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35. Come l'altre, verrem per nostre spoglie; Ma non però ch'alcuna sen rivesta: Chè non è giusto aver ciò ch'uom si toglie. 36. Qui le strascineremo: e per la mesta

Selva saranno i nostri corpi appesi, Ciascuno al prun dell'ombra sua molesta. 37. Noi eravamo ancor al tronco attesi,

Credendo ch'altro ne volesse dire; Quando noi fummo d'un romor sorpresi, 38. Similemente a colui che venire

Sente 'l porco e la caccia alla sua posta,
Ch'ode le bestie, e le frasche stormire.

39. Ed ecco duo dalla sinistra costa,

Nudi e graffiati, fuggendo si forte

Che della selva rompiéno ogni rosta.

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fenestram. L'Ariosto, d'un cignale, men bene: Che col petto e col grifo e con le zanne Fa dovunque si volge ampie finestre. Più languido il Tasso: Oh che sanguigna e spaziosa porta Fa l'una e l'altra spada ovunque giunga. 35. (L) ALTRE anime. — SPOGLIE: corpi. —Si: a sè. (SL) COME. Risponde alla seconda dimanda: Dinne...

36. (L) OMBRA... MOLESTA: anime moleste al corpo di cui si privò.

(SL) MESTA. Virgilio, de' suicidi (Æn., VI): Prozima deinde tenent mæsti loca.

(F) APPESI. Non dice cosa a religione contraria, perché quella sospensione è una specie d' unione. Solo intende che questa singolar congiunzione farà più grave il tormento, giacchè, al dire di s. Agostino, citato dall'ottimo, è bisogno dell'anima continovo ricongiungersi ė al corpo. E qui l' Ottimo chiama Dante: allo dottore e tanto cattolico, non solamente di perfetta fede, ma grandissimo maestro di tutte scienze, massimamente di teologia e di filosofia.

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(SL) SINISTRA. Tengon sempre a sinistra. (Inf., XIV). — ROMPIÉNO. Æn., VII: Othrynque nivalem Linquentes cursu rapido: dat euntibus ingens Silva locum, et magno cedunt virgulta fragore.

(F) GRAFFIATI. Soffrono il supplizio d' Atteone (Ov. Met., III), il quale, secondo Pietro di Dante, era un prodigo che nella caccia consumò l' aver suo, onde fu detto che i suoi proprii cani lo lacerarono.

40. (L) TARDAR TROPPO, dalla rabbia di lacerare. Si: così. ACCORTE: pronte.

(SL) LANO. Giovane Senese. Alla battaglia della Fiere del Toppo, di qua d'Arezzo, dove i Senesi furono vinti dagli Aretini il 1288, anzichè vivere nella miseria, frutto di sua prodigalità, si cacciò tra' nemici a morire. Era della brigata godereccia di cui nel XXIX dell' Inferno. ACCORTE. Inf., XXXIV: Porse a me l'accorto passo.

(F) MORTE. Apoc., IX, 6: Brameranno morire, e fuggirà la morte da essi. All' incontro, i suicidi di Virgilio: Quam vellent æthere in alto Nunc et pauperiem, et duros perferre labores (Æn., VI).

44. Le gambe tue alle giostre del Toppo. E poichè forse gli fallia la lena, Di sè e d'un cespuglio fe' un groppo. 42. Dirietro a loro era la selva piena

45.

Di nere cagne, bramose e correnti, Come veltri ch' uscisser di catena. 43. In quel che s'appiatto miser li denti; E, quel dilacerato a brano a brano, Poi sen portâr quelle membra dolenti. 44. Presemi allor la mia scorta per mano, E menommi al cespuglio, che piangea, Per le rotture sanguinenti, invano. O Iacopo (dicea) da Sant' Andrea, Che t'è giovato di me fare schermo? Che colpa ho io della tua vita rea? 46. Quando 'l maestro fu sovr'esso fermo, Disse: Chi fusti, che per tante punt Soffli col sangue doloroso sermo? 47. E quegli a noi: O anime, che giunte Siete a veder lo strazio disonesto Ch'ha le mie frondi sì da me disgiunte, 48. Raccoglietele al piè del tristo cesto.

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I' fui della città che nel Battista
Cangió 'l primo padrone: ond' e' per questo

41. (L) FALLIA: mancava. Di sè e d'un cespuGLIO FE' UN GROPPO: s'accoccolò sotto un cespuglio, ch'è poi lacerato con esso.

