Immagini della pagina
PDF
ePub

tori della ristaurazione, e per l'altra questo nuovo amore alle oltramontane e oltramarine cose, ci hanno fatto ridare indietro; e se presto non si provveda, torneremo al secento. Sì, ci minaccia un nuovo secento. Solo scampo è nei classici. Non si pretende, no, che i nostri scrittori debbano essere una intarsiatura e un musaico dei loro concetti e dei loro modi; che debbano essere un tessuto di parole dismesse e strane. Questi, in che pare che alcuni credono consistere il bello scrivere, sono vizi da fuggire. I concetti sian nostri, ma s'impari dai classici a formarli dietro i limiti del naturale e del vero.. Le maniere sian nostre, ma s'impari dai classici a usarle italiane. La bnona lingua non è affatto spenta; anzi vive tuttora in gran parte; ma è stranamente immischiata e confusa al bastardume straniero. Studiando nei classici, apprenderemo a conoscere quali fra i modi che tutto giorno abbiamo in bocca, sieno veramen¬ te italiani, e quali no. Vedremo ancora, che sebbene in parlando ci vengano talvolta alla lingua più spesso e più facilmente i modi non buoni (tanto può la male consuetudine) pure non mancano nella lingua parlata i buoni modi corrispondenti; e collo studio dei classici impareranno a trovarli, e ce le renderemo più famigliari. Anzi vedrassi che pochi sono nei classici i modi che tuttora non sieno vivi. Con uno studio in questa guisa fatto parleremo una lingua nostra, ma non punto afforestierata: corretta anche di ogni popolare guastamento. Verremo a formarci uno stile nostro, ma uno stile sano, uno stile italiano. Verremo ad acquistare quella

- maniera di scrivere che ha una eccellenza che più si sente di quello che apparisca: quella maniera di scrivere, che a ciascuno sembra facile a conseguire, e provando e faticando e sudando, non riesce di conseguire. Darò fine a queste considerazioni raccomandando ai giovani, che allo studio dei classici procurino di accoppiare il tesoro di molta e vera sapienza. Perciocchè (intendano bene) lo studio delle cose senza quello delle parole, e molto meno lo studio delle parole senza quello delle cose, non fece, nè farà mai gli eccellenti scrittori (1).

(1) Sono memorabili quelle parole di Cicerone: Hoc constet, necque infantiam eius qui rem norit, sed eam explicare dicendo non queat; neque inscientiam illius cui res suppetat, verba non desint, esse laudandum. Quorum si alterum optandum, malim equidem indisertam prudentiam, quam stultitiam loquacem. De orat. lib. 3. §. 35, num. 142.

FAVOLE (1)

1. La volpe, il mulo e il lupo.

La volpe andando per un bosco, si trovò (2)

(1) Nelle scuole, per esercitare i giovinetti nello scrivere, si suole farti cominciare dalle lettere. Ma le cose da essere dette in una lettera non sono talí che un principiante le possa così di leggieri mettere in carta. Io credo che meglio sarebbe far loro scrivere qualche favola, dopo averla prima ad essi narrata. Non vi ha fanciullo, non che giovinetto, che non ti sappia ridire una favoletta udita. Falla da loro mettere in carta così naturalmente come te la direbbero a voce e poi osserva se le parole sieno bene scelte; se bene sieno legate fra loro; se il periodo ben corra; se bene condotto sia il piccolo racconto; e fra loro rivelare i difetti, e a loro stessi, per quanto è possibile, gli fa correggere; e poi detta loro la favola come veramente andava fatta, perchè veggano la differenza. E la favola che tu detti non sia già cosa tua, ma di qualche classico, a fine di avvezzargli per tempo al buono e al bello. La quale ultima avvertenza di mostrare con esempi di eccellenti scrittori come dovea farsi la composizione, ti stia a cuore per ogni sorta di componimento: poichè è la più facile e la più sicura maniera di far apprendere a scriver bene. Ed io lo dico per esperienza. Il giovinetto poi che si sarà renduto franco in distendere questi piccoli racconti, ed avrà preso così un po' di pratica nello scrivere, potrà più agevolmente passare a distendere maggiori cose.

