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ventura, ed anteporre a brevi glorie beni più penosi, ma più durativi? Le pagine seguenti chiariranno la quistione.

Pessimo fra tutti i governi è quello, nel quale il cittadino partecipa il meno possibile alle pubbliche cose. Nei Comuni ognuno del più vil seme pretendeva la sua parte del comando; e ne scaturiva, insieme colle divisioni e coll'anarchia, un potente sviluppo di tutte le forze individuali. Sotto le signorie del xiv e del xv secolo, individuo, cittadino, Comune e leggi sparirono a profitto di un solo, che dominò sopra l'abbassamento morale di chi gli doveva obbedire. Certo nel 1550 la vita per esempio di un Milanese era (trattine pochi individui) più comoda e più tranquilla che un secolo o due secoli innanzi, quando cioè Federico u gli minacciava i ricolti e la vita, o quando Federico 1 gli distruggeva le case. Ma quella comodità, e quiete apparente di quanti mali non era ella pregna!

Primieramente non ci era nel fatto sicurezza e politica tranquillità; perchè le forze, sopra le quali queste debbono appoggiarsi, erano allora compre, e come si erano vendute una volta, potevano improvvisamente vendersi una seconda e una terza. Ciò rispetto alla fede: rispetto al valore, è chiaro che il denaro solo non basta ad instillarlo.

Di codesti difetti non s'accorse guari l'Italia, finchè le guerre si trattarono tra i suoi principi, e, vincesse o perdesse questo o quello, l'independenza di lei era salva. Ma quando i Francesi si presentarono Alpi, allora si conobbe la differenza tra le armi proprie e le prezzolate. Per impedire il.

dalle vette do a

ritorno agli invasori tutta l'Italia riunì le sue forze presso il Taro: vi si venne a giornata: gli Italiani erano quaranta contro otto, e furono sconfitti. Trentacique anni dopo Firenze era venduta da Malatesta Baglioni e già prima la regina Giovanna era stata ingannata da Sforza Attendolo; i re di Napoli erano stati mal serviti da Braccio e dai Caldoresi; Milano era stata tradita da Francesco Sforza, e il papa beffato da Niccolò Piccinino.

In secondo luogo, lasciando anche stare il danno provenuto per le infinite ricchezze consumate o mandate vie nel XIV secolo dai mercenarii stranieri, chi può stimare appieno il nocumento che arrecava all'agricoltura ed alle arti, che le sono più dappresso, il miserabile metodo di guerreggiare adoperato in quel secolo e nel seguente? Certo i soprusi e le devastazioni furono proprii pur troppo di tutte le guerre. Ma nei tempi antichi necessità o furore serviva a scusarli: nei tempi odierni la devastazione è soltanto mezzo od accompagnamento; il fine è grande, e si ripone nella presa di una città o di un sito capitale, o nell'acquisto di una battaglia: l'esercito lascia bensì ruvide traccie lungo le strade da lui battute, ma i paesi discosti non ne sentono per così dire il peso che in modo indiretto.

Al contrario, siccome la natura delle milizie mercenarie non permetteva di fare grosse guerre, e di prefiggersi grandi fini, così la devastazione per se stessa diventava fine, e non aveva più limiti. Si aggiunga, che la soldatesca doveva mantenersi di per sè, e militava per mestiero : si aggiunga che le leggi · penali erano poche e deboli, e, o non venivano ese

guite, o non punivano quasi mai personalmente. Perciò vite e sostanze erano alla mercè delle soldatesche. Soltanto nell'espugnazione di Piacenza dieci mila cittadini vennero tratti in schiavitù. « Furono <«< rubati (racconta un cronista contemporaneo) gene<< ralmente tutte le chiese, e reliquie, e croci, e ca<«<lici, e stracciata ogni cosa. Dello svergognar delle << donne sarebbe uno stupore a scriverlo. Tutte le << donzelle, vergini, maritate, vedove, monache, tutte << furono svergognate e stracciate e malmenate. Non « voglio scrivere altro, perchè la pietà e la compas<<<<sione non mi lascia scrivere. Durò il saccomanno << più di 50 giorni. Furono fatti prigioni tutti quei <<< cittadini. Loro erano svergognate le donne e le fi<«<< gliuole in sua presenza; e quando n'erano ben <<< sazii, que'cani giuocavano a'dadi una donna col«<< l'altra » (1).