(SL) GIOSTRE. Così le chiama perchè qui si tratta di correre; ed in quella battaglia, di fuggire; e Lano nol volle. Quest' ironia dipinge il prodigo spensierato pure in mezzo a' tormenti. - FALLIA. Gio. Vill.: Fallito il lignaggio di Carlo Magno. -GROPPO. Flavio: Accozzarono i lati loro l'uno con l'altro; et copertisi di sopra con iscudi molto lunghi feciono di loro un gomitolo inespugnabile.

42. (SL) BRAMOSE. Æn., VII: Rabida... canes.

(F) VELTRI. Paragona le cagne a' veltri perchè cagne non erano ma mostri infernali. Così Cerbero al cane. Greg., IX, ep. 7: Il diavolo in forma di cane nero. In queste cagne taluno vede la povertà, la vergogna, le cure che incalzano il prodigo. Ezech., V, 17: Avventerò contr' essi bestie pessime infino a consunzione. LuVI: Stigiasque cancs.

can.,

43. (SL) DENTI. Georg., II: Laniabant dentibus artus. 44. (SL) ROTTURE. Æn., III: Ruptis radicibus arbos Vellitur.

45. (SL) IACOPO. Padovano prodigo: per vedere una bella fiammata fece ardere la sua villa: gittava i danari nel fiume (Bocc.).

46. (L) SERMO : sermone.

(SL) SERMO. In prosa, come Plato e Cato. Questi è Rocco de' Mozzi, il qual forse, disse l'Anonimo, visse in Francia dove la forca ha nome gibet ; altri dice Lotto degli Agli, fiorentino, che venuto in povertà diè per danari falsa sentenza, onde per vergogna mori. 47, (L) DISONESTO: Sozzo.

(SL) ANIME. Le crede ombre ambedue, come Alberigo nel XXXIII dell' Inferno. -DISONESTO. Æn., VI: Truncas inhonesto vulnere nares.

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49. Sempre con l'arte sua la fara trista.

E se non fosse che 'n sul passo d'Arno
Rimane ancor di lui alcuna vista,

sdegnato ne la flagella; e peggio sarebbe se al Ponte Vecchio non se ne vedesse ancora la statua 'smozzicata; fatta levare dal fiume dove gran tempo giacque; e levata perchè Firenze toccò in quegli anni molte sconfitte. PADRONE. Machiavelli: S. Giovanni protettore e padrone di questa repubblica.

49. (L) L'ARTE SUA: la guerra. VISTA: imagine.

(SL) ARTE. Marte, i Latini assolutamente, per guerra. Æn., VII: Insani Martis amore.

(F) VISTA. Discorso superstizioso posto in bocca ad un dannato, e allegorico. Vuol dire che Firenze, smessi gli usi guerrieri, non avea più pace; datasi al traffico de' suoi fiorini portanti l'imagine del Battista. Di ciò si lagnano altri del tempo di Dante. E a questo passo

50. Quei cittadin, che poi la rifondarno Sovra' cener che d'Attila rimase, Avrebber fatto lavorare indarno. 51. I'fe' giubetto a me delle mie case.

da luce quello del Paradiso (IX e XVIII). V. G. Vill., I, 42, 60; II, 1; III, 1, ec.

50. (SL) RIFONDARNO. Totila danneggiò Firenze, ma non la distrusse: così la storia. Carlo Magno, secondo favolosa tradizione, la riedificò.

(F) INDARNO. Psal. CXXVI, 1: Se il Signore non avrà edificata la casa, indarno lavoreranno que' che la

murano.

51. (L) GIUBETTO: patibolo.

(SL) GIUBETTO. Post. Cael.: Giubetto, torre a Parigi ove impiccansi gli uomini. - Giubbetto ha il Nomi (II, 10).

I suicidi e Catone.

Il suicidio, così nella Somma, è colpa perchè è contro all'istinto naturale per il quale ciascuno ama l'essere proprio; perchè l'uomo non è di sè slesso ma della comunità, alla quale fa frode sottraendosi con la morte; finalmente perchè egli è di Dio in cui mano è la morte e la vita, e del quale egli usurpa in tal modo il giudizio supremo (1). Agostino aveva già detto che il generale precetto del non uccidere qui pure ha luogo, dacché l'uccidere sè stesso è fare violenza all'umana vita e natura (2).

