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l'amor mio, trà l'autorità e la difigenza vostra e l'aiuto degli amici, voi faceste per modo che questo suo desiderio avesse effetto; ed io, che in maneggi del duca di Piacenza di molta importanza, ho conosciuta la dottrina, il valore e l'integrità sua, v'assicuro che se lo fate, ne avrete onore e me ne ringrazierete. Ma io ve ne voglio aver nondimeno obbligo infinito. E perchè confido molto nell'amore e nell'offerte vostre, non voglio perder più tempo a pregarvene. State sano.

Di Roma alli 27 d'aprile 1551.

V. Il medesimo a Francesco Cenami (1).

Gli scrive per ismentire la nuova della sua morte.

Questa sarà per dirvi che io son vivo, e che quei che scrive son io, e non un altro. Dicolo, perchè uno de' vostri Napolitani (2) per aver inteso da non so chi non so donde, che io era morto; se n'è venuto qui affusolato (3) per impetrare la mia abbazia di Somma. Ma perchè

(1) Di Francesco Cenami lucchese parlono con lo de Claudio Tolomei, Giovanni Guidiccioní, Annibal Caro e Bernardo Tasso, che erano suoi amici, e i loro versi gl'indirizzavano chiedendo il suo giu dizio. Così il Lucchesini che nel lib. V. cap. 1 della citata opera annovera il Cenami fra coloro che favoreggiarono gli uomini studiosi, e meritarono il tito lo di Mecenati.

(2) 11 Cenami allora trovávasi in Napoli dove avea

casa.

(3) Affusolato, cioè dritto come an faso, con pre

stezza.

son vivo, e la voglio per me, se ne dovrà tornare condannato nelle spese. Se non m' avete scritto, perchè abbiate ancora inteso che son morto, io vi replico la terza volta che vivo e mangio e beo e dormo e vesto panni (1), ed anche prima che muoja fo pensiero di rivedervi, Intanto vivete ancora voi; perchè mi venga fatto. Mandate le incluse a Palermo, E state sano. Di Roma alli 16 agosto 1539.

VI. Giovanni Guidiccioni all'Arcivescovo di Bari.

Se messer Antonio (2) m'avesse più distintamente saputo dire l'animo di vostra Signoria circa la retazione che desidera avere di messer Annibale Caro, l'avrei dato più particolare e più piena. Ma poichè Vostra Signoria (secondo che egli mi riferisce) non riman soddisfatta volendo sapere ancora circa le lettere e il resto; io mi allargherò un poco più, e le rispon

(1) È un verso preso con poco mutamento da Dante. Inf. cap. XXXIII v. 141. Nelle lettere familiari tra dotti amici, negli scritti didascalici o sia instrut tivi, e in quale altra simile composizione possono talvolta i versi de' poeti mescolati alla prosa essere un bello ornamento, purché ciò si faccia con riserbo e con giudizio. Nelle lettere per altro direttę ai grandi, nelle orazioni e nelle altre gravi scritture, raro o non mai potranno essi trovar luogo. Vedi Eineccio, Fundamenta stili cultioris. P. 1 cap. 2. §. 36.

(2 Questo Messer Antonio è forse Antonio Minturno autore di varie opere in prosa e in versi, in latino e in italiano, conoscente e amico del Guidic cioni, e che molto visse nel Napolitano, dov'è la città di Bari.

derò con la penna; acciocchè se per alcun tempo ritrova falso il testimonio delle mie lettere, possa convincermi (1). Io reputo che messer Annibale sia uno dei rari ingegni che oggidì vivano. Egli è esercitato nelle cose della segreteria (2) tanto che io non gli do pari in Roma. E questo vi dico per certificarvi, che non si può esser buono segretario senza l'esperienza delle azioni umane. Ha uno stile grave e dolce : la qual mistura del Marco Tullio è tenuta difficilissima. Ha concetti altissimi, per li quali alle volte tira gli uomini a grandissima ammirazione, come li possa aver pensati. Ha giudicio incredibile, in tanto che (3) pare impossibile che in quella età si possa aver tale, che non se gli possa aggiungere punto di perfezione. Non esce cosa inconsiderata dalla sua penna, nè dalla sua bocca. Nel suo verso volgare si vede sempre leggiadria e maestà, e sentimenti tanto divisi dal volgo, quanto la sua vita dal vizio. Le sue pro

(1) Convincere alcuno di un delitto, vuol dire dimostrarlo reo per modo che non sia punto conosciuto.

