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tioco (12) contro Trifone, cui prima d'uscir sopra i Medi teneva in Dora assediato. Ma benchè gli prestasse ľ opera sua in levar del mondo Trifone, pur non mise alcun freno all'animo ingordo del re, il quale indi a poco mandò il suo general Cendebeo con grand' oste e con ordine, che mettesse a fuoco e fiamma la Giudea tutta, e facesse schiavo Simone. Ma questi, benchè già vecchio, pure si portò in quella guerra più che da giovine. Egli infatti spedisce innanzi i figliuoli insieme coi più gagliardi, ed esso con una parte della sua gente lo assale dall' altra banda. Messi inoltre per le montagne qua e là molti aguati della sua gente occupò tutti i passi; e dopo l'illustre vittoria, che n'ebbe, fu creato pontefice; e tolse alla dominazione de' Macedoni dopo censettantanni i Giudei.

III. Ma egli pure finì i suoi giorni tradito a tavola da Tolommeo suo genero, il quale, chiusane la consorte e due figli in prigione, mandò, chi uccidesse Giovanni, ch' era il terzo, e soprannomavasi ancora Ircano. Ma il garzone accortosi della loro venuta ricoveròssi in Gerusalemme fidandosi molto nel popolo mercè le felici imprese del padre, che ricordavano, e la ribaldaggine di Tolommeo, che abborrivano. Tentò ancor Tolommeo d'entrare per l'altra porta; ma respinto ne fu dalla plebe, che avea tostamente ricolto Ircano; ond' esso si ritirò di presente in una fortezza di là da Gerico, nominata Dagone. Rivestito adunque Ircano del pontificato paterno, dopo aver fatto a Dio sagrifizio, uscì frettoloso contro di Tolommeo per sal- vare la madre e i fratelli.

FLAVIO, t. VI. Della G. G.

t. I.

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IV. Appressatosi alla fortezza, tuttochè fosse in ogni altra cosa superiore al nimico, pur si lasciò vincere a una compassion troppo giusta. Perciocchè Tolommeo, quando vedevasi in qualche stretta, menava sopra le mura la madre e i figliuoli d'Ircano, e straziandoli pubblicamente minacciava di precipitarneli, se tantosto non si partiva. A tal vista lo sdegno d' Ircano davasi vinto alla compassione e al timore. La madre però niente abbattuta nè dagli strazi nè dalle minacce d'una morte vicina, stendeva le mani verso il figliuolo, e pregavalo, che per pietà dell' indegno suo stato non lasciasse impunita cotanta ribalderia; che più cara sarebbele dell'immortalità stessa la morte datale da Tolommeo, quando costui pagasse la pena del suo scelerato procedere contro la loro famiglia. Ora Giovanni, quando poneva mente all'ardir della madre, e ne udiva le suppliche, si sentiva animato all'assalto; ma, quando la rimirava battuta e straziata, smarriva il coraggio, e nient' altro sentiva, che la pietà. Andato perciò in lungo l'assedio venne alla fine quell'anno festivo, ch'ogni sette anni solennizzasi da' Giudei egualmente, che il settimo giorno. Liberato così Tolommeo dall' assedio uccide i fratelli colla madre ancor di Giovanni, e ricovera presso Zenone chiamato Cotila, ch' era tiranno di Filadelfia.

V. Antioco intanto sdegnato per ciò, ch' ebbe a sostenere da Simone, entrò colle truppe in Giudea, e postosi a campo presso Gerusalemme vi strigne Ircano d'assedio; ma egli aperto il sepolcro di Davidde, re d'infra gli altri ricchissimo, e cavatine più di tre mila talenti in moneta, con trecento di questi, che diede

ad Antioco, lo persuase a levare l'assedio; e fu egli il primo de' Giudei, che del suo mantenesse soldatesca straniera.

VI. Egli però, quando Antioco colla sua spedizione contro a Medi gli diede agio di vendicarsi, egli tosto gettóssi sopra le città della Siria, pensando, com'era in fatti, di ritrovarle sprovviste della milizia più valorosa. Prese egli adunque Medaba e Semega colle vicine, e Sichem e Garizim; oltre a queste soggiogò la nazion de' Cutei, che abitavano d' intorno a un tempio simile a quello di Gerusalemme. Sottomise ancora molt' altre città non picciole dell' Idumea, e con esse Adora e

Marissa.

