Immagini della pagina
PDF
ePub

mostrando sempre farlo non per ostentazione, ma a caso, e pregato d' altrui più presto che di volontà sua; ed in ogni cosa che egli abbia da far o dire, se possibil è, sempre venga premeditato e preparato, mostrando però il tutto esser all' improviso. Ma le cose nelle quai si sente mediocre, tocchi per transito, senza fondarsici molto, ma di modo, che si possa credere che più assai ne sappia di ciò ch' egli mostra: come talor alcuni poeti che accennavano cose sottilissime di filosofia o d'altre scienze, e per avventura n'intendevan poco. Di quello poi di che si conosce totalmente ignorante non voglio che mai faccia professione alcuna, nè cerchi d'acquistarne fama; anzi, dove occorre, chiaramente confessi di non saperne.

XXXIX. Questo, disse il CALMETA, non arebbe fatto Nicoletto, il quale essendo eccellentissimo filosofo, nè sapendo più leggi che volare, benchè un Podestà di Padoa avesse deliberato dargli di quelle una lettura, non volse mai, a persuasion di molti scolari, desingannar quel Podestà e confessargli di non saperne, sempre dicendo, non si accordar in questo con la opinione di Socrate, nè esser cosa da filosofo il dir mai di non sapere. Non dico io, rispose messer FEDERICO, che 'l Cortegian da sè stesso, senza che altri lo ricerchi, vada a dir di non sapere ; chè a me ancor non piace questa sciocchezza d'accusar o disfavorir sè medesimo: e però talor mi rido di certi uomini, che ancor senza necessità narrano volentieri alcune cose, le quali, benchè forse siano intervenute senza colpa loro, portan però seco un'ombra d'infamia; come faceva un cavalier che tutti conoscete, il qual sempre che udiva far menzion del fatto d'arme che si fece in Parmegiana contra 'l re Carlo, subito cominciava a dir in che modo egli era fuggito, nè parea che di quella giornata altro avesse veduto o inteso; parlandosi poi d'una certa giostra famosa, contava pur sempre come egli era caduto; e spesso ancor parea che nei ragionamenti andasse cercando di far venire a proposito il poter narrar che una notte, andando a parlar ad una donna, avea ricevuto di molte bastonate. Queste sciocchezze non voglio io che dica il nostro Cortegiano, ma parmi ben che offerendoseli occasion di mostrarsi

in cosa di che non sappia punto, debba fuggirla; e se pur la necessità lo stringe, confessar chiaramente di non saperne, più presto che mettersi a quel rischio: e così fuggirà un biasimo che oggidi meritano molti, i quali, non so per qual loro perverso instinto o giudicio fuor di ragione sempre si mettono a far quel che non sanno, e lascian quel che sanno. E, per confermazion di questo, io conosco uno eccellentissimo musico, il qual, lasciata la musica, s'è dato totalmente a compor versi, e credesi in quello esser grandissimo uomo, e fa ridere ognun di sè, e omai ha perduta ancor la musica. Un altro de' primi pittori del mondo sprezza quell'arte dove è rarissimo, ed èssi posto ad imparar filosofia; nella quale ha così strani concetti e nuove chimere, che esso con tutta la sua pittura non sapria depingerle. E di questi tali, infiniti si trovano. Son bene alcuni, i quali, conoscendosi avere eccellenza in una cosa, fanno principal professione d'un'altra, della qual però non sono ignoranti; ma ogni volta che loro occorre mostrarsi in quella dove si senton valere, si mostran gagliardamente; e vien lor talor fatto che la brigata, vedendogli valer tanto in quello che non è sua professione, estima che vaglian molto più in quello di che fan professione. Quest'arte, s'ella è compagnata da buon giudicio, non mi dispiace punto.

