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cielo per trarne augurî: « ne quid de caelo servaret » ('). « Veritas auspiciorum spreta est; species tantum retenta » (2). E benchè la fede grossa dei più, che, contenta alle esterne formalità dei riti non ricercava più in là, maggiormente resistesse all'onda dei nuovi tempi, nonostante già un lieve spirito di miscredenza, fatto più forte dall' impudenza dei governanti, si introduceva anche nelle loro credule menti. E più gravi avvenimenti si preparavano. Roma non aveva più fiducia nella protezione dei suoi vecchi dei; e l'introduzione in Roma di Cibele, la frigia madre degli dei, apre la via a tutti i culti stranieri. Nè basta; e nuove scosse si preparavano al tentennante edifizio. Era il tempo in cui fioriva la turpissima religione di Bacco, e in cui due auguri non potevano incontrarsi per via senza ridere.

I numi sono rappresentati nelle commedie donnaiuoli, dissoluti, ebbri, imbroglioni: Giove adultero, Mercurio mezzano; la religione séguita nelle sue esterne apparenze, ma nessuno le presta più fede. Era preso in burla chi pretendeva d'intendere ancora la lingua degli uccelli (3). Ennio canta fra gli applausi del popolo che gli dei non prendono cura delle umane cose (), e Plauto manda tutti gli aruspici ad impiccarsi: Suspendant omnes nunc jam se haruspices (5). L'antica religione crollava, impotente a sopportare il peso della nuova maestà romana.

Fra tanto rovinare dell'antica religione, come poteva reggersi l'istituto feziale, che di quella primitiva religione porta impresso in se stesso così fortemente il suggello, che della religione era appunto una parte (), che dalla idea religiosa aveva tolta la sua nascenza, e che in essa trovava la sua giustificazione e tutto il suo contenuto? Noi troveremo altre cause, che unendosi a questa ci giustificheranno ancor più, e ci dimostreranno come un fatto storicamente necessario la decadenza di quest' istituto. E son tutte cause che l'una con l'altra si collegano, e che vicendevolmente si spiegano; ma questa, che ho accennata, è quella la cui influenza più direttamente si manifesta.

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Eppure, benchè caduto completamente al basso, l'istituto feziale, come nessun' altra parte della religione romana, fu mai legislativamente abolito; e perfino sotto l'impero noi ne troveremo più d' una traccia, benchè il nome soltanto ne continuasse ad esistere, ma in verità fosse fuor di dubbio destituito completamente non soltanto di ogni autorità, ma altresì d'ogni regolarità e perfino d'ogni parvenza di funzioni. E se pur nonostante non fu abolito, deve attribuirsi ad un costume dei Romani, che mai non sopprimevano con una legge ciò che altra volta dall' uso o dalle leggi fosse stato sancito, ma lasciavano che tutte le istituzioni percorressero il loro storico svolgimento, finchè giungessero all' epoca fatale del loro declino, lasciandone pur sempre sussistere le esterne apparenze, quand' anche la sostanza fosse da lungo tempo venuta meno. Già profondamente aveva detto il nostro Nicolò Macchiavelli; « Colui che desidera o che vuole riformare uno stato di una città, a

(') Cic., Pro Sestio 61.

(1) Cic., De n. D. II, 3, § 9.

(*) Pacuvio, in Cic., De divinal. I, 57.

(*) In Cic., De divinat. II, 50; cf. Plauto, Casina, II, 5, 23 segg.

(*) Poenul. III, 5, 1.

(") Dionisio, II, 72.

volere che sia accolto e poterlo con satisfazione di ciascuno mantenere, è necessitato a ritenere l'ombra almanco de' modi antichi, acciò che a'popoli non paia avere mutato ordine, ancora che in fatto gli ordini nuovi fussero al tutto alieni dai passati » (1).

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CAPITOLO SECONDO

Nome, origine e costituzione interna collegiale dei feziali.

§ 1. Nome ed origine dei feziali.

Fin dalla soglia di queste ricerche dobbiamo un istante arrestarci, perocchè non son concordi gli scrittori sulla maniera come fetialis debba essere scritto, e assai venne disputato sull'argomento. Io, brevissimamente (tanto più che la controversia credo che ormai dovrebbe ritenersi acquietata), dirò che non potendo recarci aiuto nè la ragione etimologica, che è incerta, nè la ragione paleografica perocchè nei codici si trova ora fetialis ed ora fecialis, rimane solo di ricorrere alla scrittura epigrafica; e questa concordemente ne mostra soltanto la forma fetialis, provenendo da esemplari corrotti quelle poche iscrizioni che nelle collezioni antiche recavano invece fecialis (*). Questa universale concordanza della scrittura epigrafica già da sola ci è indicazione sicura per la retta scrittura della parola. Sono argomenti sussidiarî per la medesima conclusione, il modo come gli scrittori greci fanno greca tale parola, traducendola ora giviάhio (3) o giriakɛis (*), ora gyuάhes ("), talvolta geriάhes (°), ma sempre col . E un altro sussidiario argomento io traggo pure della etimologia, giacchè quella che a me sembra preferibile si trova appunto d'accordo con la giusta scrittura della parola.

