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già più volte citata ('); e i suoi resultati son questi: Come i popoli d'oggi, esso dice, anche l'antichità classica poneva un diritto internazionale (Völkerrecht) accanto al proprio diritto particolare (Particularrecht). Questo diritto internazionale i Romani solevano denominarlo ius belli ac pacis in riguardo al suo contenuto, ovvero ius gentium in riguardo alla sua sfera di applicazione (). Questa denominazione di ius gentium venne trovata dai Romani quando essi, dopo di aver determinato con un lavoro di riflessione la natura e il concetto di quel diritto internazionale, ne riconobbero come subietto le gentes; e il concetto regolare che i Romani ebbero delle gentes fu quello di popolo, nel largo significato etnico, come famiglie di popoli, in opposizione a civitates e populi nel senso più stretto (3); e appunto nella qualità particolare di un tale soggetto giuridico i Romani trovarono la particolare caratteristica di questo diritto, che per ciò chiamarono ius gentium, in opposizione al loro diritto particolare. Questo legame fra il diritto e il subietto giuridico, che costituisce la caratteristica del concetto romano dell'ius gentium, Roma nel suo svolgimento lo mantenne sempre nel diritto internazionale. Ma due altri caratteri propri del diritto internazionale romano, che non risultavano abbastanza chiaramente nella denominazione di ius gentium, Roma ebbe cura di dichiarare espressamente in altre occasioni: tali sono il concetto della validità universale di quel diritto presso tutti i popoli (e ciò fu fatto specialmente risaltare nell' ius legationis) e quello della obbligatorietà del diritto internazionale per tutti gli uomini (liberi) direttamente. I Romani infatti non erano capaci, nei primi tempi, d'una rigorosa distinzione fra l'unità giuridica dello Stato e la pluralità dei suoi cittadini; ma piuttosto nel concetto di populi e di civitates comprendevano l' uno e l'altro di quei due concetti, talchè infine, in ultima considerazione, erano i singoli stessi considerati come subietti giuridici immediati dell'ius gentium; e come già i Greci avevano preceduto i Romani in questa maniera di considerare il diritto internazionale, così Roma potè elevarsi immediatamente a una simile concezione. Il Voigt passa quindi (') a determinare con prodigalità di dottrina e con ricerche lunghissime, che occupano quasi tutto il secondo volume dell'opera, l'origine e il vero carattere dell' ius gentium nelle private relazioni, in opposizione all' ius civile Romanorum; e ben dice l'Esmarch che è merito grande del Voigt di aver corretto gli errori delle teorie precedenti sull'ius gentium, mettendo nella sua vera luce, con acutezza pari alla

p. 270, ritiene che la sola espressione classica romana per indicare il diritto internazionale fosse quella di diritto feziale. Il Phillimore (Commentaries upon international law, I, p. 17-18 della 3a ed., Londra 1879) dopo aver detto che l'espressione ius fetiale non può venir meglio tradotta che come diritto pubblico internazionale nello stesso modo che l'istituto della recuperatio corrisponde al nostro diritto privato internazionale, soggiunge che ius gentium viene usato dai giureconsulti e dagli scrittori latini nel significato di diritto internazionale. Un concetto preciso di ciò che questi scrittori abbiano inteso di dire, non riuscii a formarmelo. Nè credo di affermar troppo, dubitando che un concetto preciso abbiano avuto.

(') Vol. II, specialmente §§ 5 e 84.

(*) Vol. II, § 5, p. 24-25.

(2) Vol. II, p. 25, e vol. I, Beilage II, n. 1, p. 544.

(') Voigt, specialmente § 65 e §§ 80-87. Cf. pure Esmarch, o. c. § 65 e Danz, R. G. I, p. 75. (II Aufl.).