[ocr errors]

XL. Rispose allor il signor GASPAR PALLAVICINO: Questa a me non par arte, ma vero inganno; nè credo che si convenga, a chi vuol esser uomo da bene, mai lo ingannare.— Questo, disse messer FEDERICO, è più presto un ornamento il quale accompagna quella cosa che colui fa, che inganno; e se pur è inganno, non è da biasimare. Non direte voi ancora, che di dui che maneggian l'arme quel che batte il compagno lo inganna ? e questo è perchè ha più arte che l' altro. E se voi avete una gioja, la qual dislegata mostri esser bella, venendo poi alle mani d'un buon orefice, che col legarla bene la faccia parer molto più bella, non direte voi che quello orefice inganna gli occhi di chi la vede? e pur di quello inganno merita laude, perchè col buon giudicio e con l'arte le maestrevoli mani spesso aggiungon grazia ed ornamento allo avorio ovvero allo argento, ovvero ad una bella

pietra circondandola di fin oro. Non diciamo adunque che l'arte o tal inganno, se pur voi lo volete cosi chiamare, meriti biasimo alcuno. Non è ancor disconveniente che un uomo che si senta valere in una cosa, cerchi destramente occasion di mostrarsi in quella, e medesimamente nasconda le parti che gli pajan poco laudevoli, il tutto però con una certa avvertita dissimulazione. Non vi ricorda come, senza mostrar di cercarle, ben pigliava l'occasioni il re Ferrando di spogliarsi talor in giuppone? e questo, perchè si sentiva dispositissimo; e perchè non avea troppo buone mani, rare volte o quasi mai non si cavava i guanti? e pochi erano che di questa sua avvertenza s' accorgessero. Parmi ancor aver letto che Julio Cesare portasse volentieri la laurea, per nascondere il calvizio. Ma circa questi modi bisogna esser molto prudente e di buon giudicio, per non uscire de' termini; perchè molte volte l'uomo per fuggir un errore incorre nell' altro, e per voler acquistar laude acquista biasimo.

XLI. È adunque securissima cosa, nel modo del vivere e nel conversare, governarsi sempre con una certa onesta mediocrità, che nel vero è grandissimo e fermissimo scudo contra la invidia, la qual si dee fuggir quanto più si può. Voglio ancor che 'l nostro Cortegiano si guardi di non acquistar nome di bugiardo, nè di vano; il che talor interviene a quegli ancora che nol meritano: però ne' suoi ragionamenti sia sempre avvertito di non uscir della verisimilitudine, e di non dir ancor troppo spesso quelle verità che hanno faccia di menzogna, come molti che non parlan mai se non di miracoli, e voglion esser di tanta autorità, che ogni incredibil cosa a loro sia creduta. Altri nel principio d'una amicizia, per acquistar grazia col nuovo amico, il primo di che gli parlano giurano non aver persona al mondo che più amino che lui, e che vorrebben volontier morir per fargli servizio, e tai cose fuor di ragione; e quando da lui si partono, fanno le viste di piangere, e di non poter dir parola per dolore; cosi, per voler esser tenuti troppo amorevoli, si fanno estimar bugiardi, e sciocchi adulatori. Ma troppo lungo e faticoso saria voler discorrer tutti i vizii che possono occorrere nel modo del conversare: però per quello ch'io desidero nel

Cortegiano basti dire, oltre alle cose già dette, ch' el sia tale, che mai non gli manchin ragionamenti buoni, e commodati a quelli co' quali parla, e sappia con una certa dolcezza recrear gli animi degli auditori, e con motti piacevoli e facezie discretamente indurgli a festa e riso, di sorte che, senza venir mai a fastidio o pur a saziare, continuamente diletti.

