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una col figlio suo. Questi, ventenne, a quei dì militava sotto gli occhi del padre. I quali argomenti misero più in ardenza l'animo di Mario e pel forte desiderio della dignità a cui aspirava, e per dispetto contro Metello. Così era trasportato dall'ambizione e dall'ira, pessimi consiglieri; nè si teneva da parole e da fatti che gli accattassero favore: alle milizie, cui era a capo nelle stanze d'inverno, allentò il freno della disciplina; coi mercatanti, dei quali era un gran numero in Utica, usciva in parlari felloneschi e tronfii intorno alla guerra; se gli lasciassero, diceva, il comando della metà dell'esercito, in pochi dì si avrebbe in mano incatenato Giugurta; ad arte il capitano trarre per le lunghe la guerra, perchè, uomo vanitoso e di principesca superbia, sentiva troppo il dolce del comando. Delle quali cose tanto più forte si persuadevano, perchè la lunghezza della guerra aveva rovinati i loro negozi, e ad animo impaziente ogni ora è un secolo.

65. Era ancora nel nostro esercito certo Numida, a nome Gauda, figliuolo di Manastabale, nipote di Massinissa, che Micipsa avea chiamato secondo erede, stremato dalle malattie, e per questo un cotal poco scemo di cervello. A costui, che gli aveva chiesto aver seggio di re al suo lato, e poi un drappello di cavalieri romani a sua guardia, Metello aveva negata l'una e l'altra cosa; l'onore del seggio, perchè sarebbe stato alla maniera di quelli che il romano popolo chiamava re; neppur la guardia, chè sarebbe stata cosa indecorosa ai cavalieri romani, se fossero mandati a farla da satelliti di un Numida. Mario si fa a questo malcontento, e lo consiglia a torre vendetta per suo mezzo dell'onta toccata dal capitano; e con melate parole drizza quell'uomo, che ha la mente slombata dalle sofferenze, dicendogli: lui essere un re, una cima d'uomo, un nipote di Massinissa; preso o morto che fosse Giugurta, in un istante si avrebbe in pugno la signoria della Numidia; la qual cosa più presto potrebbe riuscire, se egli da console

pacis spes inpellit, uti Romam ad suos necessarios aspere in Metellum de bello scribant, Marium imperatorem poscant. sic illi a multis mortalibus honestissuma subfragatione consulatus petebatur; simul ea tempestate plebs, nobilitate fusa per legem Mamiliam, novos extollebat. ita Mario cuncta procedere.

66. Interim Iugurtha postquam omissa deditione bellum incipit, cum magna cura parare omnia, festinare, cogere exercitum, civitatis, quae ab se defecerant, formidine aut ostentando praemia adfectare, conmunire suos locos, arma, tela, aliaque, quae spe pacis amiserat, reficere aut conmercari, servitia Romanorum adlicere et eos ipsos, qui in praesidiis erant, pecunia temptare; prorsus nihil intactum neque quietum pati, cuncta agitare. igitur Vaccenses, quo Metellus initio, Iugurtha pacificante, praesidium inposuerat, fatigati regis suppliciis neque antea voluntate alienati, principes civitatis inter se coniurant; nam volgus, uti plerumque solet, et maxume Numidarum, ingenio mobili, seditiosum atque discordiosum erat, cupidum novarum rerum, quieti et otio advorsum. dein, conpositis inter se rebus, in diem tertium constituunt, quod is festus celebratusque per omnem Africam ludum et lasciviam magis quam formidinem ostentabat. sed ubi tempus fuit, centuriones tribunosque militaris et ipsum praefectum oppidi, T. Turpilium Silanum, alius alium domos suas invitant; eos omnis praeter Turpilium inter epulas obtruncant; postea milites palantis, inermos, quippe in tali die ac sine imperio, adgrediuntur. idem plebes facit, pars edocti ab nobilitate, alii studio talium rerum incitati, quis acta consiliumque ignorantibus tumultus ipse et res novae satis placebant.

fosse deputato a governare la guerra. Laonde Gauda, i cavalieri romani, i soldati, i mercatanti sono indotti da lui stesso, i più dalla speranza della pace, a scrivere ai loro amici in Roma male cose contro Metello, ed a chiedere Mario a capitano. Similmente da molti con onorevolissime raccomandazioni era chiesto per lui il consolato. A quei dì la plebe, umiliato il patriziato per la legge Mamilia, spingeva su la gente nuova. Così tutto riusciva bene a Mario.

