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collegio chiuse, che si completava mediante cooptazione, che nominava esso stesso il proprio capo, e determinava esso stesso, a quanto è da credersi, i feziali che volta per volta dovevano partire in legazione, per capacitarsi come il Senato non potesse concedere che d'accosto e anzi di fronte a lui, sottraendogli gran parte della autorità sua, si consolidasse un collegio rivestito di così gravi e pericolose funzioni, che il Senato, per l'autorità sua, per l'indipendenza della potestà civile, per l'unità del governo, doveva richiamare sotto la sua giurisdizione. È così che mentre il Senato introduceva i suoi legati (legati nel rigoroso significato) che da lui erano scelti volta per volta e da lui direttamente dipendevano, aveva cura contemporaneamente di togliere ai sacerdoti, per restringerle in questi nuovi legati, ogni funzione diplomatica, lasciando ai primi soltanto quei vuoti e formali ufficî, che mentre dinanzi alle pie menti avevano così grande importanza, non mettevano timore nel Senato, e ne aiutavano all'incontro a meraviglia gli intendimenti politici. E sovratutto tre narrazioni che Dionisio ci ha conservato varranno a farci comprendere in quale maniera avvenisse questa coesistenza dei legati e dei fetiales nel periodo che precedeva la dichiarazione della guerra.

Avendo fatto ricorso i Latini al Senato Romano (ci racconta lo storico d'Alicarnasso IX, 60) contro gli Equi che facevano depredazioni nel loro territorio, i padri nè decisero di mandare un esercito, nè concessero ai Latini di recar guerra agli Equi, ma scelti tre legati (лo̟ɛσßɛúτas) li mandarono agli Equi, perchè chiedessero se quelle depredazioni fossero state commesse per comune consenso o soltanto per privato consiglio, ed in tal caso perchè domandassero la consegna delle cose rubate e dei colpevoli. Dettero gli Equi ambigua risposta, negando che quelle ruberie fossero state compiute publico consilio, ma negando pure di consegnarne gli autori. Talchè Fabio, capo della legazione romana, indignato, e fatto accorto della simulazione degli Equi, ritornò a Roma a far conscio di tutto il Senato; il quale tosto decise di mandare feziali che dichiarassero la guerra agli Equi (rovs εἰρηνοδίκας εψηφίσατο πέμπειν καταγγελοῦντας Αἰκανοῖς τὸν πόλεμον) se non dessero le soddisfazioni volute.

Or da questo passo noi possiamo concludere con sicurezza: 1° che i Romani riconoscevano due diverse forme di rerum repetitio, fra le quali ponevano chiara ed importante differenza, in quanto che la prima era una domanda di soddisfazione fatta a caso nuovo, quando v'era speranza e desiderio d'un esito favorevole che impedisse la guerra, e la quale perciò traeva con sè le trattative diplomatiche; mentre la seconda repetitio rerum era pur diretta alla soddisfazione, ma nel maggior numero dei casi non aveva che il valore di formalità; 2" che a compiere la prima funzione veramente diplomatica, e per la quale perciò non erano prescritte leggi nè formule, veniva spedita una legazione speciale, che il Senato nominava secondo i suoi criterî; mentre la seconda funzione era compiuta dai feziali con quelle formule e con quella procedura che già abbiamo narrato, ed aveva luogo soltanto quando l'esito della prima legazione si fosse dimostrato vano; e la funzione dei feziali riapparisce così nella sua vera significazione, come funzione inutile, per lo più, diplomaticamente, ma dalla legge religiosa e dalla coscienza romana ritenuta in così alto concetto di necessità.

Un altro fatto raccontato pure da Dionisio (') conferma e rafforza queste conclusioni. Avendo anche questa volta gli Equi recato guerra ai Latini, alleati di Roma, il Senato mandò una legazione (лqɛσßɛías), che agli Equi ne movesse lagnanza e ne chiedesse soddisfazione; ma Clelio, capitano di questi, dette audace e superba risposta; pur nonostante i Romani non ruppero tosto guerra, ma mandarono una seconda legazione e con essa i santi feziali (δευτέραν ὡς αὐτὸν ἀπέστειλαν πρεσβείαν καὶ τοὺς Φιτιάλεις καλουμένους άνδρας ἱεροὺς ἔπεμψαν), chiamando gli dei a testimonio che, se non potessero ottenere il loro diritto, sarebbero stati costretti a recare agli Equi pia e giusta guerra (ἐπιμαρτυρόμενοι θεούς τε καὶ δαίμονας, ὅτι μὴ δυνηθέντες τῶν δικαίων τυχεῖν, ὅσιον ἀναγκασθήσονται πόλεμον ἐκφέρειν).