dottrina, questo punto massimo della storia del diritto romano. A me basti rammentare come, secondo il Voigt, l'ius gentium non debba venire considerato nè come un aggregato di principî accidentalmente comuni acquistati dal confronto dei diritti valevoli presso tutti i popoli conosciuti dai Romani, nè come un diritto commerciale già esistente, riconosciuto successivamente da Roma, ma come diritto particolare romano, originato dalla coscienza e dalle vedute di Roma, la cui opposizione al diritto civile rigoroso si manifesta particolarmente in questo, che al principio della dominazione del diritto sulla persona sostituisce quello della dominazione sul territorio; talchè viene così riconosciuta ad ognuno, purchè libero, la capacità giuridica, che secondo il diritto civile rimane ristretta solamente al cittadino romano. Ma riconosciuta così l'esistenza di due diversi complessi di regole giuridiche, indicate l'uno e l'altro con una espressione medesima, come può giustificarsi questa strana anomalia? E il prof. Voigt ripigliando in esame quei tre caratteri essenziali, che, a suo dire, i Romani riconoscevano nel diritto internazionale, cioè d'essere un prodotto giuridico non già d'un solo popolo ma di più gentes, d'essere valevole egualmente non per un popolo solo ma per più gentes, e finalmente di aver per soggetti non i cives soltanto, ma tutti i liberi homines, fa risaltare come quest' ultima caratteristica fosse pure quella che più energicamente segnava l'opposizione fra il nuovo diritto che sorgeva (l'ius gentium di diritto privato) e l'ius civile Romanorum; e questo momento comune fra il diritto internazionale pubblico e il diritto internazionale privato, come il Voigt li chiama, costituito dal carattere internazionale dell'uno e dell'altro, è ciò che giustifica se quella medesima denominazione (forse neppure la lingua latina offriva una espressione diversa) fu adottata per l'uno e per l'altro, trascurando tutti gli altri elementi differenziali fra i due diritti, principalissimo quello che si riferisce al carattere pubblico dell'uno in opposizione a quello privato dell'altro (').

Riassunta così la teoria del Voigt, devo pur dichiarare ch'essa prende le mosse, a quanto parmi, da concetti non veri. Or ecco invece brevemente, come devo, la mia opinione su questo proposito. L' espressione di diritto delle genti può dar origine a due differenti interpretazioni, in quanto che si può comprendere sotto quel nome così il complesso di quelle norme che ogni singolo Stato individualmente riconosce come costituenti il proprio diritto particolare per le relazioni con gli altri Stati (das äussere Staatsrecht, direbbero i Tedeschi), quanto la somma dei principi che sono egualmente riconosciuti ed esercitati da tutti gli Stati nelle loro relazioni esteriori, e che costituiscono per tal maniera il diritto esterno comune di tutti gli Stati (das äussere Staatenrecht, ius inter gentes). È in questo secondo significato che viene oggi inteso il diritto internazionale, ed è così soltanto che il diritto internazionale può essere elevato a sistema scientifico con un contenuto relativamente fisso ed universale; e mentre la materia che al primo di quei due concetti si riferisce rientra oggi di preferenza nel diritto interno dei singoli Stati, è soltanto in questo significato, io credo, che si può parlare di un diritto delle genti che l'antichità

conoscesse.

(1) V. p. 659-660.

L'avviamento per passare dalla prima alla seconda forma dell'äussere Staatsrecht, che è, possiam dire, il diritto internazionale dell'antichità, all'äussere Staatenrecht, che è il diritto internazionale moderno, dovette storicamente avvenire da prima con la osservazione di fatto, resa possibile da contatti frequenti di guerra e di pace, che taluni dei principî di diritto pubblico esterno si trovavano egualmente da tutti i popoli riconosciuti; per tal maniera veniva reso possibile di elevarsi lentamente alla concezione di un diritto pubblico esterno di tutti gli Stati; mentre è pur probabile che successivamente dovesse formarsi nel diritto pubblico esterno dei singoli Stati una distinzione, almeno di fatto, tra quei principì che il singolo Stato soltanto, o pochi altri ancora, riconoscevano, e quelli che da tutti i popoli erano ammessi, ed ai quali per tal modo, con l'accordo di tutte le genti, si accresceva un nuovo argomento di validità, di cui mancavano gli altri. E tutto questo appunto io ritengo che accadesse presso a poco in Roma. L'errore fondamentale del Voigt mi pare che stia nel concetto che del diritto internazionale romano egli si forma. A quanto egli dice, i Romani sin dal loro principio avrebbero posseduto un vero e completo diritto internazionale, come vero complesso di regole giuridiche indipendenti, riconosciute da tutte le nazioni, secondo il concetto moderno; un vero diritto internazionale, che i Romani avrebbero sottoposto immediatamente ad una scientifica elaborazione (in Folge einer sich besinnenden Betrachtung (') ), e conseguentemente elevato quindi ad una speciale trattazione scientifica. Come tutto questo sia contrario alla verità non occorre ripeterlo. Il diritto internazionale primitivo di Roma non fu nè poteva essere un äusseres Staatenrecht, come crede il Voigt, bensì fu un äusseres Staatsrecht, in legame continuo di dipendenza e di origine con la costituzione interna, con la politica di governo, con la religione, e di cui le gentes costituivano non già il soggetto giuridico, ma l'oggetto, sul quale di fatto quel diritto veniva esercitato.

