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L'Ariosto avendo con un verso grave e sostenuto dimostrata la nobiltà di Angelica,

Figlia del maggior re, ch'abbia il Levante,

discende poi tosto alla somma umiltà dello stile, dir volendo; che ella si giunse a Medoro

Da troppo amor costretta si condusse
A farsi moglie d'un povero fante.

Ecco come lo stesso Ariosto innalza lo stile 1 appellando uno dei signori da Este, che era il cardinale Ippolito, a questo modo:

Piacciavi, generosa Erculea prole,

Ornamento e splendor del secol nostro,

indi tosto offerendogli il suo lavoro, esprime maravigliosamente con l'umiltà dello stile quella dell' animo.

Ippolito, aggradir questo che vuole
E darvi sol può l'umil servo vostro.

Anche in un verso solo cangiò stile il Petrarса come in quello :

Ch'ogni dur rompe et ogni altezza inchina,

che nel principio per l'accorciamento della voce duro, e per l'incontro delle due r, è molto aspro e sta bene, dovendo esprimere cosa aspra; nel fine poi scorre con lenità.

Così per l'aptitudine si adatta lo stile alla materia; il che pochissimi sanno fare, essendo difficilissimo dar tante pieghe al discorso senza

che discordin tra loro. Voglio ben dirvi generalmente e senza andar dietro a tutte le minutezze, che se l'uomo che parla avrà riguardo alla persona sua e alla materia di cui parla, e molto più al fine che egli in parlando s' avrà proposto, sarà lo stile sempre bello nè accaderà cercare, se egli nobile debba dirsi, umile o temperato; perciocchè, essendo conveniente alla persona, alla materia et al fine, starà bene, qualunque nome egli s'abbia.

FR. M. ZANOTTI ivi.

VIII. Delle parole proprie.

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Vogliono essere le parole, il più che si può appropriate a quello che altrui vuol dimostrare, e, meno che si può, comuni ad altre cose; perciocchè così pare che elle si mostrino non con le parole, ma con esso (1) il dito. E perciò non acconciamente diremo riconosciuto alle fattezze che alla figura o alla immagine : e meglio rappresentò Dante la cosa detta quando e' disse:

Che li pesi
Fan così cigolar le lor bilance,

che se gli avesse detto o gridare, o stridere, o far romore. E più singolare (2) è il dire ribrezzo della quartana, che se noi dicessimo il

(1) Con esso. V. la nota B face. 173.

(2) Singolare, particolare, che si riferisce a una sola persona, o cosa. E il primitivo significato di questa parola, dal latino singalaris.

freddo; e la carne soverchia grassa stucca, che se noi dicessimo sazia. E sciorinare i panni, e non ispandere; e i moncherini e non le braccia mozze; e all'orlo dell' acqua di un fosso

Stan gli ranocchi pur col muso fuori (1) e non con la bocca. I quali tutti sono vocaboli di singolare significazione. DELLA CASA, Galateo

IX. Le parole sieno ben ordinate.

Le parole vogliono essere ordinate secondo che richiede l'uso del favellar comune e non avviluppate e intralciate in qua e in là come molti hanno usanza di fare per leggiadria. Il favellar dei quali si rassomiglia più a notaio che legga in volgare lo strumento ch' egli dettò latino, che ad uom che ragioni in suo linguaggio; com'è a dire:

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Del fiorir (2) queste innanzi tempo tempie. I quali modi alle volte convengono a chi fa versi; ma a chi favella si disdicono sempre.

DELLA CASA, ivi.

(1) Dante, Inf. XII, 26 Anche la parola moncherino, tuttor viva, usò egli Inf. XXVIII, 104. E circa le fattezze, di cui poco sopra il Petrarca disse; Raffigurato alle fattezze conte.

(2) Non paia strano questo fiorire poichè allora si disse (non so se in alcun luogo oggidì si dica ) dei capelli e della barba quando cominciano a incanutirsi. Barba fiorita, è del Boccaccio. Oggi diciamo capelli brinati, barba brinaia, e anco caval brinato. Là è metafora presa dai flori, qui delle brine.

X. Delle forme di dire pompose.

Bisogna che l'uomo non solo si discosti in ragionando dal versificare, ma eziandio della pompa dello arringare; altrimenti sarà spiacevole è tedioso ad udire, comecchè per avventura maggior maestria dimostri il sermonare, che il favellare; ma ciò si dee riservare a suo luogo. Chè chi va per via non dee ballare, ma cam-minare; con tutto che ognuno non sappia danzare, e andar sappia ognuno: ma conviensi alle nozze, e non per le strade. Tu ti guarderai dunque di favellar pomposo. Credesi per molti filosofanti...e tale è tutto il Filoloco e gli altri trattati del nostro messcr Giovanni Boccaccio, fuorichè la maggior opera, e ancor più di quella forse il Corbaccio (1).

DELLA CASA, ivi.

XI. Dello scriver bene e del prolisso.

La brevità genera il più delle volte oscuratezza, e la lunghezza fastidio. Ma perchè la prima e principal virtù del parlare è la chiarezza, par che n'apporti men dauno l'esser fastidioso. E perciò disse Quintiliano, che la brevità, che in Sallustio si loda, altrove sarebbe vizie. E Cicerone che la brevità si può in alcuna parte lodare, ma in un tutto e universal

(1) Anche il Comento alla divina Comedia è quasi affatto immune da questa pecca, oltre il non essere offeso da quelle peggiori magagne, che nelle prineipali opere del Certaldese fanno ai ben costumati tanta schifezza.

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mente, no. Ma vi conviene avvertire che altro è non dire le cose soverchie, e altro il tacere le necessarie. La buona e vera brevità consiste non in dir meno ma non in dir più di quello che bisogna. E a ogni modo è, se non maggior bene, minor male, prendere in questo caso anzi nel troppo che nel poco acciò avanzi più tosto alcuna cosa che ne manchi nessuna. Chi dice più di quello che bisogna, arreca per avventura fastidio ad altri; ma chi tace quello che tacere non deve, apporta danno a se stesso. E per conchiudere come in tutte l'altre virtù, così in questa si deve eleggere il mezzo; cioè narrare tutto quello che è necessario; e quello il quale è soverchio, tacere. Ma dovendosi peccare in una di queste due cose, è men dannoso peccare nella lunghezza; non intendendo però di quella asiatica fastidiosa, nella quale fu ripreso Galeno, ma di quella di Cicerone, al quale non si poteva aggiungere cosa nessuna, come a Demostene cosa nessuna levar si poteva. E brevemente, come i giganti non si possono chiamare troppo grandi così i pigmei troppo piccioli appellare non si deono. VARCHI, Ercolano.

XII. Qui pure del dir breve e del prolisso.

Fu trattata un tempo una quistione, qual di due antichi scrittori sia il più breve nella sua storia, Sallustio o Tacito. Tuttaddue (1) scri

(1) Tuttaddue, oggi, tutt, e due. Vedi la nota 1 a facc. 204.

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