrogato Valerio, utrum in consultatione de pugna ineunda, si dissensissent, consulis an praetoris maior futura fuisset auctoritas? ilemque si diversa habuissent auspi

Tevere rigonfiatosi oltre il costume, empiè de'suoi flutti le parti più basse della città. Molti edifizii furono rovesciati al primo impeto dell'acqua : e quelli che sopravanzarono a quell'infortunio, rosi a poco a poco nei fondamenti (perchè i flutti inondarono stagnanti pel corso di parecchi giorni), quando l'acqua si raccolse di nuovo nel solito letto, fecer conoscere il danno che ne avevan sofferto. A questa calamità ne succedette un' altra più grave dal fuoco, che eccitatosi non si sa come di notte, e dilatatosi per molte parti della città, distrusse un numero incredibile di case e di persone, nè contento alle private ruine, devastò quanto stava d'intorno al foro. Finalmente ne fu incendiato anche il tempio di Vesta.

LXIV. Ed allora L. Cecilio, pontefice massimo, vedendo condotte a quel pericolo le cose sacre del popolo Romano, e gli arcani pegni dell'imperio, fece mostra di un coraggio degno della sua dignità. Imperciocchè lanciatosi in mezzo alle fiamme, e punto non curando della propria persona, purchè le cose appartenenti alla religione fossero salve, le trasse dall'incendio, a cui le vergini avevanle abbandonate. Esso poi, uscito di quel pericolo con un braccio mezzo abbruciato e colla vista consumatagli dalle fiamme, oltre alla compiacenza che gli doveva recare per sè medesimo quel fatto, n'ebbe anche dal popolo Romano un bellissimo premio, di poter esser condotto in cocchio alla curia ogni qualvolta dovesse portarsi in senato: privilegio che dopo la fondazione della città a nessuno mai era stato concesso. Frattanto il console Q. Lutazio col fratello Catulo e con Q. Valerio propretore avendo bene ordinate le cose della Sicilia, e trasportato di colà l'esercito, erano ritornati a Roma, e quivi avevano celebrato il trionfo navale, C. Lutazio Catulo quattro giorni innanzi alle none di Ottobre, e il giorno innanzi le stesse none poi Q. Valerio. E v' ebbe fra questi capitani una grave contesa a cagion del trionfo di Q. Valerio.

LXV. Perocchè essendosi decretalo senza controversia di sorta il trionfo a C. Lutazio, Q. Valerio affermando di aver avuta non minor parte di lui in quell' impresa, domandava di riportarne uguaglianza di onori come uguali erano stati i pericoli ed i travagli. Ma si opponeva Catulo, protestando che non si dovesse pareggiar negli onori chi nella podestà era da meno: d'onde essendosi accesi quegli animi, Q. Valerio provocò Catulo a far decidere se la flotta Cartaginese era stata o no disfatta solto la sua condotta; e Catulo non dubitò di accettar la disfida. Fu eletto arbitro in questa controversia Atilio Calatino, il quale domandò innanzi tutto a Valerio se gli pareva che

cia, utra potius sequenda fuissent? cum utrobi- | sarebbe stata maggiore l'autorità del console o que maius consulis quam praetoris ius futurum, Q. Valerius respondisset; non exspectato Catuli sermone, litem secundum illum dedit: quod controversia de imperio et auspicio inter eos fuisse videretur. Sed Q. Valerius, quanquam arbitri sententia victus, cum nota et celebris eo bello virtus eius fuisset, nihilo secius triumphandi ius obtinuit.

LXVI. Censores eo anno C. Aurelius Cotta, M. Fabius Buteo, lustrum undequadragesimum fecere. Censa sunt civium millia ducenta sexaginta; duabus adiectis tribubus, Velina et Quirina, numerus quinque et triginta tribuum, quem deinde retinuerunt, expletus est. Cum iam perdomita Sicilia, qua Poenorum fuerat, et pace cum Carthaginiensibus facta, non quieta modo omnia, sed eliam tuta viderentur; repentinum, unde minime timebatur, bellum paucis diebus et terrore motus intestini sollicitam, et admiratione celerrimi exitus stupentem Italiam habuit. Falisci, nescio quibus causis ad insaniam conciti, arma Romana provocare sustinuerunt. Sed missi cum legionibus consules, sextum intra diem confecere bellum, gente in potestatem populi Romani redacta. Priore tamen proelio (nam duo facta traduntur) ambiguam victoriam fecere, peditatu superiores, cum equestri proelio vincerentur.

quella del pretore ogni qualvolta, nel trattare della battaglia, non si fossero consentiti in una medesima opinione, o quali auspizii avrebbe egli creduto che si dovessero seguilare quando non li avessero ottenuti uguali? Alle quali cose avendo Q. Valerio risposto, che nell'uno e nell'altro caso avrebbe dovuto aversi più considerazione al console che al pretore, Atilio, senza punto aspettar quello che Catulo fosse per dirgli in proprio favore, diede a lui la vittoria, perchè si avvisava che la loro controversia alla fin fine versasse sull'autorità e sugli auspizii. Ma Q. Valerio, ancorchè fosse vinto dalla sentenza dell' arbitro, pure ottenne l'onor del trionfo, tanto era nota ed illustre la fama della virtù da lui dimostrata in quella guerra.

