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in libertà, rivolto a' padri soggiunse, che, posto ciò, starebbe ad arbitrio loro, in dicendo le sentenze, o in altra maniera il rispondere. Nell'uscir (1) poi di congregazione disse al Ferier, che egli aveva imitati gli antichi tribuni della plebe, i quali intercedevano contra le leggi de' consoli. A che l'altro: che egli non domandava se non cose buone. E'l cardinale: che nè altresì il concilio volea se non cose buone.

È incredibile con quanta abbominazione fosse udito quel ragionamento dall'assemblea. Gli oratori cesarei scrissero all'imperadore (2), che generò in tutti grave amaritudine, e che ad alcuni eziandio de' Franzesi fortemente dispiacque. E si accrebbe il sospetto che prima s'aveva contra il Ferier in sincerità di religione. Non vollero dunque indugiare il rifiutamento di quella stimata da loro inreligiosa invettiva, e non reale ambasciata. Toc

(1) Lettera de' Legati menzionata di sopra.

(2) Tutto sta in una de' cesarei all' imperadore de' 28 di settembre 1563, e negli Atti del vescovo di Salamanca, oltre a quelli del Paleotto, e in lettere dell'arcivescovo di Zara de' 23 e de'27 di settembre 1563.

cava il dover parlare nel dì appresso, secondo l'ordine, a Carlo Grassi bolognese, vescovo di Montefiascone, che era ito incontro al cardinal di Loreno per nome del papa, uomo valoroso, il quale poi, oltre al chericato della camera, governò varie provincie, e la stessa città di Roma nel seguente pontificato, e indi posto nel concistoro fu quivi adoperato ne'più alti affari del cristianesimo. Egli per tanto non soffrì che pur un giorno rimanesse quella comune ingiuria impunita. E benchè (1) altri poi ancora v'adoperasser la lingua, il Grassi fu il primo come nel tempo, così ancora nell'applauso. Non ebbe (2) però egli l'avversario presente alla sua confutazione: perciò che i Francesi, antivedendo che sarebbono stati il bersaglio de'futuri dicitori, avvisatamente si assentarono dalle congreghe. Il Grassi, avanti d'entrare in sua materia, fe (3) quest'esordio.

(1) Altra lettera de' Legati al cardinal Borromeo de' 25 di settembre 1563.

(2) Sta nella prodotta lettera degl' imperiali, e nelle lettere de' Legati al cardinal Borromeo de'27 e de 29 di settembre 1563.

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(3) Il parere del Grassi sta compendiato negli Atti, ma l'intero è in mano dell'autore.

Aver prima egli apparecchiato a quel suo ragionamento un proemio tutto diverso: ma la diceria dianzi uditasi del Ferier esser cagione che 'l mutasse. Desiderarsi da lui che l'ambasciadore producesse il mandato del re a quell'azione: perciò che nè la qualità di questa faceva presumer quello, nè in tali suggetti valeva una facultà generale a fine di render credibile che ciò di real volere si commettesse. Mentre egli si riduceva in memoria Pipino che per opera di Zaccheria pontefice era stato unto a re da Bonifazio vescovo di Mogonza, Carlo Magno figliuol dello stesso Pipino che per l'esimie imprese contra gli infedeli fu constituito da Leone III primo imperadore dell'occidente, e i succeduti re di Francia i quali per l'egregia difesa della libertà ecclesiastica avevano meritato dalla sedia romana il cognome di cristianissimi, non potergli caper nell'animo che fossero secondo voglia d'un principe lor successore nel regno, nel sangue, e nel nome quelle ambasciate, le quali sì audacemente aveva esposte l'oratore, e da essi con tanta molestia s'erano intese. A chi di que❜letteratissimi padri era mai

passato per l'orecchie che si nominasse ne'concilii ecumenici l'intercessione quasi tribunizia, la quale usossi nelle sedizioni del popolo? Che in quel luogo ove talora, in deliberandosi de'costumi, agli stessi Cesari era stato disdetto d'intervenire, come scrisse Niccolò I a Michele imperadore, gli ambasciadori non pur volessero intervenire, ma prescriver le leggi sopra i costumi ecclesiastici? Che dove lo Spirito santo parla per lingua de'sacerdoti, un orator laico si vantasse di resistere allo Spirito santo, e d'intercedere? Che là ove Costantino Magno, pregatone da tanti padri, non osò di giudicare, un ambasciador di sua bocca avesse ardito quasi di condannar tutti i padri? A niun modo potersi credere ciò fatto per consentimento, e per volontà del re cristianissimo. E con qual titolo essersi i Francesi nominati creditori a cui non possa il debitore pagar contra voglia di essi una cosa per altra? Aver essi forse acquistata ragione di creditori verso i padri, perchè questi aveano riputate le calamità di quelle provincie non pure a se comuni, ma proprie? Forse perchè la sola carità di soccorrere

a quel caduto reame gli avea tratti da ogni parte del cristianesimo a spender le sustanze, i sudori, e per avventura la vita? Che dovea dirsi intorno a quella maniera d'argomentare, onde sosteneva il Ferier le leggi delle sue contrade perchè non proibivano a' vescovi la predicazione, la limosina, ed altre opere simiglianti? Fosse detto a quella venerabil corona con pace dell'oratore, e giovandosi della libertà di quel luogo, esser ciò un sofisma indegno delle loro dottissime orecchie, quasi, non si vietando cotali pie operazioni, però convenga poi trattarsi ad arbitrio del re le altre cose appartenenti all'ecclesiastica franchezza, e giurisdizione, darsi fondo a'beni della Chiesa, esser giudicati i vescovi e 'l clero dalle podestà secolari, contra l'apostolica tradizione, contra i decreti de' concilii e de' pontefici, contra gl'insegnamenti di quasi tutti i padri. Si leggesse quello che avea decretato sopra (1) ciò Niccolò I in lettere a' vescovi congregati nella terra di Convicino, e Simmaco nel secondo sinodo suo romano,

(1) Riferito da Graziano dist. 10, can. 1.

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