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Tratti avanti Alichino, e Calcabrina,
Cominciò egli a dire; e tu Cagnazzo;
E Barbariccia guidi la decina:
Libicocco vegna oltre, e Draghignazzo,
Ciriatto sannuto, e Graffiacane,
E Farfarello, e Rubicante pazzo.
Cercate intorno le bollenti pane:

Costor sien salvi insino all' altro scheggio,
Che tutto intiero va sopra le tane.
Ohimè, maestro, che è quel ch' io veggio?
Diss' io: deh senza scorta andiamci soli,
Se tu sa' ir, ch' io per me non la cheggio.
Se tu se' si accorto come suoli,

Non vedi tu ch' ei digrignan li denti,
E con le ciglia ne minaccian duoli?
Ed egli a me: non vo' che tu paventi:
Lasciagli digrignar pure a lor senno,
Ch' ei fanno ciò per li lessi dolenti.
Per l'argine sinistro volta dienno:
Ma prima avea ciascun la lingua stretta
Co' denti verso lor duca per cenno;
Ed egli avea del cul fatto trombetta.

NOTE

(1) Dal nostro ponte: questi ponti sono assai vicini l'uno all' altro; se questo Diavolo si fosse fermato sopra il ponte della quarta bolgia, i due poeti avrebbero egualmente veduto e inteso il tutto. Dice pertanto dal nostro ponte per dire che quel diavolo venne fino a loro, benchè, per la fretta di ritornar a Lucca per altri, non li vide. (2) Per questa grotta; per questo rialto: grotta in Dante vale riparo: lo stesso Virgilio è detto grotta nel C. 34.

CANTO XXII.

Ancor nella quinta bolgia: ancor de' barattieri.

Io vidi già cavalier mover campo,
E cominciare stormo, e far lor mostra,
E talvolta partir per loro scampo:
Corridor vidi per la terra vostra,
O Aretini, è vidi gir gualdane,
Ferir torneamenti, e correr giostra,
Quando con tromba, e quando con campane,
Con tamburi, e con cenni di castella,
E con cose nostrali, e con istrane:
Nè già con sì diversa cennamella
Cavalier vidi mover, nè pedoni,
Ne nave a segno di terra o di stella.
Noi andavam con li dieci dimoni:
Ahi fiera compagnia! ma nella Chiesa
Co' santi, ed in taverna co' ghiottoni.
Pure alla pegola era la mia intesa,

Per veder della bolgia ogni contegno,
E della gente, ch' entro v' era incesa.

Come i delfini quando fanno segno
Ai marinar con l'arco della schiena,
Che s' argomentin di campar lor legno;
Talor così ad alleggiar la pena

Mostrava alcun de' peccatori il dosso,
E nascondeva in men che non balena.
E come all'orlo dell' aqua d' un fosso
Stan li rannocchi pur col muso fuori,
Sicchè celano i piedi e l'altro grosso;
Si stavan d'ogni parte i peccatori:

Ma come s' appressava Barbariccia,
Così si ritraean sotto i bollori.

Io vidi, ed anche il cuor mi s' accapriccia,
Uno aspettar così, com' egli incontra
Ch' una rana rimane, ed altra spiccia.
E Graffiacan, che gli era più di contra,
Gli arroncigliò le impegolate chiome,
E trassel su, che mi parve una lontra.
(lo sapea già di tutti quanti il nome,
Si li notai quando furon eletti,
E poichè si chiamaro, attesi come. )
O Rubicante fa che tu gli metti

Gli unghioni addosso, sicchè tu lo scuoi,
Gridavan tutti insieme i maladetti.
Ed io: maestro mio fa, se tu puoi,
Che tu sappi chi è lo sciagurato
Venuto a man degli avversari suoi.
Lo duca mio gli si accostò allato,
Domandollo ond' ei fosse, e quei rispose:
Io fui del regno di Navarra nato:
Mia madre a servo d' un signor mi pose,
Chè m' avea generato d' un ribaldo,
Distruggitor di sè, e di sue cose.

Poi fui famiglia del buon re Tebaldo:
Quivi mi misi a far baratteria,

Di che rendo ragione in questo caldo.
E Cirïatto, a cui di bocca uscia

D'ogni parte una sanna come a porco,
Gli fe' sentir come l' una sdruscia.
Tra male gatte era venuto il sorco:

Ma Barbariccia il chiuse con le braccia, E disse: state in là, mentr' io lo inforco. Ed al maestro mio volta sua faccia, Dimandal, disse, ancor se più desii Saper da lui, prima ch' altri il disfaccia: Lo duca dunque: or di': degli altri rii Conosci tu alcun, che sia latino; Sotto la pece? e quegli: io mi partii, Poco è, da un che fu di là vicino: Così foss' io ancor con lui coverto, Ch'io non temerei unghia, nè uncino. E Libicocco: troppo avem sofferto,

Disse, e presegli il braccio col ronciglio, Sicchè stracciando ne portò un lacerto. Draghignazzo anche i volle dar di piglio Giù dalle gambe; onde il decurio loro Si volse intorno intorno con mal piglio. Quand' elli un poco rappaciati fôro, A lui, che ancor mirava sua ferita, Dimandò il duca mio senza dimoro: Chi fu colui, da cui mala partita

Di' che facesti per venire a proda? Ed ei rispose: fu frate Gomita, Quel di Gallura, vasel d' ogni froda, Ch' ebbe i nemici di suo donno in mano, E fe' lor si, che ciascun se ne loda:

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