Immagini della pagina
PDF
ePub

A. 1465 Giovane di non ancora cinque lustri, passò con molti compagni in Francia per soccorrervi il re Luigi XI, allora forte implicato nella guerra detta del pubblico bene. Stavano entrambi gli eserciti a fronte in aspettativa di una battaglia, allorchè due nemici di gigantesca statura escirono dalla ordinanza, e dopo molte bravate sfidarono a duello gli Italiani. Presentaronsene due al paragone, ma furono abbattuti al primo scontro; e già i vincitori fra le risa se li portavano via, quand'ecco il Triulzio gettasi tutto solo sopra di essi, li atterra, li disarma, e in un batter d'occhio ritoglie loro la preda e l'onore del conflitto (1). Sfuggì in questa occasione ai Francesi un detto essere cioè gli Italiani in guerra più che uomini ; la qual sentenza non sarebbe del tutto sconvenevole, se la guerra si potesse maneggiare da individui isolatamente.

Ritornato da quella spedizione, Gian lacopo sottoA. 1468 mise al duca di Milano i signori da Correggio, e ne ottenne in premio il comando di una squadra d'uomini d'arme: quindi senza mai distaccarsi dal servigio degli Sforza militò sotto Federico d'Urbino nelle guerre della Romagna. Ma in breve le lussurie e crudeltà del duca Galeazzo Maria lo stancarono di maniera, che per fuggirne almeno lo spettacolo deliberò con alquanti amici di peregrinare in Terra Santa. Forni questa impresa, viaggiando e combattendo a un tempo cogli uomini e colla fortuna. Appena ripatriato, seppe che il suo principe era inteso ottobre a impadronirsi della terra di S. Germano, e corse a raggiungervelo. Arrivò, quando già le soldatesche

1476

(1) Rosmini, Vita del Triulzio, 1. 1. p. 16.

colle scale levate s'appressavano alle mura per montare all'assalto. Il Triulzio, non potendo aprirsi luogo tra la folla degli assalitori, li esortava ad adoperarsi virilmente ed a procacciarsi colla vittoria onori e ricchezze. Udi le alte parole Roberto Sanseverino generale dell'esercito; e sdegnossi che un giovinetto appena col pelo sul mento venisse ad arringare le sue schiere; però gettògli un motto: valer meglio mostrare coi fatti, che non ostentare colle ciance ». « Nè io sarei qui, ma là sopra le mura, se questa gentaglia non me lo impedisse, rispose il giovanetto affocato nel viso. Tosto il Sanseverino gli fece far largo: e incontanente il Triulzio buttasi nel fosso, appoggia la scala al muro, e solo fra tutti si avventura a salirla. Giuntone a mezzo, un trave precipitollo abbasso; egli rilevossi di presente, é tornò a salire; e già tra lo stupore e l'ansia dei compagni toccava il labbro delle mura, allorchè per la seconda volta veniva rovesciato nel fosso e gravemente ferito, anzi più presso a inorte ché a vita. Intanto la gente inanimata dal suo esempio si impadroniva della terra. In premio di quest'azione Gian lacopo fu creato capitano di cavalleria (1). Morto poi il duca Galeazzo Mária, fu egli a mano a mano nominato senatore, membro del Consiglio segreto, e finalmente, stante il valore dimostrato nel riacquisto di Genova, fu scelto al governo delle lancie spezzate, ufficio di somma confidenza.

Con questo grado, venne il Triulzio, come di- A. 1478 cemmo, spedito al campo fiorentino; dove la mancanza assoluta di ordine, di consiglio e di accordo

(1) Rosmini, Vita del Triulzio, p. 38.

rese sempre vano o malgradito qualsiasi disegno un po' generoso ch'egli proponesse (1): anzi (nè si sa bene se la perfida trama fosse ordita dai suoi colleghi o dai nemici) la mano di prezzolati sicarii giunse a insidiarne i giorni. In conclusione Gian lacopo stancossi di una vita, nella quale i travagli erano grandissimi, il bene nullo; e, colta l'occasione di una tregua, abbandonò il campo, e affrettossi verso Milano, dove avevano frattanto dato origine a molte novità le pretensioni di Lodovico, Ascanio, Ottaviano e Sforza duca di Bari, fratelli dell' ucciso Galeazzo Maria. Avevano costoro col seguito dei proprii aderenti formato una congiura allo scopo di spogliare

(1) Da una lettera di questo famoso capitano ai duchi di Milano, potrà il lettore rilevare con qual disordine ed insufficienza si conducessero allora le guerre. «Vidi, egli dice, « questa gente de' signori Fiorentini venire con uno tristis«<simo ordine per modo, ch'io ne ebbi disgusto; senza or« dine alcuno l'uno homo d'arme lontano dall'altro.... spesso << una squadra meschiata coll'altra per mcdo ch'io non li com« prendeva regola. . . . Una squadra era lontana dall' altra « mezo miglio.

