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vilta, avea travolto insiememente l'ottima parte di essa, e quella eziandio, che ottima non era. Ora il restaurare l'antica sapienza, nella quale la moderna doveasi fondare; il tornare a vita quel sopito elemento del mondo Greco, e Romano, che nacque non già a morire con le grandezze di Atene, e di Roma, ma a vivere quanto l'umanità; ad ingenerare dopo quelle di nuove grandezze fu per avventura tra le opere più degne, e più gloriose, che la storia ne addimostri. Ma ora quell'elemento è risorto: l'abbiamo con noi e parte della vita, degli usi, degli studii nostri, è antico, e moderno ad un tempo, ora che non vi ha istruzione bene ordinata, che quasi non insegni leggere in Virgilio ed in Tullio, ora che non vi ha persona, che di studii abbia una lieve tintura, che non sappia quali fossero Bruto ed Augusto; ora che il codice Giustinianeo ha cattedre emanuali è quasi forza di legge viva ? Con Romolo Augustolo cadde il vano simulacro, ma le idee non cadderc, la scienza, e le passioni del Romano Impero ; o se pur caddero, risursero indi a poco. E chi si facesse a torre dalla moderna civil costituzione tutto che vi ha di Romano, e di antico, molto più ne torrebbe ch'ei non si avvisa; è gran parte si vedrebbe astretto a negare del mondo in cui tutto di viviamo. Che si cerca or dunque, che si aspetta, che si vuol revocare ? Quello passò che passar dovea perchè era nato parituro, e la buona mercè di Dio, l'arcaismo di pochi dotti nol faranno tornare. Si aspetta egli forse che rivivano i giuochi sanguinosi del circo, gli stempiati augurii, ed i brutti misteri della buona Dea? Il secolo non crede, che il tornar di questi usi volgerebbe in meglio le sue condizioni.

(Sarà continuato)

CAMILLO CARACCIOLO.

INTORNO

A VARII DIPINTI

DI GIUSEPPE MANCINELLI

to parlo per ver dire....
PETRARCA

Oró gli studi fatti in Roma tra coloro che il nostro real Governo colà regge a sue spese, Giuseppe Mancinelli, pittore istorico, mostrò dipinto in tela di mez

zana dimensione una scena di pastori di Arcadia. Traspariva in essa la più esatta imitazione del modo raffaellesco; e però molti giudicarono che il meglio di quel quadro non fosse che copiato quà e là dagli affreschi dell' Urbinate, senza avvedersi che con tai critiche anzi che scemare il pregio del giovane artista, che n'era l'autore, si compartiva a lui troppa lode.

Io non vidi in quella tela che la volontà d'imitare il sublime magistero di Raffaello; e ciò facendo Mancinelli non senza forti istituzioni, e caldo di quel concitato volere che solo può farne giungere a grandi cose, molto facea sperare di sè. Tenni per fermo ch'egli fosse l'unico tra' nostri pittori di pretensione che avesse dato nel segno; e sovvennemi di. Ovverbek, il quale pare abbia

indovinato nelle sue la spontaneità delle composizioni di Raffaello; ma poichè in talune quel Tedesco cade nel secco del trecento, mi godè l'animo che Mancinelli da Italiano non avrebbe alla fonte de' predecessori di Raffaello attinto una maniera dalla quale Raffaello stesso si distolse fissando in sè l'archetipo del bello della italiana scuola.

Un Mecenate, un ricco della stampa di quei d'un tempo, dovuto avrebbe allora prediligere il giovane artista, e secondarne il buon talento, ed alimentare una scintilla per la quale sin da quando era nelle scuole, ove gli fui compagno, io sentia lodarlo da' professori, massime da quel severo disegnatore, Costanzo Angelini. Ma di codesti proteggitori non ve n'ha adesso; adesso che le arti belle non più tengonsi come tutelari numi del sociale incivilimento. Intanto lo studio della pittura richiede mezzi, e l'ampia mole de' quadri più ne chiede che non la piccola; ed aspettare che le commissioni piovano dall'alto senza che alcuno ti sospinga è vana speme. Però a Mancinelli nostro, cui mancavano e mezzi e pro tettori, mancava l'animo; e desistendo da quella larga maniera di fare in che universalmente tiensi riposto il sommo magistero dell'arte, pensò che una pittura la quale tenesse del genere e del fiammingo, e secondasse la moderna smania de' costumi, delle stoffe e delle barbe del medio evo, avrebbe dato a lui cagione di alcun guadagno ed aperta la strada alle commissioni; nè male si apponeva; ed ammiravasi nella pubblica mostra del 1841 un quadro rappresentante Torquato Tasso che legge il suo poema alla presenza di Alfonso duca di Ferrara.

In una tela di palmi 7 per 5 erano dipinte meglio che quindici figure, Mancinelli tra' portici di un terrazzo di ben sentita architettura avea seduto Alfonso con a sinistra la innamorata sorella, ed a dritta il Cardinale; presso costoro varii affini alla corte, e presso la Duchessa due vezzose damigelle. Nel centro del quadro poneva il poeta: dopo costui un gruppo di quegli invidi che tanto amara gli fecero menare la vita; e nel fondo, le belle linee de' monti e de' campi di Toscana circostanti al ducale castello, il quale compiendo il quadro, sorge come stemma del feudale orgoglio. In codesto quadro mostrò Mancinelli la bella scuola de' classici piegata a trastullarsi, e vestir fogge da scena, per piacere. Ma Museo vol. IV.