(2) Si trovò. Quì il sì è usato per ripieno : il che gli antichi praticarono spesso coi verbi, segnatamente innanzi a mi, ti, li, ne, si ec. Vedi il Corticelli, lib. 1,

un mulo, e non n' avea mai più (1) veduti ebbe gran paura, e fuggi; e così fuggendo, trovò il lupo. Disse come avea trovata una novissisima (2) bestia, e non sapea suo nome. Il lupo disse andiamvi. Furo giunti (3) a lui. Al lupo parve vieppiù nuova. La volpe il domandò il suo nome. Il mulo rispose: certo io non l'ho bene á mente; ma se tu sai leggere, io l'ho scritto nel piè diritto di dietro. La volpe rispose: lassa! ch' io non so leggere; che (4) molto lo saprei volentieri. Rispose il lupo: lascia fare a me, che molto lo so ben fare. Il mulo si li mostrò (5) il piè diritto, sicchè li chiovi (6) pareano

cap. 46, e meglio il Cinonio, cap. 39. §. 3 e seguenti. Oggi di questo modo, come di ogni altro modo insolito, vuolsi usare con gran parsimonia e giudizio.

(1) Mai più, cioè mai altre volte, mai passato. Cosi il Boccaccio dice di Andreuccio da Perugia: non essendo mai più fuor di casa stato.

(2) La voce nuovo è dagl' Italiani usata alcuna vol ta in senso di strano, inusato, maraviglioso, come anche i Latini usavano la voce novus. Vedi il Forcellini a questa voce, §. 2.

(3) Furo giunti, cioè giunsero. Così trovasi ebber veduto per videro, fussi gittato per si gittò, e simili. Queste maniere assai frequenti ne' classici, sono dal Corticelli, lib. 2. cap. 17, riferite alla figura Enallage.

(4) Quando che stà per poichè, dai più è oggi scrit to coll' accento; il che per alcuni si biasima. A me il seguire con moderazione l'uso corrente dell' ortografia, non par cosa da biasimare. Ma a chi non piaee, si lasci fare a modo suo: chè per cose di sì lieve momento non si dee far guerra.

(5) Ecco il sì avanti a li, secondo che abbiam det. to sopra.

(6) Chiovi: Oggi in prosa più comunemente si dice chiodi.

lettere. Disse il lupo: io non le veggio bene. Rispose il mulo: fatti più presso perocchè son minute. Il lupo si fece sotto, e guardava fiso (1). Il mulo trasse (2), e degli un calcio nel capo tale che l'uccise. Allora la volpe se n'andò, e disse: ogni uomo che sa lettera non è savio (3).

DAL NOVELLINO

II. Il villano e il serpe.

Biancicando (4) la terra per neve ed essendo ghiacciate le acque, convenne ad un villano andare per legne (5). E tornando a casa trovò un serpente sopra la neve molto bello e grande e

(1) Nota l'effetto pittoresco di questo periodetto. (2) Trasse, tirò: modo notato anche dal Corticelli, lib 1, cap. 3.

(3) Oltre la naturalezza, la semplicità e la grazia di questa favola, sono da notare i modi: non l'ho bene a mente fatti più presso: si fece sotto. Questi sono veri modi italiani, e vivono tuttora in bocca del popolo. E intanto gli fo osservare (come farò anche dipoi) perchè i giovinetti veggano come la lingua de' classici vive tuttora ; e che se la lingua che si scrive è ridotta oggi a povertà e quasi ad un gergo, è per colpa degli scrittori; e che se vorremo scrive re con abbondanza, con naturalezza, con grazia, dovremo imparare dai classici a usar bene fa lingua del popolo.

(4) Biancicare da bianco, vale biancheggiare. Cesare Lucchesini nel suo volgarizzamento di Pindaro, olimp. I, disse: Del biancicante mar solo alle sponde. Ma ad usarlo in prosa, oggi andrei a rilento.

(5) Nota andare per una cosa, bel modo è tuttora vivo nella bocca del popolo ben parlante; e significa, audare a cercarla, a prenderla ec.

« IndietroContinua »