Il loro diritto internazionale, dice il Voigt, i Romani chiamavano talvolta ius belli ac pacis, se avevano riguardo al suo contenuto, tal'altra ius gentium, se ponevano mente alla sua sfera di applicazione (); talchè le due espressioni sarebbero equivalenti e starebbero ad indicare lo stesso complesso di relazioni giuridiche. Ma quando mai in verità, vorrei chiedere, la clarigatio, l'obbligo di uccidere un porco con un selce sacro, tutto il sistema romano di dichiarare la guerra e di stringer le paci, tutto il diritto feziale in una parola, che costituisce l'ius belli et pacis Romanorum, è detto ius gentium? E v'è neppur uno dei caratteri che il Voigt medesimo ha stabiliti come essenziali dell'ius gentium, che possa adattarsi a tutto ciò? A me pare invece che seguendo i concetti che ho posto più sopra, si possa giungere ad un resultato migliore.

Noi ritroviamo nel diritto romano un aggruppamento di regole e di precetti ordinati sotto il nome di ius fetiale, la dichiarazione positiva del cui contenuto formerà argomento di queste ricerche. Or questo diritto feziale, che non ha relazione, a quanto io credo, con l'ius gentium, costituisce il diritto esterno particolare di Roma (das äussere römische Staatsrecht), che i Romani, avendo particolarmente

(') O. c. p. 25.

(*) P. 24-25.

riguardo al suo contenuto, solevano indicare col nome di ius belli ac pacis ('); ed era appunto secondo le regole di questo diritto, che Roma sino dai suoi principî procedeva nelle sue relazioni con gli altri Stati; a un diritto internazionale nel moderno significato, di cui le gentes fossero veramente il soggetto, non l'oggetto giuridico, Roma non poteva elevarsi, come già dissi, che mediante questa osservazione: che fra gli Stati che venivano con essa in pubblica relazione di guerra o di pace, taluno si governava secondo un diritto esterno organizzato presso a poco alla stessa maniera del diritto esterno romano, altri popoli invece si reggevano in differente maniera, dalla sua più o meno discosta; ma da tutti gli Stati pur tuttavia erano riconosciuti comunemente taluni principî di diritto, che già formavano parte del diritto feziale particolare di Roma (*). E si mostra naturale che questi precetti di diritto pubblico esterno, raggruppati insieme, venisser indicati con il nome di ius gentium, il quale si riferisce nel tempo stesso al subietto e alla sfera di applicazione del diritto medesimo. E questa pratica conseguenza Roma doveva ritrarre da quella osservazione, cioè di poter pretendere, in certa maniera, che quelle prescrizioni di diritto pubblico esterno venissero sempre, a differenza di tutte le altre, anche dagli altri popoli rispettate, mentre le violazioni che contro quelle erano fatte apparivano non già come violazioni del diritto particolare di Roma, ma contro il diritto riconosciuto da tutte le genti, contra ius gentium. Quali e quanti fossero questi principî per tal modo fissati, a me non interessa nè spetta di rintracciare qui. Questo certamente ci è concesso di supporre, che la maggior parte dei principî di diritto internazionale comuni a tutta l'antichità dovevano riferirsi o a concetti religiosi comuni, o ai barbari diritti che tutta l'antichità accordava in hostes e in res hostium. Ma ciò, come dicevo, a me non importa. Interessa invece di poter ritrovare nei fonti una conferma a queste mie parole. Dell'ius gentium, nel significato di diritto pubblico, non è mai fatto discorso ex professo dagli scrittori latini. Ma per noi è già abbastanza di poter constatare che nessuna di quelle relazioni internazionali che noi abbiam detto di diritto pubblico esterno particolare, viene indicata dai Romani come ius gentium, mentre dall'altra parte quelle relazioni che sono dette tali, sono egualmente iuris gentium secondo i nostri principî. Senza discendere a un esame troppo minuto, basti dire qui che nel maggior numero dei casi la espressione ius gentium si trova adoperata in relazione con i legati e con il loro diritto (3), e, ciò che importa, tanto questa quanto tutte le altre

(') V. sopra p. 11, nota 1. Ius belli ac pacis può avere, ed ha anzi generalmente, significato ben più largo che diritto feziale, in quanto che la espressione, nella indeterminatezza sua, può alludere tanto ad uno stretto ius belli ac pacis Romanorum, quanto ad un ius belli ac pacis omnium gentium (e quindi anche Romanorum). Su questo ritornerò. Tanto volli dire adesso, perchè non possa sembrare ch'io faccia di diritto feziale e di ius belli ac pacis due espressioni equivalenti. (3) Come ognun vede si può applicare ottimamente al diritto pubblico esterno quella sentenza, che Cicerone diceva per l'ius gentium nelle private relazioni: «quod civile (potrebbe dirsi feliale) <<< non idem continuo gentium, quod autem gentium idem civile esse debet » de off. III, 17, 69. Su queste parole di Cicerone v. Voigt, n. 38, p. 68.