XLII. Io penso che ormai la signora Emilia mi darà licenza di tacere; la qual cosa s' ella mi negarà, io per le parole mie medesime sarò convinto non esser quel buon Cortegiano di cui ho parlato; chè non solamente i buoni ragionamenti, i quali nè mo nè forse mai da me avete uditi, ma ancor questi miei, come voglia che si siano, in tutto mi mancano.— Allor disse, ridendo, il signor PREFETTO: Io non voglio che questa falsa opinion resti nell'animo d'alcun di noi, che voi non siate buonissimo Cortegiano; chè certo il desiderio vostro di tacere più presto procede dal voler fuggir fatica, che da mancarvi ragionamenti. Però, acciò che non paja che in compagnia cosi degna come è questa, e ragionamento tanto eccellente, si sia lasciato a drieto parte alcuna, siate contento d'insegnarci come abbiamo ad usar le facezie, delle quali avete or fatta menzione, e mostrarci l'arte che s'appartiene a tutta questa sorte di parlar piacevole, per indurre riso e festa con gentil modo, perchè in vero a me pare che importi assai, e molto si convenga al Cortegiano. Signor mio, rispose allor messer FEDERICO, le facezie e i motti sono più presto dono e grazia di natura che d'arte; ma bene in questo si trovano alcune nazioni pronte più l' una che l'altra, come i Toscani, che in vero sono acutissimi. Pare ancor che ai Spagnoli sia assai proprio il motteggiare. Trovansi ben però molti, e di queste e d'ogni altra nazione, i quali per troppo loquacità passan talor i termini, e diventano insulsi ed inetti, perchè non han rispetto alla sorte delle persone con le quai parlano, al loco ove si trovano, al tempo, alla gravità ed alla modestia che essi proprii mantenere devriano.

XLIII. Allor il signor PREFETTO rispose: Voi negate che nelle facezie sia arte alcuna; e pur, dicendo mal di que' che non servano in esse la modestia e gravità, e non hanno ri

spetto al tempo ed alle persone con le quai parlano, parmi che dimostriate che ancor questo insegnar si possa, ed abbia in sè qualche disciplina. Queste regole, Signor mio, rispose messer FEDERICO, son tanto universali, che ad ogni cosa si confanno e giovano. Ma io ho detto nelle facezie non esser arte, perchè di due sorti solamente parmi che se ne trovino; delle quai l'una s'estende nel ragionar lungo e continuato; come si vede di alcun' uomini, che con tanto buona grazia e cosi piacevolmente narrano ed esprimono una cosa che sia loro intervenuta, o veduta o udita l'abbiano, che coi gesti e con le parole la mettono inanzi agli occhi, e quasi la fan toccar con mano: e questa forse, per non ci aver altro vocabolo, si poria chiamar festività, ovvero urbanità. L'altra sorte di facezie è brevissima, e consiste solamente nei detti pronti ed acuti, come spesso tra noi se n' odono, e de' merdaci; nè senza quel poco di puntura par che abbian grazia: e questi presso agli antichi ancor si nominavano delli; adesso alcuni le chiamano arguzie. Dico adunque che nel primo modo, che è quella festiva narrazione, non è bisogno arte alcuna, perchè la natura medesima crea e forma gli uomini atti a narrare piacevolmente; e dà loro il volto, i gesti, la voce e le parole appropriate ad imitar ciò che vogliono. Nell' altro, delle arguzie, che può far l'arte? con ciò sia cosa che quel salso detto dee esser uscito ed aver dato in brocca, prima che paja che colui che lo dice v'abbia potuto pensare; altramente è freddo, e non ha del buono. Però estimo, che 'l tutto sia opera dell'ingegno e della natura. Riprese allor le parole messer PIETRO BEMBO, e disse: Il signor Prefetto non vi nega quello che voi dite, cioè che la natura e lo ingegno non abbiano le prime parti, massimamente circa la invenzione; ma certo è che nell' animo di ciascuno, sia pur l'uomo di quanto buono ingegno può essere, nascono dei concetti buoni e mali, e più e meno ; ma il giudicio poi e l'arte i lima e corregge, e fa elezione dei buoni e rifiuta i mali. Però, lasciando quello che s'appartiene allo ingegno, dechiarateci quello che consiste nell' arte: cioè, delle facezie e dei motti che inducono a ridere, quai son convenienti al Cortegiano e quai no, ed in qual tempo e

« IndietroContinua »