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et ipsius et filiorum, exsulem et regem ipsum, et liberos eius, et gentem Tarquiniorum esse iussit.

XXVI. Videtisne igitur, ut de rege dominus (1) exstiterit, uniusque vitio genus reipublicae ex bono in deterrimum conver sum sit? Hic est enim dominus populi, quem Graeci tyrannum (2) vocant: nam regem illum volunt esse (3), qui consulit ut parens populo, conservatque eos quibus est praepositus, quam optima in conditione vivendi . Sa ne bonum, ut dixi, reipublicae genus, sed tamen inclinatum et quasi pronum ad perniciosissimum statum. Simul atque enim se inflexit hic rex in dominatum iniustiorem, fit continuo tyrannus, quo neque tetrius, neque foedius, nec diis hominibusque invisius animal ullum cogitari potest: qui, quamquam figura est hominis, morum tamen immanitate vastissimas vincit belluas. Quis enim hunc hominem rite dixerit, qui sibi cum suis civibus,

figli, ordinò che si cacciassero fuora e il re stesso e i figli di lui e tut ta dei Tarquinii la schiatta.

XXVI. Vedete dunque come dal re surse il signore e come per colpa di un solo il genere di repubblica di buono ch'era, sceleratissimo divenne. Poichè questo è quel signore del popolo che i Greci chiaman tiranno: mentre vogliono che re sia colui il quale provvede siccome padre al popolo, e conserva coloro ai quali è preposto, in una felicissima condizione di vita. Buona per fermo, siccome ho detto, è questa spezie di repubblica ; ma inclinata e quasi prona a perniziosissimo stato. Chè, come prima un re piegasi ad una alquanto ingiusta dominazione, incontanente fassi tiranno: di cui nissuno nè più tetro, nè più sozzo, nè più agli dii e agli uomini odioso animale può immaginarsi; il quale, quantunque abbia figura d'uomo, nondimeno per fierezza di costumi vince le immanissime belve. Chi di fatto a buona ragione chiamerà uomo costui, il

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(1) Il diverso significato di queste due voci rex dominus apparisce anche da Plinio il quale nel panegirico a Traiano dice: Non de tyranno sed de cive, non de domino sed de parente loquimur. E appresso: Sunt diversa natura dominatio et principatus. Così in genere presso i latini scrittori reges si appellavano quelli i quali, come dice poco dopo il nostro autore, avevano perpetua podestà: la quale divenendo assoluta e soperchia, meglio dicevasi dominatio.

(2) Vero è che il vocabolo tyrannus fu d'ordinario usato a significare un re ingiusto sebbene appresso i più antichi scrittori trovasi adoperato anche in buon senso. Su di che è da vedere il Suida alle parole rupavvos, βασιλευς .

(3) Bella e degna imagine di re in brevi parole espressa. Per l' opposito, che fierezza di colori, che terribilità di linee, poco appresso, a ritrarre le sembianze del tiranno.

qui denique cum omni hominum genere nullam iuris communionem, nullam humanitatis societatem velit? Sed erit hoc de genere nobis alius aptior dicendi locus, quum res ipsa admonuerit, ut in eos dicamus, qui etiam liberata iam civitate dominationes appetiverunt.

XXVII. Habetis igitur primum ortum tyranni: nam hoc nomen Graeci regis iniusti esse voluerunt; nostri quidem omnes reges vocitaverunt, qui soli in populos perpetuam potestatem haberent. Itaque et Spurius Cassius, et M. Manlius et Spurius Maelius regnum occupare voluisse dicti sunt; el modo (1)

XXVIII... . . .. Lacedaemone appellavit (2), nimis is quidem paucos, XXVIII, quos penes summam consilii voluit esse, quum imperii summam rex teneret: ex quo nostri idem illud sequuti atque interpretati, quos senes ille appellavit, nominaverunt senatum ; ut etiam Romulum patribus lectis fecisse diximus: lamen excellit atque eminet vis, pote

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(1) Mancano due pagine. Senza dubbio, dice il Mai, qui il discorso aveva di mira Tib. Gracco il quale parve usare turbolentemente il potere. Diremo il resto latinamente colle parole del sempre citato dottissimo editore. Post Gracchi commemorationem videtur auctor in reliqua lacuna persecutus coeptum iam argumentum, dialogistae scilicet non praeceptoris more; nempe quod libertas seu populi ius in regno sit adeo intutum, ut nullum perpetua potestate magistratum fieri expediat; siquidem nec senatus praesidium contra vim regiam satis validum esse videatur.

