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di condottiero in questa battaglia che dagl' annalisti più recenti, i quali avevano obbliato di già che colui la di cui gloria era stata cantata dalla musa di Calabro, ebbe , pel primo dei Romani un soprannome dalla conquista del¬ l'Affrica (441). Nè videro come di spesso nei fasti antichissimi v' hanno dei soprannomi che non si riferiscono che al domicilio. I Claudi si chiamavano Regillensi; e lo stesso intervenne a Postumio. lutercalata nell' istoria, la battaglia del lago Regillo v' apparisce senz' effetto e senza legame; è un' intiera vittoria; e dopo parecchi anni vuoti di fatti un trattato d'alleanza suggella l'indipendenza e l'eguaglianza latina mentre era per l'appunto il motivo per cui erano venuti alle mani.

pace

Quivi pure non abbiamo che il canto eroico, a cui appartiene pure un altr' avanzo tramandatoci da Dionisio. Prima che si svegliasse la trista gara fra i due popoli congiunti di sangue, s'erano assicurati un anno di onde sciogliere amichevolmente i vincoli individuali. Consenti alle donne dell' una e dell' altra nazione, che s'erano ma➡ ritate coll' una o coll' altra di ridursi colle proprie figlie presso i propri padri. Tutte le romane abbandonarono i inariti latini (442); tutte le latine, da due in fuori, rimasero in Roma. La fiera virtù delle matrone fioriva ancora in tutta la sua purezza, quando furono inventati cotesti canti.

La battaglia del lago Regillo come la pinge Livio, non è l'urto di due armate, ma un combattimento eroico come nell' Illiade. Tutti i capi s' incontrano a corpo a corpo e fanno pendere la vittoria ora da un lato, ora dall' altro mentre le masse sono alle mani fra loro senza risultato. It Dittatore Postumio ferisce il re Tarquinio che gli si oppone nel principio della battaglia (443), T. Ebuzio capitano dei

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cavalli ferisce il dittatore latino; ma egli stesso pericolosamente malconcio è obbligato d'uscir dalla mischia. Mamilio, concitato dalle sue ferite trae alla carica la coorte degl' emigrati Romani, e rompe le prime file nemiche. La finzione romana non poteva concedere quest' onore che ai suoi concittadini sotto qualunque bandiera essi pagnassero. M, Valerio soprannominato Massimo cade nell' arrestare i loro progressi. Publio e Marco figliuoli di Publicola incontrano la morte per trarre dalle mani nemiche il corpo dello zio (444). Ma il Dittatore colla sua coorte li vendica tutti, sbaraglia ed insegue gli emigrati. Invano Mamilio s'ingegna di rinnovare la battaglia, T. Erminio compagno di Coelite lo riversa. Ed a vicenda Erminio è ferito da un giavelotto mentre dispoglia i generale latino. In fine i cava➡ lieri Romani combattendo a piedi dinuanzi le loro insegne risolvono la vittoria; appresso montano a cavallo, e sperdono il nemico. Nella battaglia il Dittatore avea VO tato un tempio ai Dioscuri; poichè si videro combattere nelle prime file due giovani guerrieri di persona gigantesca che cavalcavano due bianchi destrieri. E siccome immediatamente dopo la menzione del voto si riferisce che il Dittatore aveva promesso delle ricompense ai due primi che scalerebbero le trincee del campo nemico, sospetto che il poema dicesse che persona non riclamò questo premio, perchè furono i Tindaridi che aprirono il passo alle legioni (445). Non aveano ancora finito di perseguire il nemico che già pieni di polvere e di sangue apparirono in Roma i due eroi, i quali lavarono se e le proprie armi nella fontana juturna presso il tempio di Vesta ed annunciarono al popolo congregato nel comizio l'avvenimento della giornata. Il tempio promesso dal Dittatore fu edificato all' altro lato della sorgente, e sul campo di battaglia

un piede di cavallo impresso nel basalto attestò la presenza dei sovrumani guerrieri (446).

Questo senza dubbio è ricco di epiche bellezze, e nondimeno i nostri storici non conoscevano probabilmente più l'antica forma di questo racconto in tutta la sua purezza. Questo combattimento di giganti in cui apparirono gli Dei chiude il canto dei Tarquini onde sono convinto che dò nel segno se stimo che il vecchio poema faceva perire in questa morte degli eroi tutta la generazione che era in guerra dopo il maleficio di Sesto, il quale pure secondo Dionisio venne ammazzato. Se in questa narrazione il re Tarquinio esce dal campo di battaglia dopo essere stato ferito, non si fa se non per conciliarla coll' altra nozione storica, che lo fa morire à Cuma. Mamilio è ucciso e Marco Valerio Massimo lo è del pari, senza pregiudizio delle tradizioni storiche che lo fanno ancora Dittatore molti anni e il P. Valerio che si trova morto non è per appresso, certo il figlio di Publicola ma Publicola stesso. Erminio non manca; come del pari non s'è obbliato Larcio Paltro compagno di Coclite e che senza dubbio non era diverso dal primo Dittatore, e s'egli è occulto, si è perchè il poema ha cantato un altro a condottiere dell' armata. Così sono rappattumati i mani di Lucrezia, e gli uomini dei tempi eroici sparvero dal mondo prima che nello stato che fecero libero entri l'ingiustizia e conciti all' insurrezione.

