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fermità o la prigionia. Questa medesima cagion credo che muova i vecchi a lodare il passato tempo e biasimar il presente. Però, come del resto, così parlano ancor delle corti, affermando, quelle di che essi hanno memoria, essere state molto più eccellenti e piene d' uomini singolari, che non son quelle che oggidì veggiamo; e subito che occor rono tai ragionamenti, cominciano ad estollere con infinite lodi i cortigiani del duca Filippo, ovvero del duca Borso; e narrano i detti di Nicolò Piccinino (1); e ricordano che in quei tempi non si sarebbe trovato, se non rarissime volte, che si fosse fatto un omicidio; e che non erano combattimenti, non insidie, non inganni, ma una certa bontà fedele ed amorevole tra tutti; una sicurtà leale; e che nelle corti allor regnavano tanti buoni costumi, tanta onestà, che i cortigiani tutti erano come religiosi; e guai a quello che avesse detto una mala parola all'altro, o fatto pur. un segno men che onesto verso una donna ; e, per lo contrario, dicono, in questi tempi esser tutto l'opposto; e che non solamente tra i cortigiani, è perduto quell' amor fraterno e quel viver costumato, ma che nelle corti non regnano altro che invidie e malevolenze, mali costumi e dissolutissima vita, in ogni sorte di vizii ; le doune lascive senza vergogna, gli uomini effeminati. Danuano ancora i vestimenti, come disonesti e troppo molli. In somma riprendono infinite cose; tra le quali molte veramente meritano riprensione, perchè non si può dir che tra noi non siano

(1) Filippo Maria Visconte duca di Milano, che morì nel 1447. Borso d'Este duca di Modena, e di Ferrara cha cessò di vivere nel 1471. Il savio e soavissimo suo governo passo in proverbio dicendosi che Non è più il tempo del du ca Borso. - Nicolo Piccinino uno de' più insigni capitani d'italia uel secolo XV.

molti mali uomini e scellerati, e che questa età nostra non sia assai più copiosa di vizii che quella che essi lodano. Parmi ben che mal discernano la causa di questa differenza, e che siano sciocchi, perchè vorrebbero che al mondo fossero tutti i beni senza male alcuno; il che è impossibile; perchè essendo il mal contrario al bene, e'l bene al male, è quasi necessario che per la opposizione e per un certo contrappeso l' un sostenga e fortifichi l'altro; e mancando o crescendo l'uno, così manchi o cresca l'altro, perche niuno contrario è senza l'altro suo contrario. Chi non sa che al mondo non sarebbe la giustizia, se non fossero le ingiurie? la magnanimità, se non fossero i pusillanimi? la continenza, se non fosse la incontinenza? la sanità, se non fosse la infermità? la verità, se non fosse la bugia? la felicità, se non fossero. le disgrazie? Però ben dice Socrate appresso Platone, maravigliarsi che Esopo non abbia fatto uno apologo nel quale finga, Dio, poichè non avea mai potuto unire il piacere e'l dispiacere insieme, avergli attaccati con la estremità, di modo che 'l principio dell'uno sia il fin dell' altro; perchè vediamo, niun piacer poterci mai esser grato se'l dispiacere non gli precede. Chi può aver caro il riposo, se prima non ha sentito l'affanno della stracchezza? chi gusta il mangiare, il bere e'l dormire, se prima non ha patito fame, sete e sonno? Credo io adunque che le passioni e le infermità sian date dalla natura agli uomini, non principalmente per farli soggetti ad esse; perchè non par conveniente che quella che è madre d'ogni bene, dovesse di suo proprio consiglio determinato darci tanti mali; ma facendo la natura la sanità, il piacere e gli altri beni, conseguentemente dietro a questi furono congiunte le infernità, i dispiaceri e gli Castiglione fasc. 104.

