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un dogma cattolico si dovesse spedire in una parola: ma perchè non voleva con la sua prolissità esser autore d'indugio alla sessione, riserbava d'esporre in essa liberamente ciò che sentiva, dove nè rispetto d'autorità, nè speranza, nè altro affetto avrebbelo rattenuto; ma Iddio onnipotente, che è terribile sopra i figliuoli degli uomini, l'avrebbe indirizzato per la sua strada.

Simile dissentirono il Trivigiano, patriarca di Vinezia, il Verallo, il Castagna, ed altri periti decretalisti: ed Orazio Greco, vescovo di Lesina, non si contenne dal dire, che non pur non avrebbe mai consentito a quel decreto, ma che non voleva esser presente alla sessione, e che se ne lavava le mani dinanzi a' padri come Pilato.

Per converso altrettanto fervidamente il comprovò l'arcivescovo di Granata, avverando che 'l decreto era cattolico e necessario, e le opposizioni meri sofismi. Anzi negò egli che il matrimonio clandestino fosse stato vero e fermo infin a quell'ora e per tanto rifiutò che si riponesse un canone, il qual prima s'era formato e poi tolto, per cui ciò si pronunziava.

Fra Guasparre del Fosso arcivescovo di Reggio, il Zambeccaro vescovo di Sulmona, il Foscarario di Modona l'approvarono in sustanza: ma chi propose uno spediente, chi altro per quelle provincie dove non ha parrocchiani.

A che fu risposto da Francesco Blanco spagnuolo vescovo d'Orense, il decreto esser conceputo in modo, che non avrebbe obligato se non dopo la publicazione fattasi nella parrocchia, onde non sarebbonsi per esso allacciati que' popoli fra i quali non erano parrocchiani.

Frate Antonio di s. Michele minor osservante, vescovo di Monte Marano, lesse publicamente una lettera del cardinal fra Clemente Dolera del suo ordine, e dinominato dal titolo, d'Araceli, uomo ragguardevole per dottrina: il quale significava, essersi in Roma disaminata la quistione, e finalmente conchiuso che era lecito e conveniente alla Chiesa il torre que'matrimonii. Ed esprimendosi le opinioni succintamente, il di ventesimosesto d'ottobre dedicato a sant' Evaristo pontefice, i difenditori tanto dell'una quanto dell'altra sentenza professarono d'onorare

col parer loro quel santo (1), le cui parole nel canone aliter 30 q. 5 in questa materia soggiacciono a varia interpretazione o di semplicemente vietare, o eziandio d'annullare.

Nel numero delle sentenze ritrovossi picciolissima varietà dalle passate esaminazioni. Più che i due terzi approvarono il decreto: poco men di sessanta vi ripugnarono alcuni ma radi, a fin di levare i contrasti, consigliarono di rimetter l'affare al papa. Egli fra tanto, veggendo che non era riuscito il sopire la controversia, mandò a Trento (2) un breve trattato scritto in quel tema da' suoi teologi, affinchè andasse per le mani de' padri.

Oltre a questa contesa, ne bollivano altre ne'capi della riformazione, e specialmente alcune, in cui molti de'prelati erano litigatori per l'una banda, e molti per l'altra (3), come intorno alle prerogative

(1) Atti del vescovo di Salamanca e del Paleotto.

(2) Appare da una de' Legati al cardinal Borromeo de' 4 di novembre 1563.

(3) Appare dalle stesse lettere de' Legati de'21 d' ottobre.

degli arcivescovi sopra i vescovi. Onde ben quaranta vescovi diero a'Legati una petizione soscritta da loro, nella quale chiedevano che si togliesse l'ingiusto uso di obligare i suffraganei ad andare o per se o per procuratori alle chiese metropolitane ogni anno la seconda festa di Pasqua, come soleano, ricevendo poco buona trattazione dagli arcivescovi e da'loro vicarii: ma che solo fosser tenuti a far ciò quando occorresse di celebrarvi il sinodo provinciale. Anzi a fin di mostrarsi equi ancora con gli inferiori, domandarono che si sciogliesser da questo laccio altresì gli arcipreti e i piovani verso le chiese cattedrali, fuor solamente per celebrarvi il sinodo diocesano, o qualora al vescovo paresse opportuno: affermando che sì fatte consuetudini traevano loro origine daʼsinodi, i quali s'erano dimessi, ed elle rimase. Onde i Legati, acciò che si procedesse più quietamente, deputarono due vescovi e due arcivescovi che trattassero fra loro, e trovassero convenevol partito, sapendo quanto pregiudichi all' union de'senati che i senatori si rimirino scambievolmente come avversarii.

Stavano i Legati in forse d'accelerar (1) la sessione, ove per l' una parte il potessero, e per l'altra non sapessero che tra brevissimo tempo dovesse il cardinal di Loreno esser colà ritornato: ma venne loro per corriere da Roma commession di aspettarlo, ed insieme un sommario di ciò in che s'era con esso lui convenuto. Aveva egli ricevuta piena soddisfazione dal papa, e di questi sensi erano ite impresse le sue lettere in Francia, commendando l'ottima volontà ritrovata in sua beatitudine verso la riformazione, e biasimando il protesto, con significare, che presente sè non sarebbesi fatto. Mosse ei da Roma a' venti d'ottobre, e nello stesso giorno fu scritta dal papa a'Legati una lunga epistola (2). Quivi si conteneva: che il cardinale avealo sommamente appagato eziandio sopra la sua precedente opinione quantunque grande, ma che non erano già state sopra la sua precedente opinione le somme lodi attribuite da esso al valore

(1) Lettera del cardinal Borromeo a' Legati de' 20 e de' 21 ottobre, alle quali si rispose a’25. (2) Sta nell'archivio vaticano fra le scritture de' signori Borghesi.

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