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L'indicazione degli annali che pone la morte di Publicola nell'anno 251 non è di maggior valore della narrazione poetica; poichè non ha altro fondamento che l'assenza del suo nome nei fasti ulteriori. L' istoria per via di panegirici di famiglia non ignora che le matrone por¬ tarono il lutto dieci mesi come per Bruto e che i funerali furono fatti a pubbliche spese. Un racconto porta che vi

si provvide colla cassa dei cittadini (447); ciò che concorda col nome di Publicola; dove secondo uu' altra il popolo pagò individualmente un quadrante (448). E qui s' intende del comune, perchè è un omaggio plebeo. Senza dubbio dietro l'antica consuetudine non vi fu un ordine che si lasciò trapassare dall' altro, ed è così che noi li vediam fare a proposito di Menennio Agrippa (449). Questa maniera di rendere gl'ultimi onori non fa congetturare per nulla che questi due uomini morissero nel bisogno.

La morte di Tarquinio a Cuma è veramente storica ; ma non la si fissa all' anno 259 se non perchè è l'epoca in cui sorse il fermento nel comune, e perchè la tradizione diceva che i patrizi non furono moderati sino che visse. Aristodemo il nome del quale è bruttato con quegli dei primi tiranni della Grecia per le sue atrocità, diventò l'erede del suo illustre cliente e qualche anno più tardi fece valere contro la repubblica delle pretese alla sua fortuna. E può essere che dei figli e dei nipoti dei banditi siano venuti al Campidoglio con Appio Erdonio e che siano morti sulla terra natale dei loro padri.

A quest' ultima parte dell' età mitologica di Roma, e nell'anno 250, si pone l'ammissione della gente claudia. Si dice che un Sabino potente, Atto Clauso venne porsi a Roma co' suoi gentili e suoi clienti. Clauso è inVirgilio l' Eponimo di questa casa e della tribù per un tempo anteriore a Roma ciò che concorda collo spirito dell'antichità. Claudio è derivato da Clausus come Giulio da Junus; e non è punto una varietà di dialetto. Io ripeto la congettura che i Claudii surrogarono una gens ed una tribù tarquinia. Onde potrebbe essere che fosse senza fondamento la voce che assegnò ad ogni cliente due arpenti di terra di dominio pubblico, e che i plebei di que:

sta tribù siano stati cosi indipendenti come quegli d'ogní altra. Se fosse altrimenti somigliarebbe ad un esperimento per mescolare delle tribù di vassalli a quelle di liberi proprietari (450). La tribù Crustumina è senza dubbio la ventu→ nesima dell' anno duecento cinquantanove (451) la prima che surrogava una di quelle che s'erano perdute, nell'istesso modo che fu la prima che invece del nome d'un Indiges o Semo prese un nome di luogo.

Crustumeria fu a quel che si dice conquistata nella guerra latina; ma probabilmente l'ammissione de' suoi cittadini alla plebe di Roma fu l'effetto di un trattato d'alleanza fra i Latini. Farò vedere quando parlerò dell'alleanza che in questo tempo le trenta città furono costituite di nuovo, e il loro numero compito. Perciò Roma avrà ceduto almeno una città in compenso di che i Latini forse rinunciarono a Crustumeria. Si vede del pari crescere il comune romano con delle città cedute, i di cui cittadini furono scompartiti in due nuove tribù verso la fine del quarto secolo, quando il Lazio, dopo trent'anni d' inimicizia entrò di nuovo nell'alleanza romana ed aumento il proprio territorio.

Ed ora credo d' indovinare che i Sabini, i quali riuniti ai membri ele restavano della disciolta tribù tarqui nia, formarono la tribù claudia, saranno similmente passati sotto il dominio di Roma all' epoca del trattato conchiuso colla loro nazione, e che allora per la prima volta, í Claudi divennero Romani e patres. L'autore della pace fu Sp. Cassio (452), i due seguenti consolati del quale sono notabili per dei trattati che stabilivano l' isopolitia coi Latini e gli Ernici. Riafrancare con questo sistema il vacillante dominio di Roma od apparecchiare così la ristorazione del perduto, tale era dunque lo scopo di questo

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