Immagini della pagina
PDF
ePub

più non si volle: si cercò lo strano: e ciò che più strano era, più si ebbe per bello. Si affastellarono le metafore: e ardite non bastavano, si vollero ridicole. Da ciò che si dicea figuratamente, si trassero conseguenze come se fossé detto in senso proprio, e per esempio, chiamati soli gli occhi della Maddalena, e onde le chiome, si celebrava come prodigio, che ella a' piedi del Salvatore, lavasse coi soli ed asciugasse colle

momento) quanto dai concetti colle parole espressi. Onde uno scrittore può aver lingua eccellente, ed esser vizioso nello stile, e può al contrario esser lodato per lo stile e appunto per la lingua. Nondimeno ogni nazione ha una tal sua maniera di sentire e di pensare, che dà allo stile un colore ed un sapore di. verso a seconda delle diverse nazioni, e rende in una lingua cari e lodevoli alcuni modi, che in altra lingua danno noia e son biasimati. Onde per esempio, alcuni hanno il Facciolati per non buono latinista, perchè sebbene usasse parole latine e costrutti latini, non pensava, secondo essi, latino. Il che se per avventura non è vero del Facciolati, potrebbe per altro dirsi a buona ragione di molti scrittori italiani. E in questo senso la parola lingua si prende più lar; gamente a significare anche quel sapore, quel colore dello scrivere proprio d' una tal nazione; e in questo senso odesi dire l'indole della lingua. Sebbene poi a render perfetta ja eloquenza sia bisogno e di buona lingua e di buono stile, pure essa è una qualità diversa del parlare dello scrivere, la quale principalmente risulta dalla esposizione delle ragioni e dal maneggio degli affetti. Onde a taluno vediamo talor dar lode di eloquente, sebbene per la lingua e per lo stile non sia da lodare. Questa breve dichiarazione gioverà a intelligenza delle cose dette, e di quelle che più volte avremo occasione di dire nelle note agli esempi.

onde. Si cercarono a grande studio i contrapposti; e quando più le cose erano disperate, più si pregiava l'accoppiamento. Le cose più minute s'ingigantivano. Le descrizioni frequentissime lunghissime, fanciullesche. Di erudizione fecesi uno scialacquamento, un guasto una rovina. I sentimenti principali rimasero come affogati negli accessori. Disse tutto in breve l'Alfieri: il seicento delirava.

XII. Ma se il detto fin qui mostra di quanto pericolo sia nelle lettere un male inteso amore di novità, vediamo ora il contrario, quanto il tenersi all'antico giovial conservamento di quelle. In Toscana l'Accademia della Crusca, fondata nel passato secolo, promoveva lo studio degli antichi nostri scrittori; ed in Toscana, e principalmente in Firenze, il contagio non vi penetrò, o vi fece piccolissimi danni. Anche altrove alcuni felici ingegni aiutati dallo studio dei buoni scrittori, se in mezzo ai corrotti non serbaronsi del tutto sani, tenersi per altro lungi da quelle stoltezze. E se in essi è più o meno da riprendere un certo abuso di metafore, di antitesi, di similitudini, di sentenze, di digressioni, di erudizione; il vizio per lo più sta nel troppo, non nello strano; e questo vizio è da ben altre doti compensato. Fra questi ultimi fu il Segneri, il quale solo basterebbe a far perdonare a quel secolo i suoi deliri.

SECOLO XVIII.

XIII. La filosofia nell' età precedente ristorata, anzi creata dal Galileo: l'esempio di quei valentuomini che nel general traviamento s'erano tenuti fermi sul diritto cammino: le sollecite cure della sopra lodata Accademia della Crusca in Firenze, di quella d'Arcadia in Roma e di altre in altre città d'Italia, bastarono finalmente a mettere in bando il mal gusto che signoreggiava. Uomini in buon numero fiorirono, per ingegno e per dottrina prestanti. Si scrissero forse più che in altro tempo mai, opere; e alcune, per la materia, lodevolissime. Le lettere ancora vantaggiaronsi di alcune maniere di componimenti, che prima o non avevamo, o di poco pregio avevamo. Nè pure mancarono affatto scrittori di vero stile italiano. Ma generalmente si scrisse male. Il soverchio amore posto nelle letterature straniere, e massime nella francese, venuta sotto Luigi XIV a tanta gloria: l'abbandono dei nostri antichi maestri che furono per sino (oh vergogna!) posti in deriso: l'avere, in luogo dei classici, messi in credito o barbari, o sdolcinati scrittori: laver piuttosto voluto filosofar nella lingua che studiarla: un certo prurito di libertà e d'indipendenza in ogni cosa e al tempo stesso un vile servaggio degli animi a chi poscia servimmo e colle persone e cogli averi, fece si che l'Italia, anche prima dell'invasione straniera, perdesse quasi affatto sua lingua e suo stile, e per dirla al solito coll' Alfieri, balbettasse.

