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<< sermo plebeius » donde poi passò alle lingue neolatine (1): e M. Vittorino (II, 2458, 14 Putsch) raccomandava di scrivere e e non o.

u per o in << adulescens » participio di « adolesco »; C. 15, 1; G. 21, 4; H. I, 86 (adulescentior) (2).

Di vocali non affievolite nei composti, esempî sicuri sono: « occanuere » H. I, 135 (Cfr. Tac. A. II, 81); « superiactis » H. II, 56; << transgradientur » H. II, 98, 10; « detractantibus » H. III, 96, A. Ma in G. 58, 8 lo Jordan legge « detrectare »; benchè il Corssen veda nelle due forme, ch' egli dice contemporanee, una diversa sfumatura di significato (Vok. Auspr. u. Beton. II, 404 segg.), a me non pare, e vedo piuttosto nelle forme non affievolite un arcaismo-volgarismo. Cfr. C. I. L. V. 5227 « consacratam. »

b) Consonanti. Un' affettazione di arcaismo è la permanente mancanza di assimilazione nella composizione delle parole: così adcedo, adtollo, adpello, adprobo, adquiro, conlega.... confermate dai Codd.

Alla pronuncia del volgo è probabilmente dovuta la forma metatetica<< accerso » data dalla più parte dei Codd. e comune ai Comici: la forma più conforme all' etimologia è « arcesso» da «cessere » frequentativo di « cedere » col prefisso << ar >> ad; cfr. arbiter) con senso attivo << facere ut aliquis accedat. »

c) Ortografia pronominale.

<< Quoius» in H. III, 48, 19 (V) ; « quom » (= cum cong.) in H. I, 107 e IV, 69, 13; «quois » H. II, 98, 6, dove Hauler annota: « forma antiqua observanda, quacum conferas queis in quibusdam libris manuscriptis bonae notae, quoique in Ciceronis palimpsesto de R. P. III, 11; « queius» in C. I. L. III, 1846 (bis) praeterea Velii Longi, Traiani aetate grammatici, qui de usu antiquae lectionis scripsit, verba haec (VII, 76, 3 K.) quibus vituperat plena oi sillaba quoi et hoic pro cui et huic dicentes. >>

2o. Considerazioni morfologiche. Le particolarità di flessione, nelle opere di Sallustio, non sono molte, nè gravi. Eccole:

a) Flessione nominale. Della 1a declinazione noteremo C. 43, 2 << Filii familiarum » e 51, 9 « matres familiarum » in luogo del normale<< filii, matres familias ». Ed è imitazione Sisenniana: cfr. Varrone (1. 1. 8, 73) « Si analogias sequi vellent, plures « patres familias » dicere non debuerunt, sed, ut Sisenna scribit, « patres familiarum »;

(4) V. Schuchardt, « Vokal. des Vulgärlateins, II, 245-46. »

(2) La grafia o del participio è provata dai Codd., e fra gli altri dal grammatico Capella che dice: « adolescens » participium est; adulescens nomen est. » (Vol.; cfr. ind-ol-es, ecc.).

e Carisio (107 e 120 K.) ricorda le parole di Sisenna << eum qui diceret pater familiae etiam pluraliter dicere debere « patres familiarum » et « matres familiarum » (1).

Della 2a declinazione sono notevoli i genitivi plurali « stadium » (H. 1, 100) e « Saguntium » (H. II, 65 dato da Celio; Carisio à « Saguntinorum »); ed il genitivo alla Greca « Theraeon » in G. 19,3 << Cyrene colonia Theraeon »: (Onpaiwv) e « Philenon arae » ib. (Þtλaívwv). Tali genitivi plurali alla Greca usarono pure i buoni scrittori, ma solo nei titoli dei libri.