Di poche parole, io credo, furono studiate e dette tante etimologie come per la parola fetialis. Taluno la volle derivata da fides, sulla autorità di Varrone (');

(') Discorsi I, 25. V. pure Osenbrüggen, o. c. p. 30; Weiske, o. c. § 13, p. 18. Ai tempi degli Antonini, dice Duruy (Hist. des Romains I, 93, Paris 1879), i fratelli Arvali ripetevano dei canti, che datavano forse da Numa. In altro luogo radunerò numerosi esempi, che serviranno a spiegare meglio ancora questo concetto.

(3) Così per Grutero, Inscriptiones antiquae ecc., p. 360, n. 3, p. 1107, n. 4 e p. 364, n. 1, vedi Mommsen, Corpus I. L. IX, 2845; id., III, 1, n. 248; id., VI, 1, n. 1686; per Muratori, Novus Thes. 397, 4 e Orelli-Henzen 5502, vedi Borghesi, Opere (ed. Parigi) V, p. 457; per Gudio, Ant. Inscript. 131, 6, vedi Orelli-Henzen, n. 6020. Cf. poi specialmente Marini, Gli atti e i monumenti de' fratelli Arvali, II, 708, e Hagenbuch in Orelli-Henzen, I, p. 392-394.

(*) Plutarco, Numa 12.

(*) Plutarco, Numa 12.

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(3) Plutarco, Cammillo 18. Silburgio, nel suo commento a Dionisio, II, 72, ritiene, sulla autorità di Suida, Lexicon s. v. gηriákɛis, che questa sia la retta forma.

(") In Plutarco, Quaest. Rom. 62, si legge pidiátio, ma certamente trattasi d'un errore di copista, come già osservava Xilandro nel suo commento a quel passo. I Greci d'altronde sovente traducono feriali nella loro lingua, chiamandoli ειρηνοδίκαι, εἰρηνοποιοί, ειρηνοφίλακες, σπονδοφόροι ecc. V. Stephanus (Thes. graecae linguae) passim.

(') De lingua lat. V, 15: « Fetiales (dicti) quod fidei publicae inter populos praeerant >.

altri da foedus su quella di Servio ('): chi preferì invece chiamar Festo in appoggio, e fece derivare fetiales da ferire (foedus) quasi feriales (2); altri, e Conradi fra questi, invocando una malsicura testimonianza di Plutarco (3), ne trasse l'origine a faciendo; e così innanzi. Io dirò solamente che maggiore garanzia scientifica di probabilità parmi che offra la derivazione che più recentemente venne proposta per il primo da Lange (*), secondo la quale fetialis deriverebbe da fetis, un sostantivo antiquato che sarebbe in relazione con fateri e con fari; e questa derivazione trova sostegno nella esistenza d'un verbo osco fatium (il quale corrisponderebbe appunto al latino fari), che fu letto in una epigrafe scoperta sopra una laminetta di piombo in un antico sepolcro di S. Maria di Capua (5). La derivazione, ripeto, mi par verosimile; tanto più che abbiamo traccia nella lingua latina di una forma verbale fatiatur col medesimo significato, se vogliamo accettare la correzione e la interpretazione che del framm. VIII, 22 delle dodici tavole ha proposto lo Schoell ().

Secondo questa derivazione, fetiales potrebbe correttamente tradursi come

oratores.

Qualcosa più che sulla origine etimologica gioverà dire sulla origine storica dei feziali, materia sulla quale altrettanto furon varie le supposizioni dei dotti. Argomentando da teorie preconcette sulle origini italiche e da certe pretese analogie che si vollero ritrovare fra il collegio feziale e la corporazione greca dei xýovxes, buon numero di scrittori vollero sostenere la origine greca della istituzione ('). Al che anzi tutto giova rispondere che espressamente dobbiamo escludere ogni argomento il quale riposi sopra una base così discorde e malcerta come quella delle origini nostre; argomenti che ne trarrebbero necessariamente ad avventurarci in quel mar periglioso, dove le più contrarie opinioni hanno trovato il loro rappresentante, e dove, dopo tanto indagare, a nessun resultato siam giunti fuorchè quello di una sapiente ignoranza. E neppure ci arresteremo a combattere la deduzione che si vorrebbe trarre dal fatto che anche in Grecia si trova quel concetto che sta a base della nostra istituzione; mentre, come abbiam detto, esso è la conseguenza naturale

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(') « Fetiales » dice Servio ad Aen. IV, 242 « a foedere dictos »; mentre in altro luogo (ad Aen. I, 62) trae invece foedus da fetialis: « foedus autem dictum vel a fetialibus id est sacerdotibus per quos fiunt foedera ecc.