LXVI. In quell' anno furon censori C. Aurelio Cotta, e M. Fabio Buteone, i quali compierono il trentanovesimo lustro. Si annoverarono allora dugento sessantamila cittadini: e si fecero due nuove tribù, Velina e Quirina; d'onde il numero di esse ascese a trentacinque, oltre il quale non salirono mai. Poichè fu domata così la Sicilia quanta i Cartaginesi ne avevano posseduta, e fatta pace con esso loro, pareva che tutte le cose fossero non solamente quiete, ma eziandio sicure. Ma nacque d'improvviso una guerra d'onde meno aspettavasi, la quale, per pochi giorni a dir vero, pure occupò l'Italia col terrore di un' intestina discordia e colla maraviglia della celerità colla quale fu poi raffrenata. I Falisci usciti non so per qual causa del senno, ebbero ardimento di provocare alla guerra i Romani; ma i consoli colà spediti colle legioni nello spazio di sedici giorni compierono quell'impresa e ridussero quella gente nell'ubbidienza di Roma.

LXVII. Sed posterius certamen, minime dubio LXVII. Ciò non pertanto nella prima battaglia Marte pugnatum, Faliscos ad pacem petendam fecer dubbiosa la vittoria, poichè furono superiocompulit, cum suae iuventutis ad millia quindecim ri nella fanteria, mentre poi erano vinti dai cavaamisissent. Facta deditione armis, equis, supel- lieri. Ma la seconda pugna, di cui l'esito non fu lectile. servitiis, et agri semisse mulctati sunt: punto dubbioso, costrinse i Falisci a domandar la urbs, cuius munitionibus confisi bellum coepe- pace dopo ch'ebber perduti ben quindicimila solrant, ex arduo et praerupto loco in planum trans- dati. Come questo popolo si fu arreso, venne mullata. Severius in deditos consulturus populus tato in armi, in cavalli, in suppellettili, in schiavi, Romanus fuerat, odio civitatis, quae toties rebel- finalmente in una metà del territorio: la città melaverat, acrem vindictam meditans; sed imperavit desima, nella quale principalmente fidando aveirae, edoctus a Papirio (qui iussu consulum sua vano impresa la guerra, si ordinò che dal luogo manu deditionis formulam scripserat) Faliscos arduo e scosceso in cui era posta dovesse trasfenon potestati, sed fidei se Romanorum commi- rirsi nel piano. E il popolo Romano avrebbe più sisse; tantumque apud omnes sacrosanctum fidei gravemente trattato quella gente per l'odio in che nomen valuit, ut hoc interposito nihil inclemen- avevano una città ribellatasi tante volte, se non tius in viclos statuendum esse iudicarent. Id bel- avesse posto freno all'ira ammonito da Papirio lum effecit, ut triumphis consulum annus iste (il quale per comandamento dei consoli avea scritclauderetur. Q. Lutatius a. d. kalendas martiasta di proprio pugno la formula della dedizione),

tius in viclos statuendum esse iudicarent. Id bellum effecit, ut triumphis consulum annus iste clauderetur. Q. Lutatius a. d. kalendas martias de Faliscis triumphavit: a. d. IV non. mart. de jisdem A. Manlius.]

che i Falisci non si erano già commessi alla podestà dei Romani, ma unicamente alla loro fede: e tanto valse presso quel popolo il sacrosanto nome di fede, che giudicaron non doversi slabilir cosa alcuna che non fosse pietosa verso quei vinti che questa parola avevano invocala. Questa guerra fu cagione che il presente anno si terminasse coi trionfi dei consoli. Q. Lutazio lo celebrò il giorno innanzi alle calende di marzo; ed A. Manlio poi il quarto dì delle none di quel medesimo mese; tutti e due sopra i Falisci.]

LIBRO DECIMO

SOMMARIO

accresce il numero dei prelori fino a quattro. Sono tagliali a pezzi i Galli Transalpini, ch'erano penetrati in Italia. Dicesi che il popolo Romano avesse in quella guerra tra de' suoi e de'Latini da trecentomila armati. Condolli allora per la prima volta gli eserciti Romani oltre il Po, i Galli Insubri, sconfitti in alquante battaglie, si arrendeltero. Il console Marco Claudio Marcello, ucciso Viridomaro comandante de’Galli Insubri, riportò le spoglie opime. Sono assog

