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OSSERVAZIONI

SOPRA ALCUNI LUOGHI DEL LIBRO PRIMO

I.

M. Catoni, homini ignoto ac novo etc. Cap. 1.

Certamente uomo di nazione oscura, uomo nuovo era quel M. Catone, di cui si parla in questo luogo: ma per la virtù onde l'animo suo splendeva, ricevuto nella cittadinanza romana, COme altrove nota lo stesso Tullio, divenne appo tutti illustre e riverito. Laonde Valerio Massimo dice: Cato nomen suum, Tusculi ignobile, Romae nobilissimum reddidit. E sappiamo come il medesimo Cicerone avesselo in istima, dappoichè così di frequente fa di lui splendida menzione nelle sue opere. Era questo un tributo di osservanza debita alla virtù piuttosto singolare che rara di Catone: ma non sarebbe alieno dal vero il credere che ciò provenisse altresi da quella cotal medesimezza di condizione, per cui quasi la gloria dell' uno mescevasi, a mo' di dire, e accomunavasi a quella dell'altro. Ancora Cicerone era uomo nuovo da Arpino e, come dice Dante nel Convito, uno nuovo cittadino di piccola condizione: il quale, tutto il proprio ingrandimento lo dovette, per sentenza di Velleio, non a verun lustro di maggiorenti, ma solo a se stesso: Cicero omnia incrementa sua sibi debuit, vir novitatis nobilissimae. Or ecco: l'ignobile Tusculano, salito in gran credito e autorità appresso i Romani, non poteva non essere un nome caro all' ignobile Arpinate, venuto anch'egli a sublime stato e perfino alla consolare dignità .

Del rimanente, questi ed altri simili esempi di uomini che, sebbene per niuno antenato illustri, secondo l'espressione di Orazio, pur tuttavia e probi vissero e di splendidi onori furono

cumulati, ben debbon essere di nobile incitamento a studio di virtù e sapienza: uniche arti, al postutto, onde si giunge a onesta fama, a vera e durabile grandezza.

II.

Ipsis est praeferendus doctoribus. Cap. II.

Questo luogo, anzi tutto il presente capitolo tende a dimostrare l'eccellenza dell' uomo di stato; il quale, secondo una sentenza di Platone, è da collocare nel numero dei sapienti. Anzi la platonica definizione dell' uomo appresso Sesto Empirico consiste nell' attribuire al medesimo, come peculiare e distintiva qualità, la capacità della scienza politica: Aρor a war otnung modetikns, dice il divino filosofo. E a ciò medesimo sembra doversi riferire quella sentenza di Tullio nel primo dell' Oratore: Bibliothecas mehercule omnium philosophorum unus mihi videtur duodecim labularum libellus... superare. Ed ecco perchè anche nel capo settimo del presente libro dice: Nulla res est in qua propius ad deorum numen virtus accedat humana, quam civitates aut condere novas aut conservare iam conditas. Odasi poi come Lattanzio, avendo sott'occhio il sovra citato luogo, similmente ragioni sullo stesso proposito. Sapientia nisi in aliquo actu fuerit quo vim suam exerceat, inanis el falsa est: recteque Tullius civiles viros qui remp. gubernent, qui urbes aut novas constituant, aut conslilulas aequitate tueantur, qui salutem libertatemque civium vel bonis legibus vel salubribus consiliis vel iudiciis gravibus conservent, philosophiae doctoribus praefert (1). Ma non sarà in disgrado vedere, come su questa materia parli un insigne italiano, mancato non ha guari ai viventi, del quale è dubbio se maggior fusse la dottrina o l'opinione della dottrina; certo grandissime furono ambedue. « L'ingegno governativo (egli dice) degnamente inteso come attitudine a fondare e perfezionare una comunanza, è la cima dell' ingegno pratico ed attivo, ed è raro assai perchè richiede il concorso di molte parti differentissime. Richiede vigore e co

(1) Instit. III, 16.

stanza di entusiasmo, altezza di pensieri e magnanimità di spirili, sia per concepir cose grandi, sia per aver animo di eseguirle. Richiede prudenza nel risolvere, audacia nel cominciare, celerità nel mandare ad effetto, notizia del passato, sperienza del presente, divinazione del futuro, sagacità nel cogliere e preoc cupar le occasioni, fecondità nel trovare e saviezza nell'eleggere i partiti, arte di temporeggiare a tempo, di destreggiare o rompere a proposito, intrepidità di cuore nei pericoli, serenità di mente nelle procelle, vigilanza sollecita nelle bonacce, longanimità tollerante degli indugi e dei travagli, pertinacia nelle savie deliberazioni, fiducia oculata nell' avvenire, e fortezza d'ani mo straordinaria contro gli ostacoli, le traversie, le calamità d'ogni sorte. Richiede somma penetrativa nel conoscere le varie tempre degli uomini, abilità grande nel saper loro andare aʼver→ si, sia per maneggiarli e averli docili cooperatori dei propri disegni, sia per commettere loro quei carichi a cui sono meglio connaturati: richiede rara perizia dei tempi, dei luoghi, delle cose, degli eventi, per poter cavare il migliore costrutto possibile dalle circostanze e dai casi esterni: e in fine quella spezie d'influenza e direi quasi di magia naturale che coll'ingegno, colla parola, collo stesso sguardo l'uomo di comando esercita su i subalterni, e contribuisce non poco a rendere efficace e durevole il suo imperio (1) ». Sin qui l'illustre filosofo.