(*) Festo, De V. S., s. v. fetiales: « Fetiales a feriendo dicti: apud hos enim belli pacisque faciendae ius est »; dove peraltro Conradi, seguendo il Nieupoort, vorrebbe leggere a faciendo anzichè a feriendo; nè forse a torto.

(3) In Numa cap. 12.

(*) R. A. I, 322-323.

() V. Minervini nel Bullellino archeol. napoletano; N. S. anno 5, p. 100 segg. V. pure, nella Zeitschrift für vergleichende Sprachforschung di Kuhn: Corssen, Zum oskischen Dialekt, vol. XI, p. 321 segg.; Ascoli, Zur latein. Vertretung der indogerm. Aspiraten, vol. XVII, p. 335; Budde a pag. 456 del vol. XXII, ecc. Cf. pure Zvetaieff nel Glossario aggiunto alle sue iscrizioni osche (Pars prior, Petropoli 1878) p. 148 s. v. fatium.

(*) Legis duodecim tabul. reliquae, Lipsiae 1866, dove a p. 91 questa descrizione di fetialis vien posta fuori di dubbio.

(") Così principalmente Conradi cap. I, § 4, nonchè Claro Silvio, Comment. ad leges tam regias ecc. cap. XII, p. 259; Ritter, I, § IV, p. 5-9; e altri ancora.

d'uno spontaneo atto di riflessione di ogni popolo giunto a un grado sufficiente di mitezza e di umanità di costumi ('); e dall'altra parte quel concetto assunse in Grecia uno sviluppo così differente nella corporazione dei xnovxes (corrispondente piuttosto ai praecones latini; e con xnovxes infatti gli scrittori greci traducono il latino praecones) da non poter far sorgere neppure l'idea, io credo, d'una parentela di discendenza fra le due istituzioni. « Von den Fetialen » scrive Ottofredo Müller (2) << stehen die griechischen Spondophoren welche den Olimpischen und andere Gottesfrieden ansagten, zu weit ab, als dass daraus irgend ein Schluss auf gleichen Stamm der Bevölkerung gezogen werden dürfte ». - E senza neppur ricordare, chè non ne vale la pena, l'argomento che Conradi vorrebbe trarre, in favore della derivazione greca, da un passo di Dionisio (3), voglio dire piuttosto che la opinione medesima, sotto altra forma che la rende ancor maggiormente strana ed inverosimile, venne sostenuta da Göttling (*), il quale riconosce l'istituto dei feziali ai popoli di origine pelasgica o tirrena, e lo nega a quelli di origine sabina. Or se qualche cosa mi sembra sicuro sulle origini nostre, è la parentela dei primi popoli italici, dimostrata specialmente dalla filologia comparata. Se è provato che tutti questi ceppi primitivi dei Sabini, degli Umbri, dei Volsci, dei Latini, parlarono il medesimo dialetto della medesima lingua, è ben concesso dedurne l'unità di origine e da questa pure la comunanza di costumi, di istituzioni, di culti (*). Ond'è ch' io ritengo che se una istituzione noi la ritroviamo per sicure testimonianze essere stata comune a diversi popoli italici, dobbiamo ritenere, in mancanza di argomenti contrarî, che tutti i popoli italici più o meno sviluppata la possedessero. E ciò si avvera appunto per i feziali. Gli argomenti che Göttling espone in favore della sua affermazione son così privi d'ogni apparenza, persino, di serietà, che neppure vale la pena di sottoporli alla discussione. E tanto più strana parrà questa opinione di Göttling, quando si pensi che Numa ed Anco Marcio, i due re ai quali ora all'uno ora all'altro vediamo attribuita la introduzione in Roma del nostro collegio, e l'uno e l'altro sono sabini; quando ricordiamo che di origine sabellica erano pure gli Equicoli da cui concordemente la tradizione racconta aver tolto Roma questo istituto; quando si pensi infine che sono da Livio (") espressamente ricordati i feziali dei Sanniti (i quali furono, come è ben noto, un rampollo sabino). Ed è curioso come Göttling a questo

(') Ben più a ragione allora, se vero non fosse quel ch'io dico, dovremmo far derivare dagli Ebrei l'istituzione feziale, giacchè presso gli Ebrei noi troviamo quel concetto fondamentale ancor più nettamente determinato che presso i Greci. Si leggano ad es. queste parole di Giuseppe (Antiq. Judaic. V, 2, 9; v. pure IV, 8, 41): « Eos autem reprimebat senatus, suadens non oportere ita subito bellum inferri popularibus, priusquam querelae verbis disceptatae sint, cum lex ne in externos quidem permittat iniuriae affectis producere exercitum, nisi legatione prius missa, tentatisque viis, quibus ad saniorem mentem revocari possint. Aequum igitur esse ut iuxta legem ad Gabaënos legati mittantur qui sceleris auctores ad supplicium deposcant: et illis quidem deditis, horum poena contentos esse debere ».

