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polliceor me effecturum, ut ne qua particula in hoc sermone praetermissa sit. Tum Laelius, Ego vero istuc ipsum genus ora. tionis, quod polliceris, exspecto.

XXV. Est igitur, inquit Africanus, respublica res populi (1); populus autem non omnis hominum coetus quoque modo congregatus, sed coetus multitudinis iuris consensu et utilitatis communione sociatus. Eius autem prima causa coeundi est non tam imbecillitas, quam naturalis quaedam hominum quasi congregatio: non est enim singulare, nec solivagum genus hoc, sed ita generatum, ut ne in omnium quidem rerum affluen (2)

Brevi multitudo, dispersa atque vaga, concordia civitas facla erat. Augustinus, Epistola CXXXVIII, 10.

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XXVI.....quaedam quasi semina (3); neque reliquarum virtutum, nec ipsius reipublicae re

come maestro debba tener dietro a tutto; nè mi prometto di far tanto che niuna particella sia nel mio discorso pretermessa. Al che Lelio: Ed io desidero cotest' essa maniera di ragionare che tu prometti.

XXV. Adunque, incominciò l'Africano, repubblica è cosa del popolo; e popolo è non già ogni adunanza d'uomini per qualsivoglia modo raccolta, ma si è la unione della moltitudine per consentimento di legge e per comunanza di utilità collegata. Prima causa poi di quel convenire insieme è non tanto la debolezza degli uomini, quanto un certo natural talento di raccogliersi in compagnia: perciocchè questa umana stirpe non è fatta per vivere solitaria ed errante, ma talmente è generata che nè tampoco tra l'affluenza di tutte le cose, voglia essere priva di società.... In poche parole, la moltitudine, dispersa e raminga, per concordia divenne città.

XXVI.... nè di veruna virtù, nè della stessa repubblica sia dato trovare altra origine. Queste

(1) Sant' Agostino ritiene la ciceroniana definizione là dove dice: Rempublicam, id est rem populi, rem patriae, rem communem nolint administrare nisi perfecti. Uno scoliaste però attribuisce tal definizione a Varrone: Respublica est, ut Varro breviter definit, res populi.

(2) L'autore continuava senza dubbio, dice il Mosero, o in questa o in poco dissimile sentenza: affluentia societate sui generis carere velit. Mancano due pagine: e nella lacuna contenevasi, per congettura del Mai, una più larga sposizione della causa onde furono instituite le umane società. Dove cade opportuno un passo di Lattanzio (Instit. VI, 10) che certo fu, sebbene con interpolazioni, da questa tulliana opera derivato.

(3) Senso dell' autore è, dice il Mai, natural cosa essere negli uomini il desiderio di onesta società, del quale hanno insiti i semi: non altrimenti che naturale è il desiderio della virtù.

periatur ulla institutio. Hi coetus igitur hac, de qua exposui, causa instituti sedem primum certo loco domiciliorum causa constituerunt; quam quum locis manuque sepsissent, eiusmodi coniunctionem tectorum oppidum, vel urbem appellaverunt, delubris distinctam, spatiisque communibus. Omnis ergo populus, qui est talis coetus multitudinis, qualem exposui; omnis civitas, quae est constitutio populi; omnis respublica, quae, ut dixi, populi res est, consilio quodam regenda est, ut diuturna sit. Id autem consilium primum semper ad eam causam referendum est, quae causa genuit civitatem. Deinde aut uni tribuendum est, aut delectis quibusdam, aut suscipiendum est multitudini atque omnibus. Quare quum penes unum est omnium summa rerum, regem illum unum vocamus, et regnum, eius reipublicae statum. Quum autem est penes delectos, tum illa civitas optimatium arbitrio regi dicitur. Illa autem est civitas popularis (sic enim appellant), in qua in populo sunt omnia. Atque horum trium generum quodvis, si teneat illud vinculum, quod primum homines inter se reipublicae societate devinxit, non perfectum illud quidem, neque mea sententia optimum sed tolerabile tamen, et aliud alio possit esse praestantius. Nam vel rex aequus ac sapiens; vel delecti ac principes cives; vel ipse populus, quamquam id est minime probandum, tamen, nullis interie