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La invenzione de' gruppi, il bel drappeggio delle vestimenta e la naturalezza de' volti fu da tutti gli artisti ammirata. Maravigliosi apparvero i diversi sentimenti di stupore, d'ira, d'amore e d'invidia sì bene espressi in ognuna di quelle ritratte persone; e sopratutto quello di amore nella Eleonora era si vero, che non mai più bella e vinta da tal passione potrà figurarsela chiunque ben sente i versi immortali di Torquato, laddove canta di Erminia e di Tancredi. Lo accordo de' vari colori era stupendo, stupendo quel che dicesi tuono del dipinto, nè altro vi scorsi che troppo spazio fra' varii gruppi, e troppa altezza nella parte superiore del quadro, per la quale le già piccole persone venivano ad essere menomate nell' insieme. Ma per ogni persona che sa di cose artistiche, fu non poco lodato un tal lavoro, e più, fu compianto il caso che un tanto valente artista avesse avuto a piegarsi a pittura quasi come di genere.

La Maestà del nostro Re comprava pe' suoi reali appartamenti quel quadro, e commettevane a Mancinelli un altro di uguale dimensione del primo, e n'era il soggetto Torquato Tasso presentato a quel Clemente VIII, che porse a lui ristoro delle sventuresofferte. La maestà del Pontefice, lo splendore della santa corte, i ricchi adobbi, e la solennità del Vaticano destarono in Mancinelli il suo veTo foco, più confacendosi all' indole della pittura di quel classico ch' egli tiensi a modello, un tal soggetto. E però, allorchè videsi compita tal commissione, non parve quella tela cosa di pittore moderno, ma parve antica; e di quel tempo, del cui splendore fanno più fede le arti belle che altro. Il papa Clemente dal zucchetto a' piedi, e da'piedi sino all'ultimo ciondolo della veste e del seggio, fu tenuto come una gemma. Eravi un sapore di classico, che niente più. Ne di minor pregio erano i cardinali posti intorno al trono pontificio, robustamente essendo coloriti ed atteggiati. Il Tasso al cospetto del Pontefice appariva devoto ed umile, ma dignitosamente prostrato; ed eragli in volto, per quanto il comportava la dimensione delle figure, tutta la espressione de' durati affanni. Alle spalle del poeta Gianfrancesco Aldobrandini con vari altri intorno a sè, faceva per la armatura di che era coperto, bel contrasto con le diverse porpore de' prelati; e tutte queste figure, meglio aggruppate e meno sparse che nel quadro antecedente, erano più coerenti

al principale soggetto. Era poi il campo del dipinto una bellissima architettura di quel buon tempo in che le arti furono vive, ed armonizzava in modo tale con le figure, che nè il vivo uniforme delle porpore, nè il fulgore dell' oro e la diversità delle stoffe, vi facevano quel disarmonico insieme, tanto difficile ad evitarsi in soggetti di tal fatta. Ricevevane Mancinelli il regio ed il pubbli co gradimento, e quel che più monta, il plauso de' suoi fratelli artisti; ma non per ciò cangiava le sue sorti pittoriche. Il Re ordinavagli, grande quanto i due primi, un quadro rappresentante Alfonso di Aragona all'assedio di Gaeta. Il marchese Ala Ponzoni commettevagli una ripetizione del primo quadro del Tasso. E la principessa di Paternò sceglieva che in piccola tela Mancinelli ripetesse per lei le sole figure di Torquato e di Eleonora, comprovando con tale commissione ciò che in quel dipinto era da preferirsi al rimanente. Ma il principe di Sant'Antimo ebbe ordinato a Mancinelli un quadro, a fine di riempire in una delle sue ben adorne gallerie una cornice di squisito intaglio forestiere, sopra una tela di palmi 6 per 412. Nella quale doveva dipingersi Rubens nell' atto che riceve da Carlo I d'Inghilterra la corona e la spada di Cavaliere; ed è questo il terzo quadro di tal genere che il nostro pittore ha esposto al giudizio de' suoi cittadini.

I quali ad una voce gli hau profferito lodi sincere. Il quadro del Rubens, di minor mole degli antecedenti, ha sopra quelli più larga disposizione, e nel medesimo tempo più insieme di figure. Le masse son larghe, e meglio riempiono la tela di quel che nol facessero ne' due primi dipinti, e potrebbe ben dirsi un gran quadro traguardato in uno di quegli specchietti colorati ne' quali sogliono i pittori veder l'effetto de' loro lavori in piccolo. Non v' ha, a vero dire, alcuna sensibile espressione di affetto, colpa del soggetto che nulla offre di toccante per questa parte; ma Carlo e la sposa vi sono ritratti in modo parlante ; e forse perchè la storia ci ha fatto piangere per le sventure di questo principe sì crudelmente ucciso, in ambo le persone reali traspare una mestizia congiunta ad una maestà tutta inglese e del tempo, che è veramente inesplicabile. Il Rubens è fortemente colorito, ed ha bella la movenza di tutta la persona, ed evvi un paggio accanto la regina, che è l'amore di tutti gl' intendenti, tanto è naturale e di

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