Immagini della pagina
PDF
ePub

di cingere le tempie di corona regale. Il princi pe, tutto credendo, o fingendo di credere, n'ab. bracciò prontamente il carico, e fu stabilito di far l'impresa del Monte Argentaro e delle altre piazze che in Toscana vi tengono gli Spagnuoli. Spinse dunque l'armata a' 10 di maggio di quest'anno da' porti della Provenza, composta di dieci galee, trentacinque navi e settanta legni minori, sotto il comando dell'ammiraglio duca di Bressé, sovra la quale furono imbarcati seimila fanti scelti e seicento cavalli. Al Vado vi montò sopra il principe Tommaso, generalissimo, con il suo seguito ed alquante truppe. Con tal armata scorse le marine d'Italia, arrivò a Talamone, che, senza contrasto, s'arrese, come pure il forte delle Saline e di Santo Stefano (dove il governadore volendo difendersi senza forza, perdè nel primo attacco la vita), accingendosi poi per assalire Orbitello, piazza forte di muro e di sito. A' vicerè di Napoli spettava la cura e la difesa di quelle piazze; perciò il duca d'Arcos, penetrata l'intenzione de' Franzesi, vi avea spedito Carlo della Gatta, celebre capitano, per comandarvi: poi avendo preparato un soccorso di settecento fanti, tremila dobble in contanti e molte provvisioni così da guerra come da bocca, fatto gli uni e l'altre imbarcare sovra cinque ben armate galee e due navi, le spinse a quella volta sotto il comando del marchese del Viso e di don Niccolò Doria, figliuolo del duca di Tursi, i quali ebbero la fortuna d'introdurre le provvisioni e la gente

in Portercole e ritornarsene con la medesima felicità. Ma volendo ritentare la sorte con la spe

dizione di quaranta filuche ed un bergantino, sopra le quali andavano molti ufficiali e quattrocento soldati, fatti accorti i Franzesi dall'antecedente successo, furono lor sopra con le galee, e sotto la fortezza di Palo ne presero ventisette; onde stringendo il principe Tommaso la piazza, non bastando alla sua difesa così lenti e scarsi soccorsi, fu astretto il duca d'Arcos d'ammassar nuove milizie e di spingervi un più valevole soc. corso affin di far levare l'assedio.

Fra questo mentre comparve l'armata raccolta in Ispagna con grandissima fama sotto il comando del general Pimiento, la qual era composta di trentuna galea e venticinque grandissimi galeoni, oltre alcuni incendiari; ma così mal fornita di gente da guerra, che i Franzesi, rinfor zati da altre dieci galee, non dubitarono, benchè inferiori di numero e di qualità di vascelli, di venire a battaglia. Sfuggivano perciò gli Spagnuoli l'abbordo, contentandosi di battersi col cannone col quale maltrattarono due galee nemiche e conquassarono il restante. Ma il colpo fortunato che loro diede la vittoria, fu quello di cannonata che levò la testa al duca di Bressé, grand'ammiraglio di Francia; perchè quell'armata, restando senza capo e non avendo pronto ricovero, s'allargò subito, ed alzate le vele, si ricondusse in Provenza.

Potè allora il duca d'Arcos, risoluto di far levare l'assedio, far imbarcare le fanterie sotto il comando del marchese di Torrecuso, capitano di gran nome in que' tempi, e mandar la gente a cavallo per terra sotto la scorta del maestro di

campo Luigi Poderico, il quale prendendo il passo, senza richiederlo, per lo Stato ecclesiastico,

per Castro e per la Toscana (dolendosene in apparenza que' principi, ma godendone ognuno, ingelositi del troppo potere che acquistavano in Italia i Franzesi, e tacitamente additando agli Spagnuoli la strada) si condusse ad unirsi col Torrecuso; il quale, appena sbarcato ed incendiati a Talamone quasi tutti i legni da carico che vi avevano lasciato i Franzesi, incamminandosi verso la piazza, astrinse il principe Tommaso a levarsi. Costui, avendo perduta molta gente nelle fazioni, e l' altra resa quasi inutile per l'infermità nell'aria corrotta delle maremme, ritrovandosi con deboli forze, si ritirò a Talamone; e ritornata l'armata navale che il Mazzarini con ordini pressanti vi avea rispedita, s'imbarcò, ed andato in Piemonte co' suoi, rimandò il rimanente dell'esercito a riposarsi in Provenza. Carlo della Gatta, uscito nell'abbandonate triaciere, guadagnò ricche spoglie e venti cannoni; e l'armata del Pimiento, contenta del conseguíto vantaggio, ritornò subito verso i porti di Spagna, contro il parere degli altri ministri della corona, che stimavano dovesse fermarsi.

