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lancia che gli diedero per mezzo il ventre, e due gran fendenti in capo, il gittarono morto. Degli altri della corte, lo scempio fu lagrimevole. Da novanta in cento signori di gran nobiltà furono uccisi. Altri da se medesimi si finirono con le catane. La reina madre con un suo figliuolo di venti anni, furono scannati. Delle dame, poco a niuna campò : quasi tutte arsero vive. Il palagio anche abbruciandosi, andò a ruba dei soldati, e tutto ciò in men di due ore. Posato il tumulto vennero i bonzi, e levato il cadavero del Cubosama, con povere esequie il sepellirono. Intanto la reina cerca (1) per tutto a morte, non si trovava. Campata non si sa come, furtivamente nscì del Meaco, e in un monistero di bonzi, mezza lega lontano, ricoverò. Indi a quattro di, col tanto spiarne, scoperta, fu mandata uccidere. Ella era in età di ventisette anni, donna d'animo non punto feminile: e il mostrò în prima con una lettera che inviò a' due capi del tradimento, e dettolla a una sua figliuola, che seco avea fuggita (2) a quel monistero. In essa non si scusava innocente (3), non che degnasse, pregando, rimettersi alla loro misericordia: anzi rimproverava ad amendue l'ingratitudine e la più che barbara crudeltà usata contro del proprio signore, che in altro non avea peccato che facendo grandi due perfidi, due traditor i.

(1) Cercata. Vedi facc. 46 nota 2.

2) Avea fuggita, avea condotta seco nella fuga. Fuggire in senso attivo per trafugare è indicato dal Corticelli, lib. 2, cap. 2.

(3) Non allegava ragioni per dimostrar la sua in

nocenza.

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Quanto a sè, protestava che le sarebbe pena il vivere, grazia il morire. Scioltale dal corpo l'anima, andrebbe con essa a trovare l'innocente suo marito e signore, e seco in paradiso con Amida (1) viverebbe eternamente beata. Così ella; e appresso, altre cose di tanta generosità e valor d'animo, che a quanti venne innanzi quella lettera, trasse per compassione le lagrime. Inviata che l'ebbe, si andò accomiatando da' bonzi, cercandoli un per uno; poi ritiratasi in un oratorio, e quivi postasi ginocchioni avanti all'altare e all'immagine d'Amida, il proposto. de' bonzi, tenendole sopra il capo le mani la fe invocare quell' Idolo dieci volte, e fu secondo essi, un proscioglierla da ogni peccato. Così credendosi santificata nell' anima, tutta in sembiante allegra, ricevè il manigoldo, invocando tuttavia Amida con le mani levate in alto, finchè le fa segata la gola e tronco il capo. BARTOLI, Asia.

XXXV. Bellissimo caso avvenuto ad Apelle (2)

Erasi egli messo in testa di figurare un corsiero che tornasse appunto dalla battaglia. Fecelo adunque alto di testa e surto di collo, con orecchi tesi, occhi ardenti e vivaci, narici gonfie e fumanti, e, come se proprio uscisse di zuffa ritenente nel sembiante il furore conceputo nel corso. Parea che battendo ad ogni momento le zampe, si divorasse il terreno, e incapace di fermezza sempre balzasse, appena loc(1) Divinità del Giappone.

,

(2) Pittor greco, il più grande dell'antichità. Fiori nel IV secolo avanti Gesù Cristo.

cando il suolo. Raffrenavalo il cavaliere, e reprimeva quell' impeto guerriero, tenendo saldo le briglie. Era omai condotta l'immagine con tutti i requisiti, sicchè sembrava spirante. Null'altro mancavale che quella spuma, la quale meschiata col sangue per l'agitazione del morso e per la fatica, suole abbondar nella bocca ai destrieri, e gonfiandosi per l'anelito, della varietà de' reflessi prende vari colori. Più d'una volta, e con ogni sforzo ed applicazione, tentò rappresentarla al naturale; e non appagato cancellò la pittura, tornando a rifarla; ma tutto indarno: onde sopraffatto dalla collera, come se guastar lo volesse, avventò nel quadro la spugna di cui si serviva a nettare i pennelli, tutta intrisa di diversi colori: la quale andando a sorte a percuotere intorno al morso, lasciovvi impressa la schiuma sanguigna e bollente, similissima al vero. Rallegrossi Apelle, e gradì l'insolito beneficio della fortuna dalla quale ottenne quanto gli fu negato dall' arte, essendo in questo fatto superata dal caso la diligenza. Talmentechè alla mano di lui puossi adattar quel verso fatto per la destra di Scevola :

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Ell' avea fatto men, se non errava.