(2) 11 Mai conghiettura potersi così supplire il principio di questo periodo Concede consilium delectis viris, ut Lycurgus illis quos reportas Lacedaemone appellavit.

stas, nomenque regium. Imperti etiam populo potestatis aliquid, ut et Licurgus, et Romulus; non satiaris eum libertate, sed incenderis cupiditate libertatis, quum tantummodo potestatem gustandi feceris. Ille quidem semper impendebit timor, ne rex, quod plerumque evenit, exsistat iniustus. Est igitur fragilis ea fortu na populi, quae posita est in unius, ut dixi antea, voluntate vel moribus.

XXIX. Quare prima sit haec forma, et species, et origo tyranni, inventa nobis in ea republi. ca, quam auspicato Romulus condiderit; non in illa, quam, ut perscripsit Plato, sibi ipse Socrates peripatetico illo in sermone depinxerit: ut quemadmodum Tarquinius non novam potestatem nactus, sed, quam habebat, usus iniuste, totum genus hoc regiae civitatis everterit; sit buic oppositus alter, bonus; et sapiens, et peritus utilitatis dignitatisque civilis, quasi tutor et procurator (1) reipublicae; sic

cemmo aver fatto anche Romolo nella eletta dei padri: ciò nulla ostante, la forza, la podestà e il nome di re levasi alto e sovrasta. Metti anche il popolo a parte del potere, siccome e Licurgo fece e Romolo: nol sazierai, si lo infiam merai in cupidigia di libertà, mentre gli farai solamente podestà di gustarne. Certo ne sovrasterà sempre timore che il re, siccome il più delle volte accade, divenga ingiusto. Mal ferma è dunque la fortuna di quel popolo la quale, siccome ho detto innanzi, nella volontà e nei costumi di un solo è posta.

XXIX. Questa sia pertanto la prima forma e sembianza e origine del tiranno, da noi trovata in quella repubblica cui Romolo col favore degli auspizi fondò; non in quella che Socrate, siccome scris. se Platone, a se stesso delineỏ in quel peripatetico ragionamento: ondechè, siccome Tarquinio, non acquistata una nuova podestå, ma usata ingiustamente quella che aveva, rovesciò tutta questa spezie di regia città; medesimamente a costui contrappongasi un altro, dabbene e saggio, e sperto della utilità e dignità civile, quasi tutore e procuratore della repubblica; chè di tal nome

(1) Sapientemente ed elegantemente, nota il Mai, in questi libri (lib. 1, 33, 41) paragonasi la podestà regia con la podestà patria, qual era secondo il romano diritto; la podestà poi del tutore si paragona colla podestà di quel cittadino il quale a libera repubblica presiede. Perciocchè nulla era lecito al tutore sulla vita del pupillo, e per giudizio riputavasi infame se il tutore avesse a danno di lui commessa fraude: il padre però, di qualunque fatto o crudele o avaro contro del figlio fosse stato autore, andava impunito.

enim appelletur, quicumque erit rector et gubernator civitatis. Quem virum facite ut agnoscatis: est enim, qui consilio et opera civitatem tueri potest. Quod quoniam nomen minus est adhuc tritum sermone nostro, saepiusque genus eius hominis erit in reliqua nobis oratione tractandum (1) .

XXX.

sas requisivit (2), civitatemque
optandam magis quam speran-
dam, quam minimam posuit;
non quae possit esse,
sed in
qua ratio rerum civilium perspi-
ci posset, effecit. Ego autem,
si quo modo consequi potuero,

si chiamerà chiunque sia buon reggitore e governatore di una cit tà. Il quale uomo procacciate di ben conoscere: poichè è tale che del consiglio e dell'opera può gua. rentire una cittadinanza. E poichè questo nome poco è sin qui adoperato nella nostra favella, e alquanto spesso avrem noi nel se guente ragionamento a trattare della natura di lui . . . .