società dunque, per la esposta cagione istituite, primamente fermarono in un determinato loco la sede all'intendimento di stanziarvi: la qual sede avendo per natura e per arte fortificata, tale unione di case appellarono castello o città, intramezzata di templi e di spazi comuni. Adunque, ogni popolo che è un tale adunamento di moltitudine, quale ho esposto ; ogni città ch'è l'ordinamento del popolo ; ogni repubblica, la quale, siccome ho detto, è cosa del popolo, ha mestieri di esser governata per un certo consiglio a volere che sia diuturna. E questo consiglio deve in primo luogo riferirsi sempre a quella causa che produsse la città. Appresso, o ad un solo dee tribuirsi o ad una eletta d' uomini ; o dee lasciarsi alla moltitudine e a tutti. Per lo che, quando appresso un solo è la som. ma di tutte le cose, quell'uno appelliam re e regno lo stato di quella repubblica . E quando è presso alcuni scelti cittadini, allora diciamo quello stato reggersi ad arbitrio degli ottimati. Quella città poi chiamano ed è popolare, dove tutta l'autorità è nel popolo. E qualunque di questi tre generi, se mantenga quel vincolo che primamente legò gli uomini fra loro in società di repubblica, non può certo, a mio giudizio, ottimo essere nè perfetto, ma comportabile nondimeno e l'uno più dell'altro prestante. Poiche o un re giusto e sapiente, o una eletta dei principali cittadini, o il popolo istesso (comechè ciò

ctis iniquitatibus aut cupiditati bus, posse videtur aliquo esse non incerto statu.

XXVII. Sed et in regnis nimis expertes sunt ceteri communis iuris et consilii; et in optimatium dominatu vix particeps libertatis potest esse multitudo, quum omni consilio communi, ac potestate careat; et quum omnia per populum geruntur, quamvis iustum atque moderatum, tamen ipsa aequabilitas est iniqua, quum habeat nullos gradus dignitatis. Itaque si Cyrus ille Perses iustissimus fuit sapientissimusque rex, tamen mihi populi res (ea enim est, ut dixi antea, publica) non maxime expetenda fuisse il la videtur quum regeretur unius nutu. Ac modo si Massilienses nostri clientes, per delectos et principes cives summa iustitia reguntur, inest tamen in ea conditione populi similitudo quaedam servitutis; si Athenienses quibusdam temporibus, sublato areopago, nihil nisi populi scitis ac decretis agebant, quoniam distinclos dignitatis gradus non habebant, non tenebat ornatum suum civitas.

XXVIII. Atque hoc loquor de tribus his generibus rerumpublicarum non turbatis atque permixtis, sed suum statum tenentibus. Quae genera primum sunt in iis singula vitiis, quae ante dixi; deinde habent perniciosa alia vitia: nullum est enim genus illarum rerumpublicarum, quod non

sia ben poco da approvare), sembra che possa, tolte di mezzo le ingiustizie e cupidigie, costituire un qualche stabile reggimento.

XXVII. Ma e nei regni troppo sono gli altri esclusi dal comune diritto e consiglio; e nella signoria degli ottimati appena può la moltitudine partecipare a libertà, priva com'è d'ogni comune con siglio e potere; e quando tutto amministrasi dal popolo, comechè giusto e moderato, pur la stessa uguaglianza è iniqua, nou ammettendo verun grado di dignitå. Laonde se quel Ciro di Persia fu giustissimo re e sapientissimo, tuttavia quella cosa del popolo (perciocchè tale è, siccome ho detto di sopra, la cosa pubblica) non sembrami che fusse troppo da desiderare, dipendendo dal cenno di un solo. E di presente se i Marsigliesi, clienti nostri, sono retti con somma giustizia per una scelta dei principali cittadini, pure in quella condizione di popolo ha una cotal somiglianza di servitù. Se gli Ateniesi in certi tempi, tolto via l'areopago, nulla operavano se non per leggi e decreti di popolo, pur la città non manteneva lo splendor suo, non aven. do distinti i gradi della dignità .

XXVIII. E ciò dico di questi tre generi di repubbliche non confusi e misti, ma tenenti ciascuno sua qualità. I quali generi radicansi ciascuno primamente in quei vizi che di sopra ho detto; poscia anche in altri ben perniziosi: conciossiachè nissun genere sia di quelle repubbliche, il quale non

habeat iter ad finitimum quoddam malum praeceps ac lubri cum. Nam illi regi, ut eum potissimum nominem, tolerabili, aut si vultis, etiam amabili Cyro, su best ad immutandi (1) animi licentiam crudelissimus ille Phalaris, cuius in similitudinem doninatus unius proclivi cursu et facili delabitur. Illi autem Massiliensium paucorum et principum administrationi civitatis finitimus est qui fuit quodam tempore apud Athenienses triginta virorum consensus et factio. Iam Atheniensium populi potestatem omnium rerum ipsi, ne alios requiramus, ad furorem multitudinis licentiamque conversam pesti (2) .

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ra,

abbia facile e lubrico il trapasso ad un certo confine di male. E certamente a quel Ciro, per nominar lui fra gli altri, re comportabile e se volete, amabile ancosoltentra a volger l'animo a tirannide quel crudelissimo Falaride, a esempio del quale la dominazione di un solo con rapido e proclive corso precipita. A quel poi civile reggimento di pochi e principali fra i Marsigliesi finitima è la congiura e fazione dei trenta che un tempo fu presso gli Ateniesi. Anzi noi stessi, per non cercar d'altri, vedemmo la piena podestà del popolo ateniese imilata in Roma per i pestilentissimi consigli di Tib. Gracco cangiata, non ha guari, in furore e licen za di moltitudine....