«I soldati sono alozati ad lor modi l'uno lontano dall'al« tro senza provisione, nè ordine alcuno, nè di guastatori, «nè de altre cosse expedienti, cum pochissima fanteria vi«<delicet 700, de li quali non gli è centocinquanta cum le <«< corazine et arme expediente, et quantumche io li abia reque«sto et instato più volte, etc.

"....

Questi signori Fiorentini. . ... fano vendere le « victualia più caro sii possibile senza limitatione di pretii «ad le robe, la moneta è grossa per modo li hanno mal <«< stare: poy questi signori Fiorentini sel vene robe in campo «ne della Lombardia nè d'altro, li fano pagare tanti dazii, «< chel è una meraviglia et che è pezo le reteneno nè le lassano passare Fiorenza etc. . . .»

Rosmini cit. t. II. I. II. doc. 2 e 4.

della reggenza la vedova duchessa Bona, e tirare in sè tutta l'autorità dello Stato. Di questa congiura o fazione essi erano i capi: ma il principale fondamento dei loro disegni consisteva in Roberto Sanseverino capitano generale delle armi.

Era questi con due altri suoi fratelli, figliuoli naturali d'un potente barone napoletano, stato sospinto dalle discordie della propria patria a cercarsi un rifugio in Lombardia. Quivi il suo valore, e la sua nobiltà e destrezza, ed un parentado, stretto da lui con Francesco Sforza, l'innalzarono sotto il costui regno a tanta potenza, da recarne anzi che invidia pericolo ai successori (4). Infatti, non appena per la morte del duca Galeazzo Maria lo Stato pervenne nelle mani della duchessa Bona e di chi ne signoreggiava la mente, che Roberto si univa coi fratelli dell'estinto duca, e prima macchinava in segreto, poscia, levata la maschera, afferrava le armi, radunava seguaci, e dentro Milano stessa fortificava le sue case, e dava principio alle violenze. Già il sangue pareva in procinto di scorrere per le vie, quando la duchessa mediante una tregua riuscì ad addormentare e dividere i congiurati; sicchè l'uno dell'altro dubitando, chi qua chi là, come volle paura, cercossi uno

(1) Pochi mesi avanti la morte del duca Francesco Sforza, si era Roberto obbligato col re di Cipro di recarsi con 700 cavalli e 1000 fanti a racquistargli quel dominio. Il re gli aveva promesso 60,000 ducati di stipendio, oltre le spese del viaggio e grado di capitano generale, ed oltre il carico di provvederlo di tutto il materiale delle armi da fuoco e da tiro, e di due bombarde da 300 libbre di palla ciascuna, colle persone capaci a maneggiarle (Guichenon, Hist. généal. Preuves, p. 395).

[ocr errors]
[ocr errors]

scampo. Nella fretta del fuggire Ottaviano Sforza affogó nell'Adda; Ascanio, il duca di Bari, e Ludovico detto il Moro, il quale era serbato a più grandi vicende, elessero un volontario esiglio; Roberto Sanseverino, inseguito sempre alle spalle dalle genti della duchessa, riparò in Asti, e quindi in Francia: finalmente entrò in Genova, cui ribellò, poi perdette (1). Uscitone, si congiunse coi fratelli Sforza, agosto e ravvivò la guerra civile nella riviera di Levante; 1479 finchè, essendo venuti a maturanza certi loro ma

neggi pel disusato giogo delle Cento Croci, passano in Lombardia, e prima occupano Tortona colle terre attorno, che a Milano ne arrivi il sospetto.

Quest'improvviso colpo spaventò in guisa la védova duchessa Bona, che si precipitò a far pace coi congiurati, ed a rimettere in loro podestà, per così dire, tutto lo Stato. Ma da questo momento appunto cominciarono le sue vendette: posciachè non tardò la buona fortuna a generare tra i vincitori i soliti effetti delle gare, delle discordie e delle nimistà. Insomma Roberto Sanseverino entrò un di furiosamente nel consiglio della Reggenza, e chiese che senza indugio gli fossero accresciute le paghe e si cessasse una volta di anteporgli nel comando uomini di sangue vili, d'opere codardi. Non avendo conseguito ciò che domandava, sbuffando e minacciando corse a Castelnuovo di Scrivia, luogo di sua dominazione. Quivi settemb, pose mano a radunar soldati, innalzar fortificazioni, guadagnarsi gli animi dei fuorusciti genovesi, sedurre i signori del Verme ed i Rossi da S. Secondo,

4481

(1) Rosmini, Vita del Trialzio, 1. I. doc. 41.

« IndietroContinua »