Si mando una colonia a Spolelo. Allora per Spoletium colonia deducta est. Adversus Ligures tunc primum exercitus promptus est. Sardi la prima volta si spedì un esercito contro i Liet Corsi, cum rebellassent, subacti sunt. Tuccia guri. I Sardi e i Corsi, ribellalisi, sono assoggelvirgo Vestalis incesti damnata est. Bellum Illy-tali. Tuccia Vestale è condannata per incesto. riis propter unum ex legatis, qui ad eos missi S' intima guerra agl'Illirii per aver ucciso uno erant, occisum, indictum est: subactique in de- | dei legati loro spediti: vinti, si arrendono. Si ditionem venerunt. Praelorum numerus ampliatus est, ut essent quatuor. Galli Transalpini, qui in Italiam irruperant, caesi sunt. Eo bello populus Romanus sui Latinique nominis CCC millia armatorum habuisse dicitur. Exercitibus Romanis tum primum trans Padum ductis, Galli Insubres, aliquot proeliis fusi, in deditionem venerunt. M. Claudius Marcellus consul, occiso Insubrium Gallorum duce Viridomaro, opima spolia retulit. Istri subacti sunt; item Illyrii, cum rebellassent, domiti in deditionem venerunt.gettali gl'Istri. Anche gl'Illirici, ribellalisi, doLustrum a censoribus conditum est, quo censa mati si arresero. I censori compierono il lustro sunt civium capita CCLXX millia, CCXIII. Li- nel quale si noverarono dugento settantamila berlini in quatuor tribus redacti sunt, cum antea dugento tredici cittadini. I figli dei liberli furon dispersi per omnes fuissent, Esquilinam, Pala- ridotti in quattro tribù, laddove prima eran distinam, Suburranam, Collinam; C. Flaminius cen-persi fra tutte: l' Esquilina, la Palatina, la Susor viam Flaminiam munivil: et circum Flami- | burrana, la Collina. Il censore Caio Flaminio nium exstruxit. Coloniae deductae in agro de selciò la via Flaminia, e fabbricò il Circo FlaGallis caplo, Placentia et Cremona. minio. Si mandarono colonie nel territorio preso a'Galli, a Piacenza e Cremona.

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LIBRO DECIMO

[I. (A. U. 513, A. C. 239). Pacata rursum Italia. cum securitate et imperio etiam voluptates publicae crevere. L. Livius Andronicus scenae spectacula, quae hactenus ultra satyram non processerant, commoediam tragoediamque Graecorum imitatus, ad fabulas transduxit, C. Claudio Ap. F. C. N. Centhone, M. Sempronio C. F. M. N. Tuditano consulibus, cum ludi Romani celebrarentur. Idem annus alii quoque generi ludorum initium attulit. A. d. IV. kalendas maias Floralia sunt instituta ex sibyllinis libris, ad avertendam pestem frugum, aliorumque terra nascentium, quae illa parte anni florere solent. Ludos edidere L. et M. Publicii Malleoli fratres, iidemque aediles plebis, ex pecunia mulctaticia, condemnatis pecuariis,qui in publico paverant. Magistratus horum fratrum alio quoque nomine celebris est, quod clivum, qui exinde Publicius vocatus est, sternendum locaverunt: quo commodius in Aventinum iter vehiculis esset, cum antea rupes ibi difficilis et aspera fuisset; quodque aedem Florae, iuxta Circum maximum, construxere.

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[I. 'A. R. 513, A. C. 239). Ricondotta di questa maniera la pace in Italia, colla sicurezza e coll'imperio si pensò di ampliare anche i pubblici divertimenti. L. Livio Andronico togliendo a modello le commedie e le tragedie dei Greci recò in foggia di ordito componimento gli spettacoli della

scena fino allora ristretti dentro i confini della satira, sotto il consolato di C. Claudio Centone, figliuolo di Appio e nipote di Caio, e M. Sempronio Tuditano, figliuolo di Caio e nipote di Marco. E in quell'anno medesimo ebbe cominciamento un altro genere di pubblica allegrezza. Perocchè interpretando un luogo dei libri sibillini, vennero istituiti nel quarto giorno delle calende di maggio i giuochi Floreali, onde tener lontano tutto ciò che nuoce alle messi ed agli altri frutti della terra, che in quella parte dell'anno sogliono vegetare. Questi giuochi furono dati da L. e Marco Publicii Malleoli, due fratelli edili della plebe, col danaro di alcune multe imposte a vari pastori, i quali avevano condotte le loro mandre a pascersi ne'pubblici luoghi. La magistratura poi di questi fratelli si rese illustre e famosa anche per un altro titolo, perchè fecero selciare il colle detto dopo di ciò Publicio, affinchè si potesse più comodamente e coi carri ascendere l'Aventino, dove per lo innanzi era una rupe malagevole e scoscesa; ed eziandio perchè fabbricarono presso al Circo massimo un tempio a Flora.

II. E queste furono le cose ch' ebbero luogo nell'interno della città. Al di fuori poi furono quasi all' intutto quiete le cose, se non in quanto si ebbe cagion di sospetto che dai Galli e dai Liguri si agitassero consigli guerreschi. Quindi può dirsi per congettura, più presto che sulla fede d' alcun documento storico, che fossero allora assegnate ai consoli queste province, e che siasi in quell'anno cominciata la guerra coi Galli; quando

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