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tirannide (1). Così un po' di sicurezza fu comprata a prezzo di quella libertà, per la quale s'era combattuto a Campaldino, alla Nievole, ad Altopascio, e s'erano patite tante discordie interne, e tanto sterminio di beni e di persone.

IV.

Più dura sorte era serbata a Padova. Piantata in luogo fertilissimo, e, attesa la vicinanza del mare, delle Alpi e dei grossi fiumi, soprammodo acconcio al commercio; piena di traffichi, di ricchezze, d'uomini, d'arme e di cavalli; signora di Bassano e di Vicenza, era questa città dopo la disfatta degli Ezelini rimasta come la maggior repubblica di Lombardia; dappoichè Milano, Parma, Pavia, Verona, Mantova, Modena e Ferrara a proprii principi, sebbene non affatto nè del continuo, obbedivano. Padova somministrava i rettori alle altre città, a Padova traevano da ogni parte i fuorusciti; e tiranni e tiranneggiati, come la fortuna li sbalestrava fuora delle patrie, colà, come in un luogo di comune salute, si posavano. Così erasi la repubblica mantenuta dal 1259 al 1511: allorchè i cittadini gonfiati dalla lunga prosperità, avendo avuto animo di negare la obbedienza all'imperatore Enrico VII, diedero occasione a Cangrande della Scala, signor di Verona, di valersi dello sdegno e delle forze di esso per assaltare e rapire loro proditoriamente Vi

cenza.

Affrettaronsi i Padovani nel primo sbigottimento cagionato da cotesta perdita, affrettaronsi, dico, ad

(1) G. Vill. IX. 328. 346.

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implorare perdono dall'imperatore; ma non appena lo sanno partito dalla Lombardia, che levano il comando al vicario imperiale, si riducono in libertà, e rompono guerra a Cangrande per la speranza di ritogliergli Vicenza. Prestavano mano allo Scaligero febbraio sia le squadre tedesche lasciate da Enrico vi in VII Lombardia, sia le grosse masnade di venturieri da Cangrande medesimo intrattenute, benchè a strazio ed a vergogna de'sudditi, in Vicenza e Verona (1). Favorivano Padova i Trivigiani, Francesco d'Este, e il Signore da Camino di lei raccomandato: ed oltre le milizie della città e del contado, conservatesi intatte per si lunga pace, molti venturieri d'ordine suo vennero condotti a larghi partiti dall'Italia, dalla Catalogna, dalla Francia, e fin dall'Inghilterra, sotto la guida d'un Beltramo di Guglielmo e d'un Guglielmo Ermanno.

Intimata adunque la guerra, la città raccolse tutte le sue forze per tirare un gran colpo: e siccome aveva imposto che ogni casa somministrasse un uomo all'esercito, ossia, come allora si diceva, aveva comandato un uomo per casa, così tra gli stipendiarii, i proprii sudditi, e gli alleati, mise in campo diciottomila armati, e 3500 carri carichi con due bifolchi per ciascuno (2). Giunse tutta questa gente alle rive del

(1) << Hic mercenarios secum clientes, variis ortos regioni<«<bus differentisque idiomatis, stipendio magno conduxit, ex «quibus subito mores, honeste vivendi modus et cultus in «patria nostra pariter cum fortuna mutati sunt. Tunc stupra « etc. » Ferret. Vicent. VI. 1123.

(2) Albert. Muss. Hist. Aug. L. VI. R. 13. - Ferr. Vicent.

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Bacchiglione ; ma anzichè passarlo, giusta la proposta di Guecelo da Camino, gli altri capitani, per non dargli quel vanto, risolsero di far alto e di ritirare il campo tre miglia ancora più indietro. Quivi si trincierarono : ma non tardò a sopraggiungere l'estate, e in breve la noia e gli stenti dissiparono l'esercito senz'altro frutto che di qualche scorreria. Sorti allora a guastare il territorio de' Padovani il feroce Scaligero, che per avere più divote e numerose le soldatesche, aveva loro abbandonato in preda le persone e le robe de' proprii sudditi. Ciò udito, i Padovani rifanno l'oste, gettano un ponte sul Bacchiglione, e assaltando inopinatamente le pingui terre che con dolce pendio s'innalzano a' colli Berici, quanto possono portar via tutto rapiscono agli stupefatti agricoltori; il resto, case, piante, viti, capanne con bestial furore ardono, schiantano, e in una rovina confondono. Cosi trascorsero sino a Marostica; ma quantunque avessero in campo gli aiuti di Firenze e di Bologna, non per questo accettarono battaglia da Cangrande, che sulle sponde della Brenta corse a vendicare lo strazio di quelle del Bacchiglione. Alfine l'inverno impose tregua alla ribalda guerra, e tolse il velo alle intenzioni del signore da Camino; il quale, dopo avere ottenuto da' Padovani case e poderi quanti seppe domandare in premio de' servigi resi in quella spedizione, chiese loro altresì il capitanato o per meglio dire la signoria della città. Dinegatagli la domanda, si rivolse immediatamente alla parte di Cangrande e ne sposó una nipote. Tali già erano le pretensioni e le arti de' capitani stipendiati (1).