Del successo d'Orbitello godè altretanto l'Italia, quanto che, penetrati i disegni vastissimi del cardinal Mazzarini, avea mirata l'impresa con gelosia; ma sopra tutti ne giubilò il pontefice, che secondava, ancorchè cautamente, gl'interessi della Spagna. All'incontro se ne crucciava il Maz. zarini, irritato da' rimproveri, che, abbandonati gl'interessi di Catalogna ed indebolite le armi in

Fiandra, avesse atteso solamente a pascere le sue private vendette in Italia. Ma egli, avendo inteso che l'armata nemica se ne ritornava in Ispagna, chiamato in Fontaneblò d'improvviso il Consiglio della reggenza, vi fece deliberare l'impresa di Piombino e di Portolongone, credendo con doppio colpo ferir vivamente non meno il pontefice che gli Spagnuoli; poichè la piazza di Piombino, tenuta da guarnigione di Spagna, apparteneva nondimeno col suo picciolo principato al Lodovisio, nipote del papa.

Si vide allora quanto valesse la forza, quando in particolare veniva spinta dalla passione; poiché in momenti rimessa l'armata e raccolte le truppe, riuscita al cardinale sospetta la condotta del principe Tommaso, ne' consegnò il comando a' marescialli della Meilleraye e di Plessis Pralin, i quali, con ugual premura apprestandosi, sciolsero speditamente da' porti. Appena in Italia se n' era divulgato il disegno, che l'armata comparve, subito sforzato Piombino, dov'erano a guardia soli ottanta soldati, sbarcò sopra l'Elba, ed investendo Portolongone, non mal difeso, ma scarsamente munito, l'obbligò ad arrendersi ai 29 d'ottobre di quest'anno 1646. Con tal acquisto si rallegrò il cardinale che avesse con larga usura cambiato Orbitello per Portolongone: il quale, come fortissima cittadella del Mediterraneo, separando la comunicazione della Spagna co' regni d'Italia, dava porto all'armata francese e ricovero a' legni che infestassero la navigazione ai nemici. Il papa, ora atterrito, vedendo muoversi di nuovo le armi, chiamato a sè il cardinal Grimal

di, parzialissimo della Francia, gli accordò il perdono per i Barberini e la restituzione delle cariche e de' beni, rivocando le bolle e le pene, a condizione che si restituissero nello Stato d'Avignone e di là rendessero con lettere il dovuto ossequio al pontefice. Ma la speranza da lui concepita di preservare con ciò lo Stato al nipote fu dal Mazzarini delusa, il quale, conoscendo col papa poter più il timore, lasciò correr l'impresa, scusandosi che, partiti i marescialli, non avea potuto a tempo rivocare le commessioni.

La perdita di Portolongone attristò grandemente il duca d'Arcos, vedendo i Franzesi annidati in un luogo donde con facilità potevano assalire il regno; onde gli convenne applicarsi a fortificare le piazze di maggior gelosia, ed a far grosse provvisioni per accingersi a riacquistare il perduto. A questo fine fece nuove fortificazioni intorno Gaeta, imponendo, per far ciò, una tassa a' benestanti, e diede fuori patenti per arrolare dodicimila persone. Dovevano fra queste trovarsi cinquemila Tedeschi, che con grossi stipendi si fecero venire d'Alemagna. Chiamò in Napoli le milizie del Battaglione del regno; ma que ste si dichiararono ch'essendo esse destinate per guardia del proprio paese, non intendevano uscirne. Ma mentre il vicerè sopra galee e vascelli era tutto inteso per far imbarcare le milizie per l'espedizione di Portolongone è di Piombino, i capitani franzesi che comandavano queste piazze, meditavano altre spedizioni per invadere i porti del regno, e spezialmente il porto di Napoli, ed incendiar le navi che vi si trovavano. Con tal di

« IndietroContinua »