XXIX.... e dalla podestà de

(4) Il Villemain passò a piè pari questa frase ad immutandi animi licentiam. Noi abbiamo tradotto a volger l'animo a tirannide: dove anzichè rendere parola per parola (lo che procacciamo pur sempre, quanto comporta l'indole delle lingue), abbiamo, siccome è chiaro, estratto e quasi indovinato il concetto: indovinato dico, dietro le interpretazioni dei critici e massime del dotto Hermanno, le cui parole ci piace qui riferire. Etiamsi quis rex non modo tolerabilis sed amabilis est, tamen subest ei latetque recondita in eius pectore tyranni indoles, quae animi licentiam provocet, ut unius dominatus proclivi cursu et facile delabatur in similitudinem Phalaridis .

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(2) Se il pronome ipsi è qui posto dall' autore in luogo di Romani, sembra potersi chiudere il periodo colle parole: pestilentissimis Tib. Gracchi consiliis Romae nuper expressam vidimus. Se poi (lo che sembra più probabile) sta in vece di Ateniesi, potrà supplirsi: pestilentem fatentur. Così il Mai. - In tutta poi questa lacuna di due pagine null' altro forse contenevasi che la descrizione dei vizi inerenti a ciascuna delle tre forme di reggimento.

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(3) Così leggiamo questo passo col Mosero: teterrimus, et ex hac optimatium, vel factio tyrannica illa, vel regia, vel etiam persaepe popularis; itemque ex ea genus quodque efflorescere, etc. Lo stesso critico poi è di opinione, che la voce teterrimus si riferisca alle mutazioni degli stati; del che parlasi in questa lacuna.

ex hac, vel optimatium vel factiosa tyrannica illa, vel regia, vel etiam persaepe popularis; itemque ex ea genus aliquod efflorescere ex illis, quae ante dixi, solet; mirique sunt orbes et quasi circuitus in rebuspublicis commutationum et vicissitudinum : quos quum cognosse sapientis est, tum vero prospicere impendentes, in gubernanda republica moderantem cursum, atque in sua potestate retinentem, magni cuiusdam civis et divini paene est viri. Itaque quartuin quoddam genus reipublicae maxime probandum esse sentio, quod est ex his, quae prima dixi, moderatum et permixtum tribus.

XXX. Hic Laelius, Scio tibi ita placere, Africane; saepe enim ex te audivi; sed tamen, nisi molestum est, ex tribus istis mo. dis rerumpublicarum velim scire quod optimum iudices. Nam vel profuerit aliquid ad cog (1)

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gli ottimati o la tirannica fazione o la regia, od anche più sovente la popolare; e similmente da essa sbocciar suole alcun genere di quelli che innanzi ho detto: e mirabili sono nelle repubbliche i giri e quasi circuiti di mutamenti e vicissitudini : i quali siccome aver conosciuto è da sapiente, così prevederli imminenti è proprio di un gran cittadino e di un uomo quasi celeste che nel reggimento della cosa pubblica ne moderi il corso e in suo potere lo contenga. Laonde io sono di avviso, doversi sopra ogni altro approvare un quarto genere di repubblica, il quale di quei tre che ho detti innanzi, sia temperato e misto .

XXX. Qui Lelio: Ben so, Africano, così essere in piacer tuo; chè spesso l'ho da te udito: pu

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XXXI.. et talis est quae. XXXI.... e tale è qualunque que respublica, qualis eius aut repubblica, quale o la natura o natura, aut voluntas, qui illam la volontà di chi la regge. Perregit. Itaque nulla alia in civi- tanto in nissun' altra città, se non tate, nisi in qua populi pote- in quella dove sommo è il potere stas summa est, ullum domici- del popolo, ha qualche domicilio lium libertas habet: qua quidem la libertà: di che certo niuna co

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(1) Insistendo Lelio perchè Scipione dica il suo parere intorno ai tre generi di repubblica, prende qui a ragionare in primo luogo del reggimento popolare in modo però che, innanzi tratto, avverte, la sorte di ciascuno stato fondarsi principalmente nella indole e nei costumi dei reggitori. E questo, a sentenza del Mai, dimostravasi nella lacuna. Il Villemain poi aggiunge che Scipione non parla qui secondo suo senso ( avendo egli già accennata l' opinion sua per un quarto modo di reggimento), ma viene intanto esponendo ciò che dicono i fautori dell'una o dell' altra spezie di governo, cominciando dalla popolare.

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