Non può, soggiunge Tommaso, non può l'uomo uccidere se stesso per evitare un male, dacchè egli va così incontro a mal maggiore in pena dell'aver rotti i vincoli che lo stringono alla natura e alla società e lo fanno dipendere da Dio. Non lo può neanco per sottrarsi alla violenza del peccato altrui, dacchè se egli a questo non consente, non pecca. Non lo può finalmente per evitare il proprio peccato o per punirsene, dacchè l'uomo non è giudice di sè stesso, e togliendosi di vita si toglie il tempo e il luogo all'ammenda. E non è certo che egli debba peccare; poichè può Dio da qualunque siasi cimento liberarlo; ond' egli così dispera di Dio e rinnega la propria libertà. E poi: È fortezza se l'uomo non rifugge dal soffrire da altr'uomo la morte per fine di virtù e per evitare la colpa; ma darsi la morte per evitare un dolore ha sembianza di for

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tezza; non è fortezza vera, anzi fiacchezza d'animo che non vale a sostenere i dolori (1).

Or com'è (cade qui di dover domandare), come è che Dante colloca in si onorevole luogo a piè del monte del Purgatorio il suicida Catone? Virgilio, il suo maestro, il lodatore di Cesare e dell'impero, dà luogo al nemico di Cesare tra le anime pie, e lo fa giudice loro. Non è già solo che l'imitazione abbia qui chiusi gli occhi al Poeta; ma egli forse intendeva, in più alto modo che Virgilio, far prova d'imparziale giustizia lodando il nemico dell'impero da lui vagheggiato, appunto come loda e compiange uomini guelfi del tempo suo, e vitupera ghibellini. Così tra coloro che morirono per l'Italia egli annovera insieme Eurialo e Camilla, e tra Niso ed Eurialo pone Turno; il che non avrebbe fatto per servire al numero, se codesto non era un servire al proprio concetto ancor più che a quello del Poeta maestro. Di Cesare stesso egli accenna un vizio turpe (2), di Cesare che da lui è posto tra i grandi spiriti ch'e' si esaltava in vederli (3). Di siffatte contraddizioni morali, che in lui sono sforzi di equità politica, gli esempi non mancano nel poema e per questo egli colloca tra' beati Costantino, la cui dote donata al vescovo di Roma, siccome a' tempi di Dante credevasi, fu madre di

(1) Qui reca l'autorità d'Aristotile (Eth., III) e d'Agostino (De Civ. Dei, I.).—(2) Purg., XXVI. —(5) Inf., IV.

tanto male, ma non toglie la buona intenzione che fece mal frutto (1). E quanto a Catone, egli avrà certamente avuta al pensiero la sentenza paganamente rettorica di Lucano: La causa vinciIrice piacque agli Dei, a Catone la vinta. E Dante era animo da mettersi volontieri dalla parte de' vinti si per generosità, e si perchè non ignaro degl'immeritati dolori. Nè egli ignorava come tra gli uomini dell'età di Catone un de' più sguaiati lodatori della vittoria, e che per adulazione si faceva bello della propria viltà (2), forse per adulare anche così la riverenza da' Cesariani affettata per pudore e per arte verso la memoria di Catone, chiamasse la fine di questo nobile letum ; che rammenta il nobiliter mori, detto ne' Maccabei (3) del suicidio di Razia.

Razia un de' seniori da Gerosolima fu condotto a Nicanore. Razia, uomo amante della patria e d'autorevole fama, che per affetto padre de' Giudei era chiamato. Questi per molto tempo si tenne fermo nel proposito del giudaismo contento d'offrire in pegno di sua perseveranza il corpo e la vita. Or volendo Nicanore manifestare l'odio che aveva contro i Giudei mandó cinquecento soldati che lo prendessero: che si credeva pigliando lui, poter fare de' Giudei grande strage. Or volendo la schiera far forza nella sua casa, e sfondare la porta e metterci fuoco, già stando per essere preso si trafisse di spada, eleggendo morire nobilmente anzichè farsi suddito a' tristi, ed essere malmenato da ingiustizie non degne dell'origine sua. Le quali ultime parole Contra natales suos indignis injuriis agi, io intendo non delle onte da temere per la sua nobiltà, ma delle violenze ch'egli avrebbe patite come Giudeo, perchè fosse in lui offesa e la religione e la patria, e cosi scuorati i fedeli e imbaldanziti i nemici. Questa intenzione rende più scusabile l'atto narrato nel libro, atto che S. Tommaso non loda; ma che Dante doveva riconoscere somigliante a quel di Catone; e porre differenza tra Bruto che uccide Cesare amico e quasi padre, e muore rinnegando la virtù, e Catone che senza atto o parola d'odio, anziché continuare, come poteva, le stragi civili, uccide sè stesso tranquillamente dopo letto Platone, laddove ragiona dell' immortalità, racComandandosi l'anima come poteva un pagano