CARLO DATI, Vila d'Apelle.

XXXVI. Quanto Gianbologna facesse conto del giudizio ancora degl' ignoranti.

Avea Gianbologna, scrittore insigne, finito e messo su il cavallo di bronzo, il quale si vede in Firenze nella piazza del palazzo vecchio,

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stenente sul dorso il simulacro del serenissimo 'granduca Cosimo I, e dopo esser levati i palchi e le tende, non avea per ancora disfatto l'assito (1) posto attorno alla base. Stava egli dunque là entro racchiuso, ascoltando quel che diceva il popolo concorso a vedere la statua equestre nuovamente scoperta. Fuvvi tra gli altri un contadino, il quale avendo ben riguardato il cavallo, disse che lo scultore avea tralasciato una cosa che tutti i cavalli sogliono avere. Udito ciò Gianbologna, che attentissimo stava, osservò chi fosse stato colui che l'avea notato; e facendone gran conto, ancorchè fosse un uomo della villa; quand' egli si partì, andogli dietro, e a lui accostatosi, cortesemente interrogollo qual cosa fosse quella ch' egli poco avanti avea detto essere stata omessa dallo scultore nel suo cavallo. Al che rispose il contadino, ch' ei vi mancava quel callo, il quale tutti hanno dalla parte interna alle gambe dinanzi, sopra l'annodatura del ginocchio, e molti anche di sotto alle gambe di dietro, cagionato, come per alcuni si stima, da' ritoccamenti dell' unghie in su ripiegate mentr' essi stanno in corpo alla madre. E dicesi che Gianbologna non picciol grado ne seppe al villano perchè non solamente, rimessi i palchi, emendò l'opera co' tasselli come si vede: ma l'avvertimento largamente ricompensò, dotandogli una figliuola. A queste finezze conduce altrui l'amor verso l'arte e l'operar per la gloria.

CARLO DATI, ivi, nelle postille.

(1) Cioè, la parata di tavole; da asse tavola.

XXXVII. Come tra Apelle e Protogene era emulazione ma non invidia.

E celebre l'avvenimento e la gara d'Apelle e Protogene. Dimorava questi in Rodi, dove sbarcando Apelle ansioso di vedere colui, il quale non altrimenti conosceva che per fama; di presente (1) s' inviò, per trovarlo, a bottega. Non v'era Protegene, ma solamente una vecchia che stava a guardia d'una grandissima tavola messa su per dipingersi. Costei da Apelle interrogata, rispose che 'l maestro era fuori; indi soggiunse: e chi debbo io dire che lo cerchi? Questi, replicò Apelle; e prese un pennello, tirò di colore sopra la tavola una sottilissima linea. Raccontò la vecchia tutto il seguito a Protogene; e dicesi che egli tosto, considerata la sottigliezza della linea , affermasse esservi stato Apelle; perchè niun altro poteva far cosa tanto perfetta; e che con diverso colore tirasse dentro alla medesima linea un'altra più sottile, ordinando nel partirsi che fosse mostrata ad Apelle se ritornasse, con aggiungere che questi era chi egli cercava. Così appunto avvenne; perciocchè egli ritornò, e vergognandosi d'essere superato, segò e divise le due linee con un terzo colore non lasciando più spazio a sottigliezza veruna: laonde Protogene chiamandosi vinto, corse al porto, di lui cercando per alloggiarlo. In tale stato, senz'altro dipignervi, fu tramandata questa tavola ai posteri, con grande stupore di tutti, e degli artefici massimamente. Abbruciò ella in Roma nel

(1) Cioè, di subito, tosto.

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