Ed un terzo passo pur di Dionisio (3) giova anch'esso ottimamente al fatto nostro. I Romani giudicando contraria ai patti dell'alleanza la condotta dei Sanniti, mandano ad essi, prima di romper la guerra, legati e feziali, « non volendo trascorrere alle armi se non avessero prima esperimentato ciò che potessero le parole ». Giunti al cospetto dei Sanniti, cominciarono a discorrere i legati, facendo loro comprendere come avessero agito contro i patti ed esponendo ciò che Roma chiedesse di soddisfazione. « Se ciò otterremo » essi concludono, « noi rimarremo contenti; altrimenti invochiamo a testimonio gli dei per i quali giuraste l'alleanza; e perchè ciò facessero abbiamo condotto i feziali con noi » (3). Non è creduta soddisfacente la risposta dei Sanniti, ed è allora infatto che si fa innanzi il feziale romano, pronunziando quella solenne protesta, che abbiamo già trascritta in altro momento.

Talchè, riportandoci alle conclusioni che abbiamo dedotte e poi maggiormente confermate, possiamo affermare che fin dai tempi repubblicani venne tolta regolarmente ai feziali quella partecipazione che prima a loro verosimilmente appartenne, delle trattative diplomatiche che precedevano la guerra, per le quali si mandarono legati speciali, ai quali talvolta si aggiungevano (*), talvolta si mandavano solo più tardi, i feziali, con l'incarico di compiere secondo le forme prescritte la repetitio rerum e la indictio belli.

Ma sbaglierebbe chi da tutto ciò volesse dedurre, ciò che pur potrebbe sembrare legittimo, che, perdendo per tal modo i feziali (ridotte le loro funzioni come abbiamo narrato, ad una inutile formalità compiuta nell'ager hostilis) ogni pratica importanza, anche l'istituto feziale e l'ufficio suo cadesse in misera considerazione. I due fatti invece non sono in così stretto legame, come parrebbe. Il sacro carattere e l'importanza dei riti feziali stavano legati appunto e soltanto con quelle formalità, che non cessavano d'esistere seppure erano compiute a Roma anzichè ai confini del popolo

(') X, 22-23.

(2) Exc. leg. p. 2319 segg., specialm. pag. 2325 segg., vol. IV.
(*) Pag. 2322, 1. c.

(*) Così deve intendersi Livio, IV, 53, 1: « per legatos fetialesque res repeti coeptae ». In questi casi evidentemente non v'era bisogno di concedere i 30 giorni, e l'indictio belli verosimilmente accadeva subito dopo la repetitio rerum, ridotta questa, com'era, ad una semplice formalità, di cui già prima conoscevasi l'esito. Del resto certamente fu la prima modificazione alla primitiva procedura quella di accumulare, in un viaggio solo, tutte le funzioni dei feziali.

avverso; a quelle formalità stavano strettamente connessi il concetto e la coscienza religiosa romana, in esse consisteva la giusta guerra, di cui i Romani abbiamo veduto menar tanto vanto; e noi sappiamo i Romani abbastanza astuti per essere sicuri che finchè rimarrà in essi non dico la fede, ma la più leggera apparenza di rispetto agli dei, essi dimostreranno sempre, con le azioni e con le parole esterne, di tenere quell'istituto in altissima rispettabilità. Solo così può spiegarsi come, nella seconda metà del secolo sesto di Roma, Lucio Furio Purpureo e Lucio Emilio Paolo che dinanzi al Senato combattevano con calorosa orazione il trionfo di G. Manlio Vulsore, accusato di aver dichiarato la guerra senza l'autorità del Senato, senza il comando del popolo (non publicum populi Romani bellum, sed privatum latrocinium) (') potessero prorompere in queste parole: « Vultis ergo omnia pollui et <«< confundi? tolli fetialia iura, nullos esse fetiales? fiat (pace deorum dixerim) iactura religionis; oblivio deorum capiat pectora vestra » (*). Da questa apostrofe noi dobbiam subito dedurre con sicurezza che a quell'epoca l'intervento dei feziali per la dichiarazione della guerra costituisse ancora veramente un obbligo rigoroso per il diritto e per la religione, giacchè altrimenti quelle parole non avrebbero nè significato nè valore, essendo rivolte contro Manlio di cui era colpa appunto di aver tenuto in non cale quelle prescrizioni feziali, dichiarando la guerra di suo privato arbitrio. Si veda pure in quale onoranza dovessero essere tenuti tuttora i feziali, se il loro nome potevano invocare quei due oratori in mezzo al Senato con tanta solennità di frasi e venerazione di sentimento; e si pensi che a quel tempo le funzioni dei feziali avevano perduto fuor di ogni dubbio persino ogni parvenza d'importanza politica e diplomatica.