VII. Innoltratosi fino a Samaria colà, dove ora è Sebaste città fabbricata da Erode il grande, condussevi una trincea tutto intorno, e deputò i figliuoli Aristobolo e Antigono a soprantendere a quell' assedio. Ora i giovani non si dando mai posa condussero gli assediati a tal carestia, che mangiavano i cibi ancora più inusitati; ond' essi chiamarono in loro ajuto Antioco detto Ciziceno, il quale, esauditili prontamente, fu dalla gente d'Aristobolo rotto, e da' due fratelli inseguito nella sua fuga fino a Scitopoli; i giovani poi ritornati, a Samaria rispinsero i cittadini a chiudersi entro le mura di nuovo, indi presa la città atterraronla affatto, e fecion prigioni gli abitatori. Qr mentre a così lieto fine riuscivano i loro disegni, non perciò allentarono il loro ardore, ma spintisi oltre con tutta lor gente fino a Scitopoli corsero questa città, e diedono il guasto a tutto il paese intra il monte Carmelo.

VIII. Dopo i prosperi avvenimenti così di Giovanni, come de' figli l'invidia levò in suo danno a sedizione i paesani; e molti usciti contro di lui non si tolsero giù dall'impresa finchè precipitatisi in una guerra aperta' non fur disfatti. Menò poi Giovanni il restante della sua vita felicemente; e amministrato pel corso di trentun (13) anni interi il governo con gran prudenza, pon fine ai suoi giorni, lasciati cinque figliuoli dopo di sè. Uomo veracemente beato, e che non permise si desse per colpa sua niuna accusa alla fortuna. In somma egli solo unì in sè medesimo tre gran pregi, il capitanato della nazione, il pontificato, e lo spirito di profezia. Perciocche Iddio conversava seco lui di maniera, che non ci aveva cosa avvenire, che non sapesse. Certo egli dei due maggiori suoi figli antivide e predisse, che non durerebbono lunga pezza signori del principato; dei quali degno è ben, che si narri l'esito doloroso in quanto ei dicaddero dalla paterna felicità.

CAPITOLO III.

Aristobolo cigne il primo corona, e uccisi madre e fratello muore dopo un solo anno di regno.

I. Dopo la morte del padre, Aristobolo primogenito, volto in regno il suo principato, cigne il primo corona dopo quattrocento ottantun anni e tre mesi, dacchè ritornato fu il popolo nella patria sciolto dal giogo babilonese. Tra' suoi fratelli il secondo genito Antigono, cui pareva che amasse, fu da lui pareggiato in onore a sẻ

stesso mentre teneva gli altri prigioni, e con essi ancora la madre venuta seco a contesa intorno all' autorità del comando; poichè Giovanni aveva lasciato a lei ogni cosa e a tanto giunse di crudeltà, che lasciòlla morir di fame in prigione.

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II. Ma portò ben egli la pena di tal misfatto nella persona d'Antigono suo fratello, cui egli avea caro, e fece consorte del regno; mercecchè uccise anche lui per delitti, che apposergli maliziosamente cortigiani ribaldi. Veramente Aristobolo da principio non diè credenza a' lor detti, tra perchè amava il fratello, e perchè ascriveva la maggior parte di ciò, che s' andava dicendo, ad invidia. Ma essendo Antigono dalla guerra venuto con nobil treno alla festa, in cui per antica usanza s'innalzano a onor di Dio padiglioni, avvenne che di que' giorni Aristobolo si trovava infermo, e Antigono sul terminar della festa rendessi nel Tempio con militare accompagnamento, abbigliato quanto potè il meglio, per ivi fare più lunga orazione per suo fratello. Presentatisi in questo i rei cortigiani dinanzi al re gli narrarono la militar pompa e l'alterigia d'Antigono maggiore di quello, che stesse bene in privato; ed aggiunsero che veniva con grossa armata per torlo del mondo; giacchè non bastavagli il solo onore, che dall' altrui regno venivagli, quando era in sua mano d'impadro

nirsene.

III. A queste cose, quasi direi mal suo grado, dié fede Aristobolo, e provvedendo ad un'ora medesima, che e i sospetti suoi non venissero in luce e la sua persona fosse contro ogui caso sicura, collocò le sue

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