(f) Inf., XIX; Par., XX. — (2) Orazio (Od. II, 7): reliela non bene parmula. E distendendo ad altrui le vergogne proprie: minaces Turpe solum tetigere mento. E forse un altro accenno di adulazione vile, laddove minaccia per celia al suo libro: Aut fugies Uticam; aut vinctus mitteris Ilerdam (Ep., I, 20). Ilerda rammentava una mossa guerriera di Cesare; Utica, la morte dell'avversario di lui. E di tali accenni di indiretta lusinga e tanto più serpentina, Orazio satiro era dotto; siccome quando, parlando di pazzi, nomina Labeone il giureconsulto animoso (Sat., I, 3.) (5) Machab., II.

alla cui fede non era colpa il suicidio, anzi lode. Tommaso stesso commenda la morte volontaria di alcune sante che così intesero sottrarsi alla colpa e alla violenza tirannica, la commenda come un'ispirazione di Dio. E anche secondo la filosofia umana può dirsi che se nel punto dell' uccidere sé stesso l'uomo crede fermamente che dall' un lato non v'è altro scampo al peccare, e dall'altro che la sua morte per le altrui mani è inevitabile, e se crede che l'esempio dato da lui può confermare nel bene i fratelli, sarà errore il suo di intelletto, o, se vuolsi, una mania parziale, ma può non essere giudicato certamente per colpa dagli uomini, e Dio solo ne è giudice. Ad ispirazione Tommaso reca altresi la morte di Sansone; il qual poteva anco umanamente esser mosso da questo pensiero, che la sua schiavitù era pur tuttavia una continuata battaglia; e che siccome può l'uomo in guerra esporre sè stesso a morte certa, anzi deve, per domare l'ingiusto nemico; cosi Sansone poteva con la morte di un solo comprare lo sterminio di molti.

Codesto non era però di Catone; del quale apparisce chiaro che Dante volle al solito fare una specie di simbolo, e metterlo solo appiè del monte, come solo Saladino nel Limbo, e farlo degno di tanta riverenza quanta dee a padre figliuolo, appunto come era Razia da' Giudei detto padre. Se non che passa i confini del simbolo e d'ogni imaginazione il chiamare regni di Catone i sette cerchi delle anime purganti, e farle appunto purgare sotto la balia di lui, creandolo contr' ogni sua aspettazione e volontà bailo e re. Virgilio lo fa dantem jura (1); ma Dante gli è più liberale. Se non che nella mente del Fiorentino più comodamente che in quella del Mantovano si conciliavano le idee di Roma impero e di Roma repubblica, dappoiché l'Allighieri desiderava, come ideale felicita dell'Italia, repubbliche patrizie guerriere e dotte e religiose sul fare di quella di Roma, e poi in lontananza l'impero che le proteggesse con generosa pazientissima carità.

Notisi che il nome di Catone pronunziato altrove (2), qui, dove ne è parlato cosi a lungo, si tace; come il nome della Donna gentile che è primo movente al viaggio del Poeta e al poema: cosi in questo lavoro l'arcano del simbolo e della scienza congiungesi all'evidente dell'imagine e della passione; cosi intendeva egli, e gli riusciva, essere qui uomo di chiesa e là d'arme; qui dettare in cattedra e là tuonare in piazza. Di dire schietto e evidente esempi notabili ha questo canto, dove, anco traducendo Virgilio alla lettera, rimane Dante: ed imitandolo lo condensa, e risparmia certe ripetizioni a che il poeta latino si lascia pensa

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e di tutto il medio evo, son le parole seguenti di s. Bernardo, che spiegano come nel canto dei suicidi s'intreccino le due pitture virgiliane delle Arpie e delle frasche gementi parole e sangue : Homo absque gratia, ferens fructus, quibus porci infernales, ut Arpiæ, pascuntur. Qui abbiamo anche il germe della pittura che viene appresso, cioè de' prodighi che si lacerano tra loro e la cui rincorsa è assomigliata alla caccia del porco. E Dante aveva di certo alla mente il passo del Padre, dacchè Pietro lo cita; il quale riscontro conferma altresì quanto meriti che sia posto mente al comento di Pietro.