Tutto ciò avveniva sotto gli occhi di Francesco Sforza nel novembre dell'anno 1447. Codesti dolori poi (come avverte un illustre scrittore) riuscivano più intensi, perchè già in Italia si spargeva una civiltà più avanzata, la quale aveva creato nuovi interessi e bisogni, e svolto i principii del giusto in modo da rendere più durà la soggezione alla forza materiale scompagnata da quelle idee e da quei nobili sentimenti, che soli ne possono diminuire i mali (2).

(1) Cristoforo da Soldo, Istoria Bresciana, p. 845 (R, I. S. t. XXI).

(2) Blanch, Giudizio sopra la Storia delle compagnie di ventura (Museo di Napoli, luglio 1844).

III.

Questi danni erano materiali: altri ve ne erano funesti non meno al morale dei principi, che a quello dei popoli. Noi procureremo di parlarne partitamente.

Quando l'uomo può per diritta strada esercitare la sua attività, e pervenire al conseguimento dei suoi desiderii, solitamente il fa, spronato dalla fierezza medesima della propria natura. Ma se egli diffida delle sue forze naturali, se queste gli mancano, e tuttavia i bisogni e le passioni non si acquetano d'intorno a lui, romperà il freno ad ogni rispetto, e qualsiasi mezzo gli parrà acconcio.

Ciò appunto accadde ai principi italiani nei secoli xvi e xv. Siccome i rapporti tra signore e sudditi non erano ben definiti, così il signore per conservare lo Stato servivasi di forze estranee ad esso. Queste perciò erano insufficienti; eppure si voleva che bastassero non solo a mantenere il proprio, ma a rapire l'altrui. Che ne avvenne? Siccome le rocche erano quasi inespugnabili, espugnavansi coll'oro; siccome il combattere in aperta campagna conduceva quasi a nessun risultato, combattevasi occultamente colle rubellioni, colle imboscate, coi veleni. Tentavasi di sedurre i capitani nemici, e le guardie delle città; sommovevansi a rubellione le terre; licenziavasi un condottiero per cacciarlo addosso ai principi vicini. Andava a male la trama? Ripudiavasene l'autore. Sortiva il bramato effetto? Sotto qualche pretesto afferravansi scopertamente le armi per mantenere l'acquistato ed accrescerlo.

La guerra dichiarata così, l'autore della trama ve

niva riassoldato come condottiero, e premiato: quindi nuove depredazioni, nuovi assedii, nuove tergiversazioni e scaramuccie servivano come di preludio ad altri accordi e ad altri tradimenti. Vedevasi pertanto una repubblica di Venezia patteggiare con sicarii l'avvelenamento di Filippo Maria Visconti e di Francesco Sforza (1); un Cosimo de' Medici non abborrire dall'assassinio (2); un Francesco Sforza riacquistare ai Milanesi la Lombardia contro i Veneziani, e quindi appropriarsela coll'appoggio dei Veneziani istessi; un Sigismondo Malatesta mercatare con un re i suoi servigi, e, dopo ricevuto il denaro, beffarsene; e le paci e gli armistizii e i giuramenti profondersi e divenire strumenti di inganno.

Ciò facevasi, ciò lodavasi: poichè sorse chi imprese a dimostrare non solo, che tutto che si operava in tal modo dai principi era bene, ma che i principi potevano e dovevano in certi casi operare il male... «Poichè << l'ultimo fine della guerra è la vittoria, con la quale <«<< (dice uno storico) si consumano gli Stati proprii e << si acquistano gli altri, per ottenere quella pare che <<< sia lecito o almeno tollerato mancare di fede, usare <«< crudeltà ed altri enormissimi errori » (3).

Codeste arti insegnava l'impotenza, e le autorizzava anche presso i più onesti, perchè sembravano leggi di necessità. Quindi l'amministrazione della giustizia si vestiva non di rado di ferocia e di frode: quindi

(1) Cibrario, Documenti alla morte del Carmagnola. poni, Commentarii, p. 1212 (R. I. S. t. XVIII).

(2) Rosmini, Vita del Filelfo.

Cap

(3) Missaglia, Vita di G. G. de' Medici, marchese di Mari

gnano, p. 163 (Milano 1605).

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