XXX... Platone volle sopratutto che le terre e le case fussero in eguali parti fra i cittadini divise: e una ben picciolissima città divisò, desiderabile più che sperabile: la imaginò non quale esser poteva, ma tale che ben vi si potesse scorgere la ragion delle cose civili. Io poi, se questo potrò in qualche modo conseguire, con le

(1) Mancano dodici pagine. In questa lacuna è ragionevole il conghietturare che Cicerone parlasse del console succeduto al re. E veramente, che in qualche luogo di questi libri l'autore tenesse di proposito discorso intorno a questa suprema autorità della repubblica, sembra potersi anche da questo argomentare, che egli si attribuì sempre la gloria di perfetto console. Inoltre, di tutti i principali magistrati di Roma fece menzione in questi libri, come egli medesimo asserisce nel terzo delle leggi. Possibile, che tacesse del console, maestrato supremo? Or dunque siccome altrove non ne parla, è da credere che qui spezialmente tenessene discorso; e quale e quanto ne fusse l'ufficio e l'autorità, dimostrasse: sendo che qui porgevaglisi naturalmente il destro di farlo.

(2) II Mai supplisce il principio di questo periodo così: Plato regionem sedesque civium aequis apprime partibus divisas requisivit: e in nota aggiunge. Platone nel quinto delle leggi, o constituendo una nuova città, o instaurando una vecchia e corrotta, per prima cosa vuole che la si purghi dei malvagi cittadini; quindi fra i cittadini stessi parte con egual diritto le campagne e il domicilio; appresso determina il numero dei medesimi. Ora, trattandosi di ordinare in Roma, già libera dai re, un nuovo genere di repubblica, è verosimile che il romano politico seguitasse i divisamenti del greco massime che toccando altrove di un fatto simile a quello della cacciata dei re, val dire della uccisione di Cesare, parla in questa sentenza: Odium illud hominis impuri et servitutis dolor depulsus est. (Ad Fam. XII, 1.).

rationibus eisdem, quas ille vidit, non in umbra et imagine civitatis, sed in amplissima republica enitar, ut cuiusque et boni publici, et mali causam tamquam virgula (1) videar attingere. His enim regiis quadraginta annis et ducentis paullo cum interregnis fere amplius praeteritis, expul soque Tarquinio, tantum odium populum romanum regalis nominis tenuit, quantum tenuerat post obitum, vel potius excessum Ro muli, desiderium. Itaque ut tum carere rege, sic, pulso Tarqinio, nomen regis audire non poterat. Hic facultatem cum (2) . . .

XXXI.... Itaque illa praeclara constitutio Romuli quum ducentos annos et quadraginta fere firma mansisset .. Nonius, XII, 30.

lex illa tota sublata est. Hac mente tum nostri maiores et Collatinum innocentem suspicione cognationis expulerunt, et reliquos Tarquinios offensione nominis. Eademque mente P. Valerius et fasces primus demitti iussit, quum dicere in concione coepisset, et aedes suas detulit sub Veliam; posteaquam, quod

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stesse ragioni che vide egli, non già in una ombra ed immagine di città, ma in un'amplissima repubblica, mi sforzerò in tanto che paia ch'io tocchi quasi col dito la cagione d'ogni bene e male pubblico. Poichè trascorsi questi dugento quarant'anni dei re, o poco più, e discacciato Tarquinio, cotanto odio del nome di re prese il popolo romano, quanto, dopo la morte o piuttosto dipartita di Romolo, avealo preso desiderio . Laonde siccome allora star noǹ poteva senza re, così, cacciato Tarquinio, non poteva più udire di re il nome ....

XXXI. . . . . . Pertanto quella preclara costituzione di Romolo sendo quasi dugento quarant'anni stabile rimasta ... tutta quella legge fu tolta. Con tale intendimento allora i maggiori nostri e Collatino innocente per suspizione del parentado, e gli altri Tarquinii per odio del nome mandarono in bando. E collo stesso intendimento P. Valerio per primo ordinò che giù si calassero i fasci, allorquando cominciò a parlare in concione; e trasferì la sua abitazione sotto il Velio, dappoichè

(1) Quasi virgula non è quella virgula divina, cioè verga divinatoria, di cui il nostro autore parla negli Uffizi; in virtù della quale poteva, chi tenessela, ogni suo desiderio satisfare. Ma s'intende piuttosto una verga o bastone, di che usano quelli che vogliono con qualche accuratezza dimostrare ai riguardanti le singole parti, puta, di un gran dipinto . Villemain traduce marquer du doigt, pour ainsi dire.

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(2) Manca l'intero quaderno ventunesimo, e però sedici pagine. Nella quale ingente lacuna sembra, dice il Mai, che Cicerone risalisse indietro per investigare le cause onde il politico reggimento di Roma ebbe mutazione. Di quindi è da credere che aggiungesse le lodi di Bruto e Collatino, e trattasse delle altre cose le quali riferisconsi ai principii della repubblica. REPUBBLICA DI M. T. CICER.

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