III.

Neque ea signa audiamus quae receptui canunt . Cap. II.

Comeche Cicerone di tal modo consigli ed esorti, pur tuttavia, si avvenne anch' egli a tale condizione di cose, che necessario, non che prudente, stimò trarsi fuora d'ogni pubblica gerenza : ondechè, libero dalle spinose e difficili cure dello stato, tutto si dedicò nel privato ozio alla filosofia. Ciò fu quando Cesare, assunta la suprema podestà col nome di dittatore, diede l'ultimo crollo alla romana repubblica. Nelle tante e si varie vi

(1) Gioberti.

cissitudini della vita egli è d'uopo talvolta appigliarsi a questo savio partito e Orazio, il poeta filosofo, ciò stesso persuade coll' esempio di quel Veianio gladiatore, il quale non più oramai idoneo ai fieri combattimenti dell' anfiteatro, le armi appende al tempio di Ercole e in un campestre secesso si raccoglie. Ma l'oraziano gladiatore era invecchiato e divenuto per se stesso disacconcio: là dove alle volte interviene che anco per altre cagioni sia mestieri ammainar le vele e ripararsi nel tranquillo del domestico porto. Oh! si, mature sanus (ti dirò col citato poeta) cioè di buon'ora savio ed accorto, cedi al tempo; togliti ai perigliosi flutti civili, se non vuoi che l'oceano sconvolto e mugghiante ti assorbisca tra'suoi vortici. Vivi a te, abita con teco; avendo sempre nella mente quel principio di morale perfezione, cotanto raccomandato dal greco filosofo : yw' autoV: di tal modo intendendo alla cognizione di te stesso, riuscirai a far tesoro di virtù e sapienza. Ma se dignitosa conscienza e dovere di cittadino ti comandassero rimanere, eziandio con rischio della vita, fermo al tuo posto, intento all' ufficio tuo? In tal caso ti conforti, non che altro, la idea di quel giusto e tenace del suo proposto, cui, secondo l'energica frase del menzionato poeta, Non civium ardor prava iubentium, Non vultus instantis tyranni Mente quatit solida ... Ti soccorra all'animo l'altissima sentenza di Tullio, nel primo delle Tusculane, che dice: Clarae mortes pro patria oppetitae non solum gloriosae rethoribus, sed etiam beatae videri solent.

IV.

Levitatis Atheniensium crudelitatisque in amplissimos cives exempla... etiam in gravissimam civítalem nostram dicuntur redundasse. Cap. III.

Fra le ragioni che addurre si sogliono per coloro i quali amano tenersi fuora della pubblica gerenza, una si è la ingratitudine dei cittadini, la quale per verità un po' troppo di frequente accompagna chi bene meritò della patria. E a conferma di ciò allegansi splendidissimi esempi, Milziade, Temistocle ed altri: dai quali risulta manifesta la leggerezza e crudeltà degli Ate

niesi verso cittadini egregi: i quali fatti ed esempli (continua il testo) incominciati e frequenti divenuti appo i Greci, dicono che nella gravissima città nostra eziandio (cioè in Roma) traboccassero. Il qual ragionamento di Tullio dimostra che assai più ingrati furono gli Ateniesi che non i Romani verso i benemeriti cittadini. Su di che facendosi il Machiavello a considerare, trova questa essere della diversità la causa. « I Romani avevano meno cagione di sospettare 'de' suoi cittadini che gli Ateniesi. Perchè a Roma, ragionando di lei dalla cacciata dei re infino Silla e Mario, non fu mai tolta la libertà da alcuno suo cittadino: in modo che in lei non era grande cagione di sospettare di loro, e per conseguente di offendergli inconsideratamente. Intervenne bene ad Atene il contrario: perchè, sendole tolta la libertà da Pisistrato nel suo più florido tempo, e sotto uno inganno di bontà; come prima la diventò poi libera, ricordandosi delle ingiurie ricevute e della passata servitù, diventò acerrima vendicatrice non solamente degli errori, ma dell'ombra degli errori de' suoi cittadini. Di qui nacque l'esilio e la morte di tanti eccellenti uomini; di qui l'ordine dello ostracismo, ed ogni altra violenza che contra i suoi ottimati in vari tempi da quella città fu fatta. Ed è verissimo quello che dicono questi scrittori della civiltà: che i popoli mordono più fieramente poi ch' egli hanno ricuperata la libertà, che poi che l'hanno conservata. Chi considererà adunque quanto è detto, non biasimerà in questo Atene, nè lauderà Roma: ma ne accuserà solo la necessità, per la diversità degli accidenti che in queste città nacquero ».

Dal quale ragionamento del segretario fiorentino due cose possono dedursi. La prima è che in Roma, almeno dal tempo che corse dalla cacciata dei re insino alle gare feroci di Mario e Silla, poco, o certo meno che in Atene, vi si videro ambizioni smodate e cupidigie di regno, per cui alcun cittadino tentasse di recare a se tutto il dominio della repubblica. L'altra cosa è, che noi non crediamo doversi ad Atene dar biasimo nė mala voce d'ingrata, perciocchè talvolta cacciò fuora alcun cittadino, prima benemerito per magnanimi fatti; ma poi, per la grande opinione acquistata nell' universale, venuto in baldanza

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