(1) Alb. Mussat. Hist. Aug. X. R. 1.

L'anno seguente nuove depredazioni e nuovi guasti A.1313 ridussero a sterpeti ed a deserti luoghi per natura felicissimi nuove genti calate dal Friuli, dal Tirolo e dalla Carinzia crebbero l'animo dello Scaligero a spingere fin sotto Padova la rovina e il terrore. Alla A. 1314 lor volta una ben maggiore impresa disegnarono contro di esso i Padovani. Confidati nelle calde pratiche mantenute per mezzo de' fuorusciti dentro Vicenza, mossero tutto l'esercito sopra questa città. Era esso governato dal Podestà e da un Vanni Scornazano da Pisa capitano degli stipendiarii. Tennero dietro alle soldatesche millecinquecento carri, sopra dei quali avevano collocato armi, letti, suppellettili e quanto servisse a proseguire ne' campi il dolce vivere cittadinesco. Tanto eransi addolciti quegli animi, tanto erasi rimessa quella milizia già così fiera!

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Senonchè a debole principio infausto fine. I cittadini non conoscevano la disciplina per uso, i mercenarii non la volevano conoscere perchè loro non conveniva. Avutosi per tradimento il sobborgo di Vicenza, invano si promulgò l'ordine di lasciare in- 17 7bre tatte le robe e le persone. I venturieri, Vanhi medesimo, quantunque capitano e uomo provetto, cominciarono a menar attorno le mani rapaci e sporche; e in breve donne e sostanze, sacro e profano, ogni cosa fu alla mercè de' protervi. Intanto l'occasione d'impadronirsi della città fuggiva per sempre. Infatti non appena Cangrande riceveva nuova del fatto, che balzava a cavallo con tre famigli, e volava da Verona a Vicenza. Quivi trovando che i nemici, respinti dalle fiamme e dalle balestre fuori del sobborgo, stanno

allegramente sparsi per la campagna a mangiare e dormire, sorte con cinquanta seguaci dalla città, gettasi sopra di essi, e ne riporta piena vittoria. Dei Padovani chi qua, chi là, cercò nel fuggire e nell'occultarsi lo scampo: altri scoperti nelle biade da cani addestrati, altri sospinti dalla fame a palesarsi, rimasero prigioni : parecchi furono pigliati dalle donne. Padova, spogliata ad un colpo di cittadini e di soldati, tal restò che già lo Scaligero con tutti i Veronesi abili per età alla milizia, e colle squadre dei principi suoi amici, si accingeva ad impadronirsene. Ma, fosse pietà di cittadino, fosse occulto fine di tiranno, che a ciò lo animasse, s'interpose presso il vincitore Marsiglio da Carrara, cittadino per ricchezze e aderenze il più potente dentro Padova, e le impetrò pace al patto di cedere per sempre a Cangrande il possesso di Vicenza, cagione precipua della guerra (1).

Ma troppo era accorto e avido il signor di Verona, troppo ciechi e discordi i Padovani, perchè la pace durasse a lungo. Col mezzo di Iacopo e di Marsiglio da Carrara, che il maggio avanti avevano scacciato dalla città i Ronchi e gli Alticlini della fazione contraria, tale autorità esercitava Cane in Padova, che, se non regolava le cose del Comune, almeno o stava in suo arbitrio di impedirle a tempo, o d'ogni partito che vi si pigliava, aveva notizia certa e partecipazione. Forse ei medesimo faceva eccitare il popolo alla guerra; forse i Carraresi stessi o per sua instigazione o per

(1) Ferret. Vicent. VI. 1141-1149. (R. I. S. t. IX). - Alb. Mussat. De Gest. Ital. L. VI. R. 1. (R. I. S. t. X).

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