66. Intanto Giugurta, poichè, smesso il pensiero della resa, riprende la guerra, con grande studio mette tutto in pronto, fa pressa, assembra l'esercito; le terre che gli si erano ribellate, rattira alla sua parte col terrore o con le promesse di premii; afforza i suoi luoghi; le spade, i dardi ed ogni altro arnese che aveva perduto nella speranza della pace, rifà o compera; gli schiavi dei Romani adesca, e gli stessi soldati nelle guarnigioni alletta col danaro; nulla lascia intentato, nulla in pace, con le mani a tutto. Adunque i Vaccesi, ai quali Metello dapprima, stando Giugurta in sul trattar di pace, aveva imposta guarnigione, espugnati dai prieghi del re, nè per lo innanzi partiti da lui di proprio talento, pei loro maggiorenti ordiscono una congiura; imperocchè la plebe, come suole essere l'andazzo, e specialmente la Numida di natura volubile, era sediziosa e turbolenta, cupida di novità, intollerante di quiete e di pace. Disposto tra loro il da fare, fermano il terzo dì all'opera, il quale, come festivo e solenne per tutta l'Africa, era più di sollazzi e bagordi, che di apprensione. Come fu il dì, vanno invitando a casa propria separatamente i centurioni, i tribuni dei soldati e lo stesso prefetto della terra, T. Turpilio Silano; salvo Turpilio, scannano tutti quanti in sul desco; poscia corrono addosso ai soldati, sbandati, senza armi, e, come voleva quel giorno, in licenza. La plebe fa lo stesso; alcuni istigati dai maggiorenti, altri trasportati dalla vaghezza delle no

67. Romani milites, inproviso metu incerti ignarique, quid potissumum facerent, trepidare; arcem oppidi, ubi signa et scuta erant, praesidium hostium; portae ante clausae fugam prohibebant; ad hoc mulieres puerique pro tectis aedificiorum saxa et alia, quae locus praebebat, certatim mittere. ita neque caveri anceps malum, neque a fortissumis infirmissumo generi resisti posse; iuxta boni malique, strenui et inbelles inulti obtruncari. in ea tanta asperitate, saevissumis Numidis et oppido undique clauso, Turpilius praefectus unus ex omnibus Italicis intactus profugit; id misericordiane hospitis, an pactione aut casu ita evenerit, parum conperimus; nisi, quia illi in tanto malo turpis vita integra fama potior fuit, inprobus intestabilisque videtur.

68. Metellus, postquam de rebus Vaccae actis conperit, paulisper maestus e conspectu abit; deinde, ubi ira et aegritudo permixta sunt, cum maxuma cura ultum ire iniurias festinat. legionem, cum qua hiemabat, et quam plurumos potest Numidas equites pariter cum occasu solis expeditos educit, et postera die circiter horam tertiam pervenit in quamdam planitiem, locis paulo superioribus circumventam. ibi milites fessos itineris magnitudine et iam abnuentis omnia docet oppidum Vaccam non amplius mille passuum abesse, decere illos reliquum laborem aequo animo pati, dum pro civibus suis, viris fortissumis atque miserrumis, poenas caperent; praeterea praedam benigne ostentat. sic animis eorum adrectis, equites in primo late, pedites quam artissume ire et signa occultare iubet.

vità, ai quali, non essendo a parte del macchinato e dell'intento, il far chiasso e novità era una gioia.

67. I soldati romani, pel repentino spavento incerti ed inconsapevoli del meglio a farsi, erano in preda della paura: la rocca della terra, in cui erano gli scudi e le insegne, tenevasi da guarnigione nemica; e le porte della città, innanzi abbarrate, non lasciavano fuggire. Aggiungi: donne e fanciulli, a chi più poteva, dai tetti e dalle case lanciavano sassi e quanto loro veniva a mano; così nè si potevano cavare dal mal passo, nè da fortissimi uomini si potea far testa alla più imbelle gente del mondo; buoni e tristi, valorosi e vigliacchi, invendicati cadevano di una morte sola. In quella sì grave rovina, imbestiati i Numidi e la terra tutta intorno asserragliata, il prefetto Turpilio solo di tutti gl'Italici la scampò illeso. Non sappiamo bene se ciò avvenisse per compassione di chi l'ospitava, o per accordo o per caso: questo sappiamo, che egli ci appare uomo disonesto ed infame, come colui al quale in tanta sciagura fu più cara una svergognata vita, che l'intemerata fama.

68. Metello, avuto lingua dei fatti di Vacca, attristato si ritrae alquanto in disparte; dipoi, come l'ira e il dolore gli ebbero dentro sollevata la tempesta, con tutto l'animo corre alla vendetta dell'offesa. Tira fuori, al cadere del sole, la legione, con la quale svernava, e quanti più può cavalleggieri Numidi senza bagagli; e il dì appresso sulla terza ora esce in certa pianura chiusa da poggetti; quivi i soldati, affranti dalla lunghezza del cammino, che ormai non ne volevano più sapere, fa avvisati: la terra di Vacca essere non oltre ad un miglio; dover essi di buon animo sostenere la rimanente fatica, pur di vendicare i loro concittadini, valorosissimi e sventuratissimi uomini. Inoltre, con bei modi fa loro vedere la preda. Così, rilevati i loro spiriti, comanda che la cavalleria proceda sciolta, appresso i fanti serrati al possibile, e che si nascondano le bandiere.

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