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voglio che sappiate come io sono in conversazione. lo stimo tutti gli uomini come fratelli e paesani: fratelli come descendenti dal med esimo padre, ch'è Iddio; paesani, come tutti di questa gran città che mondo si chiama. Non mi rinchiudo, nè mi ristringo, come i più fanno; che non degnano se non un certo genere di persone (come gentiluomini e letterati ), e gli altri stimanò loro non appartenere; e gli artigiani, e i contadini e la plebe, non solamente non degnano, ma talora anche strapazzano: come se non fossero uomini anch'essi e battezzati; ma Indiani, o bestie, o gente d'un altra razza che non avesse che fare nella nostra. Ho odiato sempre l'affettazione di pareri in tutti i gesti, nel portamento, nelle maniere, nel tuono della voce contraffatto, un virtuoso o un signore d'importanza; sfuggendo più che la morte ogni atto di superiorità, e facendomi così, degnevole, umano, comune e popolare. Il cappello non risparmio; e sono quasi sempre il primo a salutare. E, per dirvi tutto il mio interno, non saluto mica per semplice cerimonia; ma per una stima universale che io nutrisco nel cuore verso tutti; sieno chi si pare, e abbiano nome come vogliono. Perchè finalmente ognuno, per sciatto e spropositato che sia, fa la sua figura nel mondo, ed è buono a qualcosa; si può aver bisogno di tutti; e però vanno stimati tutti.

Questa stima degli altri, sa che io non sono invidioso, ma ho caro il bene di tutti, e lo tengo come se fosse mio proprio; godendo che ci sia degli uomini che sappiano e che la patria ed il mondo ne riceva onore. Sicchè, non

solamente, coll' aiuto di Dio, mi trovo mancare di quei tormenti cotidiani che apporta questo brutto vizio dell'invidia, che si attrista del bene degli altri, ma di più vengo ad avere diletto e piacere quando vengo la gente e particolarmente gli amici essere avanzati e crescere in guadagni o in riputazione. E questo modo non si può dire quanto mi mantenga lieto, e mi faccia star sano.

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Seguito i miei studi allegramente, ne' quali ancora conservo il mio genio universale; perchè tutto m' attaglia (1) e da ogni libro mi pare di cavar costrutto (2); e ordinariamente stimo gli autori e non gli disprezzo, come veggo fare a molti, senza nè anche avergli letti, e che per parere di giudizio sopraffino appresso al volgo, sfatano (3) e sviliscono tutto, e pronti sono e apparecchiati piuttosto a biasimare che a lodare. Dilettomi per tanto in varie lingue oltre alla latina e la greca, piacendomi il grave della spagnuola e il dilicato del francese. Or che pensate? ultimamente mi sono addato all'ingle

se,

e mi diletta e mi giova assaissimo. E gl'inglesi essendo nazione pensativa, inventiva, bizzarra, libera e franca; io ci trovo ne'loro libri di grande vivacità e spirito e la greca e l'altre lingue molto mi conferiscono a tenere a mente i loro vocaboli, per via d' etimologie e di similitudini di suoni. Per finire, converso co' libri come colle persone; non isdegnando nessu

(1 Cioè, mi soddisfa, mi va a genio. 2) Cioè, utilità, profitto.

(3) Cioè, spregiano.

no facendo buon viso a tutti; ma poi tenendo alcuni pochi, buoni e scelti, più cari.

Di casa 19 novembre 1713.

XV. Francesco Maria Zanotti alla marchesa Eleonora Ratta.

Le dedica i suoi elementi di gramatica volgare.