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Questi criterî che abbiamo posto qui sopra ci saranno pure d'aiuto a risolvere una difficoltà (risoluzione non di grande importanza invero) che si riscontra nella lettura dei fonti.

Noi ormai sappiamo come i feziali null'altro fossero che sacerdoti, i quali per funzione principalissima avevano quella d'essere prescelti come legati del popolo romano per compiere le cerimonie che dovevan precedere le guerre, e consacrare le paci. È perciò che mentre da un lato sono veri sacerdoti, dall'altro sono pure legati; ed è così che li troviamo detti publici nuntii (3) e più frequentemente legati soltanto (*).

Noi abbiamo pur detto or ora come, col proceder del tempo, le relazioni internazionali di Roma perderono a poco a poco il loro carattere religioso, e quindi le funzioni dei feziali furono successivamente sempre più ristrette, e, vorrei dire, mutilate. Or come dovremo regolarci quando troveremo le espressioni: legati ad res repetendas (la frase tecnica, come sappiamo, per indicare la funzione feziale) o ad bellum indicendum, e simili, missi? Dovremo intendere che si tratti veramente di feziali, ovvero di legati, nello stretto significato? Se altri indizi non ci porgono aiuto,

(') Livio, XXXVIII, 25; cf. L. 24 D. De capliv. (49, 16).

(3) Livio, XXXVIII, 46, 12.

(3) Livio, I, 25, 5.

() Livio, I, 32, 6; IX, 10, 10; 11, 11; Plinio, XXII, 2, i. f.; Marciano, 1. 8, § 1 D. (1,8); Nonio, cap. XII, e Varrone in Nonio, 1. c.

due criteri sovratutto dovrem tenere presenti, anzitutto quello dell'epoca, che ci consiglierà cautela sempre maggiore nell' intendere che di feziali si parli, quanto meno i tempi saranno remoti, e, sotto a questo criterio, dovremo prestare attenzione sempre se a quei legati, dei quali resta dubbio se siano feziali, siano aggiunte funzioni di carattere diplomatico, le quali, secondo quanto abbiam detto, vennero tolte ben presto dalla competenza sacerdotale. Nè d'altronde rechi meraviglia, se di ogni guerra non leggiamo che fu preceduta dalla rerum repetitio e dalla solenne dichiarazione feziale, giacchè sono formalità che da se stesse si sottintendono, nè faceva d'uopo di ripeterlo ogni volta. D'altronde tolta ai feziali la diplomatica repetitiv rerum, e venuta l'usanza di aggiungere i feziali ai legati che di quella funzione venivano rivestiti, dobbiamo intendere generalmente indicati in tacita maniera anche i feziali, quando vengono rammentate simili legazioni. E un esempio di ciò offre un passo di Livio, dove sono ricordati un Fabio, un Volumnio e un Postumio, come legali spediti da Roma agli Equi (a. 296 U. c.) questum iniurias et ex foedere res repetitum ('). Quei tre legati non sono feziali, come Weissenborn (3), Lange (3) ed altri ancora affermano, ma bensì legati nello stretto significato, come ci assicura Dionisio ('), il quale aggiunge di più, come sappiamo, che a quella legazione vennero aggiunti veramente feziali, ciò che Livio credette inutile d'avvertire, quasi come cosa che da se stessa debba intendersi. Forse sono feziali quei legati res repetentes spediti da Roma agli Equi che dettero superba risposta (*), benchè Mommsen () li dica legati; come egualmente giudica legati quelli ai quali totiens repetentibus res, gli Etoli res nec reddi nec satisfieri aequum censerunt ("), mentre io ne sono per lo meno dubbioso. Ma la cosa non ha importanza per richiedere più lungo esame. Sono senza dubbio legati, nello stretto senso, quei tre Fabii che sono inviati ai Galli (*) e che Sell vuol ritenere feziali (); come pure sono legati quei tre spediti in Macedonia ad res repetendas renunciandamque amicitiam regi, checchè ne possano dire in contrario Weiske (1) e Weissenborn ('').