CANTO XIV.

Argomento.

Il terzo girone è un' ignuda campagna su cui piove fuoco: i violenti contro natura e arte, cioè gli usurai, siedono rannicchiati. I soddomiti sono i più; meno, i dispregiatori di Dio e gli usurai: i supini ricevono tulla la fiamma; i rannicchiati, meno; i correnti se ne schermiscono meglio, ma durano la falica del corso. Tra' supini e' trova Capaneo. Camminando tra la selva e l'arena, giungon là dove della selva esce un fiumicello rosso i cui margini son di pietra. Di qui prende a parlare de' fiumi infernali.

Nota le terzine 1, 3, 4, 5, 7, 8, 10, 11, 13, 14, 16, 17; 19 alla 22; 27, 36, 37, 38, 39.

Poiché

la carità del natio loco
Mi strinse, raunai le fronde sparte,
E rendéle a colui ch'era già roco.
2. Indi venimmo al fine onde si parte
Lo secondo giron dal terzo, e dove
Si vede di Giustizia orribil' arte.
3. A ben manifestar le cose nuove,
Dico che arrivammo ad una landa
Che dal suo letto ogni pianta rimuove.
4. La dolorosa selva l'è ghirlanda

Intorno, come 'I fosso tristo ad essa:
Quivi fermammo i piedi a randa a randa.
5. Lo spazzo era una rena arida e spessa,
Non d'altra foggia fatta, che colei
Che fu da' piè di Caton già soppressa.

1. (L) LA CARITÀ DEL NATIO LOCO: l'amor patrio; era Fiorentino. - SPARTE dalle cagne. RENDELE: le rendei. -Roco del parlare piangendo.

(SL) CARITÀ. Cic., de Off., I, 17: Patriæ caritas. Conv.: Carità della patria. — STRINSE. Novell., XV: L'amore di suoi cittadini che... gridavano mercè, li stringea. 2. (L) ONDE SI PARTE: là onde si divide.

3. (L) LANDA: piano ignudo.

(SL) COSE. Æn., VI: Pandere res alla terra el caligine mersas.

4. (L) LA..... SELVA l' è ghirlanda inTORNO: il fosso de' violenti gira in tondo la selva; questa, l'arena. - QUIVI FERMANMO... A RANDA A RANDA: tra la selva e l'arena, adagio adagio in quel limite. - A RANDA: rasente.

(SL) GHIRLANDA. Æn., XI: Muros varia cinxere coroma. Ov. Met., V: Silva coronat aquas. — FERMAMMO. Nel senso del III dell' Inferno (terz. 26).RANDA. Nella lingua viva (Davanz.,An., II, 51). I Veneti arente per presso, lungo; i Greci moderni pada apada, in fila, di fila. 5. (L) SPAZZO: suolo. COLEI: arena. SOPPRESSA:

pesta.

6. Oh vendetta di Dio, quanto tu dei
Esser temuta da ciascun che legge
Ciò che fu manifesto agli occhi miei!
7. D'anime nude vidi molte gregge,

Che piangean tutte assai miseramente;
E parea posta lor diversa legge.
8. Supin giaceva in terra alcuna gente,
Alcuna si sedea tutta raccolta,
E altra andava continuamente.
9. Quella che giva intorno, era più molta;
E quella men, che giaceva al tormento;
Ma più al duolo avea la lingua sciolta.

(SL) SPAZZO. Purg., XXIII. Sacch.: Mettere la borsa... sollo un mattone dell'ammattonato.... avea già veduto come quello spazzo stava, ·COLEI. Di cosa parlando, ha esempi anco in prosa. Lei più comune. - PIÈ. Luc., IX: Præcedit anheli Militis ora pedes: monstrat tolerare labores, Non jubet. - arenivagum... Catonem. SopPRESSA. Viaggio di Catone per le arene della Libia. Luc., IX: Vadimus in campos steriles... Qua nimius Titan et raræ in fontibus undæ... Ingrediar, primusque gradus in pulvere ponam... Patet omne solum, liberque meatu

Eoliam rabiem totis exercet arenis.

6. (L) VENDETTA: giustizia.

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