(') Pomponio, 1. 17 D. De legat. (50. 7); Livio, I, 41, 1; II, 4, 7; IV, 17, 4; IV, 32, 5; V, 4, 14; 36, 6 e 8; 51, 7; VI, 1, 6; VIII, 5, 2; XXI, 10, 6; XXX, 25, 10; XXXIX, 25, 10; Ps. Asconio, In Verre 2, I, § 85 (pag. 183, vol. 5, ed. Orelli); (A. Vittore) De Vir. ill. c. 23; Tacito, Annali, I, 42; Q. Curzio, IV, 9, 15; Seneca, De ira, III, 2.

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perdon app was perthe Amit #gureto tersale riisines £tte.

boa, teternitza ente oppå questa alpifcazione E nur pection, dovrei pasare ad altra rara, testis & gistihare passaggio di quella denominatione at indfare un antas somplesso #rappari gurihi A primo erst differente. Ma gkreto e argument, he ditrepasserelle truppe i limiti che mi son posti. Mi basti una breve esneltenzioze. Ho detto che il Vale, partendo dal giusto principio che I'ma wielerazione serais il einsetto romano gli indivilai sessi appariscono come confenti del diritto Internazionale 1. ritrova quel punto di passagio nel carattore del a antennas and 4. eon il quale per tal modo l'une e Paltro si opponevano alias elle Row anorwo. Ne io vorro ass lutamente respingere questa giustifica12. ne egalmente si adatta a quello ch'io dissi sal concetto dell'ius gentium. Ma e par vero che facilmente si presenta qualche motivo per dubitare. Giacchè se

ne in fine era l'individus medesimo che, secondo il concetto romano. appariva come soggetto dell'ius publicum, è pur vero peraltro che vi appariva in maMera ben diseres da quella in cui si mostrava come soggetto dell' ius privatum: ne tutti persio vorranno forse ammettere che il carattere dell' internazionalità del diritto pubblico fosse tale da poter far sorgere nella mente dei Romani l'idea d'una opposizione fra esso e il rigoroso diritto civile, opposizione che darebbe il punto di passaggio con l'ius gentium posteriore. Ma comunque sia di ciò, voglio soltanto osservare che un momento comune fra i due diritti si potrebbe pure trovare in questo, che l'uno e l'altro sorgono come un complesso di regole giuridiche opposte al diritto particolare di Roma, l'uno al diritto pubblico esterno particolare di Roma (ius fetiale). l'altro al suo particolare diritto privato ius civile Romanorum), talchè nelle relazioni private l'ius gentium sarebbe, in certa maniera, un diritto internazionale privato di fronte al diritto privato nazionale di Roma, egualmente come nelle relazioni pubbliche si manifesterebbe come un diritto pubblico esterno internazionale di fronte al diritto pubblico esterno nazionale di Roma. Pensando ancor qui che probabilmente la lingua latina neppure offriva una espressione diversa per indicare il nuovo diritto privato che sorgeva, che il diritto pubblico rimase sempre

(') Gaio. 1. 5. § 7 D. De adquir. r. d. (41, 1); § 17, I. De rer. div. 2, 1); Livio, IV, 19, 3; XXXVIII, 25, 9: XL, 17, 4; e cfr. XL, 11, 7; 12, 13) XL, 27, 9; XLII, 41, 11: Sallustio, De. B. J. c. 22 e 35: Cicerone, Pro Rab. Post. 15, 42: Giustino, Hist. phil. 38, 5; Cornelio N., Temistocle 7, 4. V. pure Dionisio III, 8: VI, 16. Plutarco, Cammillo 17; Pericle 29: Appiano Gall. III. — Ius gentium, anche nel significato di diritto pubblico viene talvolta confuso dai giureconsulti romani col di ritto naturale. Cosi Gaio 1. 5, § 7 D. De adquir. r. d. (41, 1) dice che « quae ex hostibus capiuntur iure gentium statim capientium fiunt mentre nelle sue istituzioni scrive che « quae ex hostibus capiuntur, naturali ratione nostra fiunt ». E questo sarebbe argomento che darebbe occasione a troppo lunghe osservazioni. Dall'altra parte anche l'espressione ius belli, in quanto allude ad un ius belli omnium gentium, ha sovente lo stesso significato che ius gentium. È così che si spiega, per non citare che un esempio solo, che il principio quae ex hostibus capiuntur capientium fiunt », che abbiamo veduto giustificato come principio iuris gentium e iuris naturalis, venga egualmente fondato sull'ius belli (Livio IX, 1, 5).

*) Su questo concetto cf. Ihering. Geist I, p. 215-216.

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