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('') Nel commento a Livio, I, 4, 24, terza edizione; nella seconda edizione invece li giudica legati nel commento a Livio XLII, 25, 1. Egualmente sono da ritenersi legati fuor di dubbio P. Valerio Flacco e Q. Bebio Tanfilo che Livio dice semplicemente legati (XXI, 6, 8), benchè Annone più sotto li dica inviati ad res ex foedere repetendas; come pure i 5 membri della legazione spedita a Cartagine ut omnia iusta ante bellum fierent, con l'incarico di chiedere se publico consilio Ilannibal Saguntum obpugnasset, e, qualora ciò i Cartaginesi confessassero e difendessero, ut indicerent bellum.

§ 4. Raffronti tra la procedura internazionale della repetitio rerum, ed il procedimento civile. Quale fosse nelle tregue l'ufficio de' feziali.

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«Es ist eine bekannte und unbestrittene Thatsache dass öffentlicher und privater Rechtsverkehr in ältester Zeit sich in Rom wesentlich in denselben Form bewegten ». Danz, o. c. p. 179.

A chiunque lesse questa esposizione della procedura feziale guerresca si manifestò certamente con insistenza un carattere di analogia generale con la procedura privata, che, ripetuto talvolta nelle più leggere particolarità, non consente in nessuna maniera di attribuirlo a simiglianze accidentali. Questa mutua prestanza di forme e di concetti fra le pubbliche e le private relazioni, di cui lo studio del diritto feziale ci offrirà una novella prova in altro momento, costituisce una curiosa e speciale caratteristica dei primi tempi di Roma. Nè ciò recherà meraviglia a nessuno, quando per poco si pensi come in Roma la pubblica e la privata ragione si confondessero nella loro origine, e l'una e l'altra si trovassero scritte nei medesimi libri sacri, e l'una e l'altra, strettissimamente legate così per mezzo del diritto divino, fossero egualmente ravvolte dal tenebroso velo della religione, fatta privilegio esclusivo nelle mani della casta patrizia sacerdotale.

Nella più esterna apparenza, la stessa rigidezza e solennità di forme, lo stesso carattere simbolico delle cerimonie che governano i rapporti privati dei cittadini, si presentano con la medesima severità in questi rapporti che corrono fra gli Stati. Ma se si trattasse soltanto d'una esterna apparenza, d'una simiglianza generale indeterminata, ciò in verità non richiederebbe considerazioni più ampie. Gli è che taluni più minuti raffronti ci fanno sorgere il dubbio che possa trattarsi invece di tutto un procedimento, che regolasse con le stesse forme le controversie dei privati e quelle della nazione; e questo dubbio che sorge così naturalmente, costringe di necessità adesso in questa direzione le nostre ricerche.

Fu il Danz specialmente, che, entrando in questo concetto, lo condusse a pratiche applicazioni. Studiando infatti, specialmente in rapporto con il concetto religioso romano, la natura del procedimento della legis actio sacramento, egli giunse alla conclusione che l'essenza del sacramento provocare consistesse in un solenne iusiurandum che le due parti avrebbero dovuto prestare, e di cui la somma depositata starebbe a rappresentare il piamentum dello spergiuro. A questa teoria, che io ritengo d'altronde conforme alle verità, il Danz cerca una conferma nella procedura feziale del repetere res, nella quale egli crede di poter trovare un'immagine completa e continua dell'antica forma della legis actio sacramento (Gaio IV, 16), una vera applicazione di questa legis actio alla procedura internazionale ('), tale da autorizzarlo a completare reciprocamente nelle parti manchevoli le formule delle due procedure. A base di questa sua ricostruzione egli pone una supposizione, di cui esamineremo più innanzi la verità, cioè che Livio non ci abbia narrato che una parte

(') Cf. anche Huschke, Das alte röm. Jahr. p. 322 segg.

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