Questi elementi di gramatica (1), che io ardisco, nobil donzella, di presentarvi, vengono a voi pieni di paura, temendo che, come gli avete letti, gli abbiate per inutili: poichè essi non altro vi mostreranno che alcune poche regole, le quali voi già o sapevate, o certamente, parlando e scrivendo osservate eziandio senza saperle. Io vi prego però di voler considerare che il bel parlare e il bello scrivere, furono molto prima che fosser le regole, le quali sopravvennero a' belli parlatori e a' belli scrittori, mostrando che essi parlavano e scrivevano regolatamente senza accorgersene, ed osservavano certe leggi che non sapevano. Lo stesso avverrà forse anche a voi; la quale parlate già e scrivete con tanta grazia e così bene, che superate di gran lunga la tenera vostra età. E se questi elementi vi mostreranno, che voi, così facendo, osservate le regole de' più valenti maestri, vi dovrà ciò essere caro, nè gli avrete per inutili. Quanto a me, io gli stimerò utilissimi,

(1) Gramatica molti scrissero con una sola m. Chi la scrive con due, si scosta dalla greca origine, Ma vedi la nota 2 a facc. 199.

se essi vi faranno certa dell' utilissima servitù mia, che insieme con essi vi offero e con tutto me stesso.

XVI. Clementino Vannetti a Cesare Lucchesini (1).

Gli raccomanda un amico, e poscia loda uno
scritto di lui.

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ma

Mille volte sono stato per manifestare a Vostra Eccellenza i vivi sentimenti della mia gratitudine alla sua degnazione verso di me, sempre me n'ha trattenuto un certo che di rispetto, e di timore di riuscirle importuno. Ora però che se viene costà uno de' maggiori amici ch' io m' abbia al mondo, il sig. Ab. Don Francesco Raragni natio di questa valle di Lazaro (2); non so tenermi più oltre, e per lui le invio que

(1) Questa lettera non fu mai stampata, salvo poche parole che io ne diedi nella Biblioteca italiana t. 68, face. 272. Fu scritta al Lucchesini, quando questi era a Vienna, dove avea accompagnato l'ambasciadore della repubblica lucchese andato là pe' soliti ufficii di congratulazione e di omaggio verso il novello imperadore.

12 Lazaro con un solo z, e Lazzaro con due si trova scritto: quello più conforme alla sua origine, questo all'uso d'oggidì. Il Davanzati avrebbe voluto che lo z non si raddoppiasse mai in nessuna parola, poichè ha da sè il suo suono doppio, che verrebbe raddoppiandola, rinquartato con quattro lettere consonanti insieme. Queste e più altre cose egli dice in una postilla agli Aun, di Tacito, lib. 1, § 3. Ma nel fatto della lingua (lo dice egli stesso ad altro proposito) contro dell'uso la ragione ha corte l'ali. V. il Bartoli, il Torto e 'l Dritto § 29, e Ortogr. cap. XI, § 12.

ac

sta rozza mia lettera. La somma gentilezza di lei in tali e tante guise sperimentata, mi cresce animo a pregarla, che voglia pigliare esso ecelesiastico in protezione non tanto per amor mio, quanto per merito di lui, sendo persona fornita di rarissimi pregi, e di squisite virtù, compagnate da quell' amabilità di modi, che s'impadronisce de' cuori. Faccende sue, e desiderio di veder paesi e costumi lo hanno condotto in su l'Istro, e non altre mire. Il che io dico perehè V. Eccellenza intenda subito qual maniera di patrocinio sia quella, che in pro di lui mi promette dalla sua graziosa ed amorevol natura. Ma come piace a lei la fredda Germania? o in quale stato ritrova così le belle arti? Ardirò anche domandarla: quid operum struis? Perocchè ella non ha penna da starsi oziosa. Oh quanto m'ha dilettato il suo elogio all' Arnolfini! Non se ne sdegni la sua Toscana, s' io dico, che già da gran tempo non è uscita in essa prosa più gentile, più elegante, più temperata, più solida; oltre a pregi dell'argomento ben maneggiato e della molta dottrina sparsavi con infinita disinvoltura. Veramente m' ha tocco, ed emmi andata, come si dice, in tanto sangue. Me ne rallegro di vivo cuore; e dove V. E. mandi fuori qualche altro suo scritto, la supplico a non me ne tener digiuno. Per ultimo ardisco pregarla di ricordare il profondo mio ossequio a S. E. il sig. marchiese della Boccella ambasciatore di Lucca, della cui affabilità serberò mai sempre dolce memoria. E con altissima venerazione mi dichiaro a tutte prove inviolabilmente ec. Rovereto 24 marzo 1793.

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