(*) Die Etrusker, neu bearb. von W. Deecke (Stuttgart 1871) I, 372.

(*) I, 21; cf. Müller, Die Etrusker I, 371 segg.

(') Gesch. der röm. Slaatsverf. p. 21-23.

(*) Cf. Schwegler, Röm. Gesch. I, 176.

() VIII, 39, 14. Cf. IX, 1, 3-4; Appiano. Samn. IV, 1.

punto si difende, dicendo che se pur Livio li chiama feziali, veri feziali non sono, e se tali li chiamò lo fece per analogia con la istituzione romana. Ma non basta ancora; perocchè Dionisio parlando precisamente dei Sabini (') dice com'essi mandarono κήρυκας ο πρεσβείαν a richieder le loro donne e a domandare giustizia dei rapitori (καὶ δίκας ὑπερ αίτων αἰτήσουσαν τῆς ἁρπαγής). Ε ben può credersi che qui si tratti di feziali veramente, quando si pensi che la frase và díxaia aitɛiv è precisamente quella con cui Dionisio traduce sempre la espressione res repetere, che è appunto, come dirò, la frase tecnica per indicare l'ufficio dei feziali medesimi (3). Göttling negò i feziali ai Sabini; il Laws (3) invece, e più recentemente il Pantaleoni (*), negarono i feziali agli Etruschi. Il Pantaleoni non reca argomenti positivi in sostegno; il Laws cita due passi di Livio da cui risulterebbe che Porsenna ricevette ostaggi da Roma, quod, dice il Laws, per leges fetialium non licebat. Ma perchè, se è lecito? Questo soltanto sappiamo, che per i foedera solennemente conchiusi secondo il diritto feziale non vi era necessità di ostaggi (*); ma ciò non ha nulla a che fare con l'argomento del Laws. Dovremmo concludere dunque che neppure i Romani conobbero l'istituto feziale, perchè nel foedus da essi conchiuso con Antioco, per es., si fecero consegnare 20 ostaggi? (*) E sarebbe troppo lunga briga enumerare tutti i casi nei quali Roma egualmente ricevette ostaggi.

Noi, concludendo, dacchè troviamo presso varî popoli italici memoria di feziali, e d'altronde nessun argomento v'è per dimostrare che a qualcuno fra essi fosse sconosciuto, per quelli argomenti d'indole generale che esposi più sopra possiam ritenere che l'istituzione feziale sia stata istituzione universalmente italica.

Ho detto che presso diversi popoli troviamo menzione dei feziali. E infatti, oltre che presso i Sanniti e i Sabini, di cui già parlammo, abbiam ricordo dei feziali presso i Latini () (e specificatamente d'un pater patratus populi Albani (*) e d'un pater putratus populi Laurentis (")), nonchè presso gli Equicoli (1o) e gli Ardeati (''); che anzi, come or ora vedremo, all'uno o all'altro di questi due popoli narra la tradizione che Roma abbia tolto il diritto feziale (1).

(') Dionisio, 37.

(') Cf. Brandes, 1. c. (v. letteratura) p. 535.

(*) O. c. § 1, p. 6.

(*) Storia civile e costituzionale di Roma, I, app. 3, p. 659.

(5) Livio, IX, 5, 3.

(") Livio, XXXVIII, 38, 15.

(') Livio, I, 32, 11: « pater patratus Priscorum Latinorum » V. in Festo s. v. Prisci Latini. (*) Livio, I, 24. Vedi pure I, 22, 4.

(*) Orelli-Henzen, n. 2276.

(1o) Livio, I, 32, 5; e inoltre altre testimonianze che ricorderò tra poco.

('') Dionisio, II, 72.

(") Parrà strano dopo tutto ciò che Teodoro Mommsen abbia potuto manifestare una volta una opinione che è in aperta contraddizione con le testimonianze che abbiamo raccolto; seppure v'è chi di così lievi mende voglia far colpa a tant'uomo. Egli ad ogni modo nelle prime edizioni della sua Storia Romana, dopo aver detto che nelle comunità ordinate secondo il tipo latino si rinvengono dappertutto gli auguri ed i pontefici, aggiunge che i faziali ed altri collegi all'incontro rimasero ristretti in Roma: «wogegen die Duovirn, die Fetialen und andere Collegien. . . . . in Rom ent

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