XIV. L'aveva predetto il Salvini fin da'suoi

dì: Guai alla lingua italiana quando sarà perduta affatto a quei primi padri la riverenza. Darassi in una babilonia di stili e di favelle orribili: ognun farà testo nella lingua: innonderanno i solecismi; e si farà un gergo e un miscuglio barbarissimo (1). E che veramente così avvenisse, è tuttora vivo chi può farcene testimonianza; ed in gran parte ne sentiamo anch'oggi gli effetti. Onde il Gozzi uno dei pochissimi non infrancesati e forse il più leggiadro scrittore di quell' età) sclamava: Non pare ancora oggidì che l'arte dello scrivere, ingegnosamente sia guasta abbastanza, che nascono sempre nuovi ingegni per farla peggiorare. I Francesi hanno lingua propria, gl' Inglesi, i Tedeschi. L'Italia sola non sa più come parli, e ognuno che scrive, fa come vuole: tanto che l'1talia sembra una fiera, dove concorrono tutte le nazioni, e dove tutti i linguaggi si sentono. Le gramatiche, le quali hanno stabilite la lingua, sono cose da pedante. L' Accademia della Crusca, che ha salvato il tesoro di tutti i buoni au- · tori e procura di conservare la purità, insegna l'affettazione. Gli scrittori dei buoni secoli, che i legamenti dei vocaboli e l'armonia, a guisa dei Greci e dei Latini, studiarono d'introdurre nelle opere loro, sono stentati. Dunque che ci rimane? L'uso. Bene. Ma poi tutti i libri del secolo passato, nel quale tanto potè l'uso, chi gli legge più? Così, cred io, sarà trascurata nel secolo che verrà ( il Gozzi fu profeta) la maggior parte de' libri ch' escono nel presente, in

(1) Salvini nelle annotazioni più volte citate.

cui lasciato stare quanto ha di più puro, di più natio ed espressivo la nostra favella, si studia di formar un gergo che di qua a non molti anni avrà di bisogno dei dizionari di tutte le nazioni per essere inteso (1). Si vergognò final mente l'Italia di tanta barbarie. Forse ancora quella turpitudine di linguaggio non si trovò sufficiente ad esprimere i forti affetti che sul cadere del secolo si destarono. Sentissi il bisogno di ritornare al linguaggio di quell' età, cui l'Alfieri diede questa lode: il trecento diceva (2). E si ricominciò a scrivere italiano.

SECOLO XIX.

XV. La riforma venne felicemente crescendo al principiare di questo secolo. Si diede opera a ristampare e mettere in corso i nostri più solenni scrittori: si dettarono in maggior numero prose e poesie in buono stile italiano: si biasimarono e si derisero pubblicamente le opere scritte alla foggia de' costruttori: si mossero contese forse un po' aspre, ma certo utilissime nel fatto della lingua; e l'Italia parea tornata sulla dritta via, e che gran passo corresse a recuperar quella gloria, che un giorno la fece reverenda a tutte le altre nazioni. Ma per una parte il troppo presto mancare di presso che tutti i principali au

(1) Gozzi. Op. cit.

(2) Dimostrarle potrei che questo è il secolo che veramente balbetta, ed anche in lingua assai dubbia, che il secento delirava, il cinquecento chiacchierava, it quattrocento sgramaticava ed il trecento diceva, Alfieri, risposta a Ranieri de' Calsabigi.

« IndietroContinua »