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altri mali. Però essendo le virtù state al mondo concesse per grazia e don della natura, subito vizii, per quella concatenata contrarietà, necessariamente le furono compagni; di modo che sempre crescendo, o mancando l'uno, forza è che così l'altro cresca o manchi. Però, quando i nostri vecchi lodano le corti passate, perchè non aveano gli uomini così viziosi, come alcuni che hanno le nostre, non conoscono che quelle ancor non gli aveano così virtuosi come alcuni che hanno le nostre; il che non è maraviglia; perchè niun male è tanto malo quanto quello che nasce dal seme corrotto del bene; e però producendo adesso la natura molto migliori ingegni che non facea allora, siccome quelli che si voltano al bene, fanuo molto meglio che non facean que' loro, così ancor quelli che si voltano al male, fanno molto peggio. Non è adunque da dire che quelli che restavano di far male, per non saperlo fare, meritassero in quel caso lode alcuna; perchè avvengachè facessero poco male, faceano però il peggio che sapeano. E che gl'ingegni di que' tempi fossero generalmente molto inferiori a que' che son ora, assai si può conoscere da tutto quello che d'essi si vede, così nelle lettere, come nelle pitture, statue, edificii ed ogni altra cosa. Biasimano ancor questi-vecchi in noi molte cose che in sè non sono nè buo ne, nè male, solamente perchè essi non le faceano; e dicono, non convenirsi ai giovani passeggiar per le città a cavallo, massimamente nelle mule portar fodere di pelle, nè robe lunghe nel verno; portar berretta, finchè almeno non sia l'uomo giunto a diciotto anni, ed altre tai cose; di che veramente s' ingannano; perchè questi costumi (oltre che sian comodi e utili) son dalla consuetudine introdotti, ed universalmente piacciono, come allor piacea l'andar in giornea con le calze aperte

• scarpette pulite, e per esser galante, portar tutto di uno sparviere in pugno senza proposito, e ballar senza toccar la man della donna, ed usar molti altri modi, i quali, come or sarebber goffissimi, allor erano prezzati assai. Però sia lecito ancor a noi seguitar la consuetudine de' nostri tempi, senza esser calunniati da questi vecchi, i quali, spesso volendosi lodare, dicono: Ora i fanciulli non sono appena nati, che sanno più malizie, che ne' tempi della mia gioventù non sapeano gli uomini fatti; nè si avveggono, che dicendo così, confermano i nostri fanciulli aver più ingegno che non aveano i loro vecchi. Cessino adunque di biasimar i tempi nostri, come pieni di vizii; perchè levando quelli, leverebbero ancora le virtù: e ricordinsi, che tra i buoni antichi, nel tempo che fiorivano al mondo quegli animi gloriosi e veramente divini in ogni virtù, e gl'ingegni più che umani, trovavansi ancor molti scelleratissimi; i quali se vivessero, tanto sarebbero tra i nostri mali eccellenti nel male, quanto que' buoni nel bene, e di ciò fanno piena fede tutte le istorie. Ma a questi vecchi penso che omai abbastanza sia risposto. Però lascieremo questo discorso, forse ormai troppo diffuso, ma non in tutto fuor di proposito; e bastandoci aver dimostrato, le corti de' nostri tempi non esser di minor lode degue, che quelle che tanto lodano i vecchi, attenderemo ai ragionamenti avuti sopra il Cortigiano, per i quali assai facilmente comprender si può in che grado tra l'altre corti fosse quella d'Urbino, e quale era quel principe e quella signora a cui servivano così nobili spiriti, e come fortunati si potean dir tutti quelli che in tal commercio vi

veano.

IN QUAL MODO IL CORTIGIANO DEBBA USARE LE SUR CONDIZIONI, ED OPERAR QUELLE COSE CHE NEL PRECEDENTE LIBRO S'È DETTO CONVENIRSEGLI.

CAPO II.

Difficoltà e necessità d'insegnarne le regole.

Venuto adunque il seguente giorno, tra i ca

valieri e le donne della corte furono molti e diversi ragionamenti sopra la disputazion della precedente sera; il che in gran parte nasceva perchè il signor prefetto avido di sapere ciò che detto s'era, quasi ad ognun ne dimandava, e, come suol sempre intervenire, variamente gli era risposto; perocchè alcuni lodavano una cosa, al cuni un' altra, ed ancor tra molti era discordia della sentenza propria del conte, che ad ognuno non erano restate nella memoria così compiutamente le cose dette. Però di questo quasi tutto 'I giorno si parlò; e come, prima incominciò a farsi notte, volle il signor prefetto che si mangiasse, e tutti i gentiluomini condusse seco a cena; e subito fornito di mangiare, n' andò alla stanza della signora Duchessa; la quale vedendo tanta compagnia, e più per tempo che consueto non era, disse: Gran peso parmi, M. Federico, che sia quello che posto è sopra le spalle vostre, e grande aspettazion quella a cui corrisponder dovete. Qui ri non aspettando che M. Federico rispondesse: E che gran peso però questo? disse l'Unico Aretino. Chi è tanto sciocco, che quando sa fare una cosa, non la faccia a tempo conveniente? Cosi di questo, parlandosi, ognuno si pose a sedere nel luogo e modo usato, con attentissima aspettazion del proposto ragionamento.

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