(2) Egli è esercitato ec. vuol dire che è pratico nel mestiere di segretario. Il testo ha segretaria che non è modo approvato, sebbene più naturalmente che segreteria derivi da segretario. Ma ben diceva il Salviati Avvert. t. 1. face. 257. « Contr' all'uso la re gola non vale della derivazione, nè dell' analogia nei linguaggi ». Nè altrimenti l'Eineccio Fund. stil. cult. P. 1, cap. 1., §. 3. Multa quae analogia admittit, plane repudiat usus, quem penes non modo loquendi, sed et scribendi arbitrium est.

(3) In tanto che, cioè, talmente che. V. la nota 1, a facc. 260. Allorchè fu scritta questa lettera, il Caro avea circa trent'anni.

se volgari so che vostra Signoria ha vedute, ma non quelle che io desidererei che vedesse ; perchè, s'ella ha lodate quelle che son facete, loderia maggiormente queste, che sono piene di gravità e di dottrina. I costumi suoi e la bontà dell' animo non cedono punto alla sublimità dell'ingegno. È modestissimo oltre al creder d'ogni uomo: è di natura temperato e rispettoso: ri¬ tien perpetua memoria degli obblighi è amo revole verso gli amici, e fedelissimo verso il padrone. Ecco, messer Antonio mio (1), il giudicio che io faccio di questo uomo da bene. Non so qual sia quel Signore che desideri d' averlo a' suoi servigi. Che se me lo direte, lo stimerò tanto, quanto mi maraviglierò di quelli che l' hanno se non lo sapranno beneficar di sorte, che se lo guadagnino in perpetuo (2). So che egli è richiesto da molti Grandi, e pur ieri gli fu offerto un gran partito, ma per esser persona che considera di molte cose, senza buona grazia del suo padrone, senza mio consiglio (del quale per sua modestia confido molto ancorachè abbondi del suo ) non credo che sia per fare altro movimento. E io p per essere amico di quel Signore, non lo posso consigliare altramente.

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(1) Io dubito che qui sia errore, poichè niuno Antonio fu, al tempo del Guidiccioni arcivescovo di Ba ri, e allorchè fu scritta questa lettera (che pare fosse tra'l 1536 e il 1540), arcivescovo di quella città era un Girolamo Grimaldi, come si vede nell'Italia Sacra dell' Ughelli, t. VII, facc. 651 della vedeLa edizione.

(2) Si allude senza meno a Luigi Gaddi fiorentino, cui Annibale serviva in qualità di segretario. Questi è il suo padrone e quel signore, indicati poco appresso.

Tutta volta to desidero l'utile e l'onor suo come di mio carissimo fratello, per trovarmi molto amato e molto servito da lui. Imperò mi sarà di sommo piacere, ch'ella procuri di sè stesso di farli quel beneficio che accenna. Che se di suo consentimento condurrà la cosa ad effetto, Vostra Signoria sarà ringraziata dalla sua diligenzia, e io lodato del mio giudicio.

Di palazzo ec.

VII. Torquato Tasso ad Antonio Costantini.

Lo informa del pessimo stato di sua salute (1).

Che dirà il mio signor Antonio quando udirà la morte del suo Tasso? E, per mio avviso non tarderà molto la novella; perchè io mi sento al fine della mia vita, non essendosi potute trovar mai rimedio a questa mia fastidiosa indisposizione, sopravvenuta alle molte altre mie solite, quasi rapido torrente, dal quale, senza poter aver alcun ritegno, vedo chiaramente esser rapito. Non è più tempo che io parli della ostinata fortuna, per non dire dell'ingratitudine del mondo, la quale ha pur voluto aver la vittoria di condurmi alla sepoltura mendico, quan

(1) Questa fu l'ultima lettera che Torquato serissa a quel suo grande amico, il quale era segretario di Ferdinando Gonzaga duca di Mantova e che, più per le sue opere, è celebre per le moltissime lettere che il Tasso gli scrisse, e per l'onore che il medesimo gli fece per indirizzargli la seconda parte del suo Segretario, e d'introdurlo a parlare in un suo dialogo detto dal nome di lui il Costantino.

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