Notisi ancora l'accusativo greco « Catabathmon » in G. 17, 4 e 19, 3, poetico. Inoltre parecchi nomi per lo più declinati in altre declinazioni, li à Sallustio trasferiti in questa. Così è del genit. « Persi » in H. I, 8 « Ad bellum Persi Macedonicum ». Fu costume degli scrittori arcaici ed arcaicizzanti di attribuire alla 2a declinazione i nomi stranieri che altri, movendo da un nomin. in es, declinavano secondo la 3a. Cfr. Quintil. (1, 5, 58) « Si reperias grammaticum veterum amatorem, neget quidquam ex latina ratione mutandum... Sic genitivus Ulixi et Achilli fecit, sic alia plurima. Nunc recentiores instituerunt Graecis nominibus Graecas declinationes potius dare » (v. Plin. in Caris. 132 K.). Così il dat. « glutino » H. III, 103 « Coria recens detracta quasi glutino adolescebant »; appartiene a quei nomi che nel latino volgare avevano declinazione diversa dal latino classico: è un volgarismo che troviamo in Varrone (V. Caris. 1), in Lucilio, in Vitruvio (165, 28; 180, 10 e 14; 180, 21), in Plinio (H. N. 11, 39, 20; 13, 12, 82), in Celsio (5, 5).

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E nel plurale usò le forme genetivali « Bacchanaliorum » (H. III, 31) e« Volcanaliorum » (H. III, 50). Il tema in -i- era stato sostituito da un tema in io, e le due forme viveano l'una accanto all'altra: cfr. Caris. (I, 14) « Dierum sacrorum et solemnium appellationes, genetivum pluralem duplicem habent, tam et secundo quam et tertio ordine, velut Saturnalia Saturnalium et Saturnaliorum. » Così tutta una serie di nomi neutri greci « poëmatorum, »... latini <«< compitaliorum »>, « vectigaliorum », « anciliorum » (Cic. contro Pis. 4, 8; ad Att. pr. Carisio p. 146, 31 K.: Or. Odi 3, 5, 10); « novaliorum », « vectigaliorum. » Di tale confusione di temi in -i o in consonante con temi in

(1) Nel sec. VI di R. le forme arcaiche di genitivo in -as erano scomparse totalmente. Quindi il fr. H. III, 58 che Aspero scriveva « castella custodias thensaurorum, in deditionem acciperentur » facendo di « custodias un genitivo arcaico in -as, va corretto con << acciperent in luogo di « acciperentur » o con << custodiae » in vece di « custodias ».

-o si ànno esempî nella legge Antonia, « Thermensorum » accanto a << Thermesum » e « Thermensium »; in Lucilio « surpiculique holerorum » (pr. Nonio p. 490): (cfr. in Catone « holeris » = « holeribus » K. 149, 2); nella lingua popolare « pontificorum » (Fabretti 419, 378); << mesorum » (Fabr. 397, 282: anche mesoro »): e il dativo « mercatis per << mercatibus » in H. V, 9; volgarismo.

Per quanto riguarda la 3a declinazione, notiamo: dei temi astratti in -os-. S. usa le forme nominativali più antiche in -os in luogo delle più recenti in -or, classiche: « honos » e «lepos » non ànno nulla di strano; ma << colos » (C. 15, 5), « odos » (G. 44, 4), « labos » (C. 7, 5; G. 100, 4; H. II, 47, 1; III, 48, 18) sono veri arcaismi (1). (Cfr. Gr. aidwg, aidósog; Quintil. I, 4, 13; Neue, Formenlehre I, 170). Dopo il VI sec. di R. la s rimase in nomi a penultima breve, e se i poeti l'usarono fu per necessità di metro (Lachmann a Lucr. p. 424).

Notiamo ancora C. 40, 2 « civitatium » forma che si ritrova specialmente in Liv. e Plin. il giovane. Ne à alcuni es. Cicerone (De Rp. 1, 34, 51; 2, 4, 8; De Leg. 2, 4, 9); e Varrone lo dà come es. di sostantivi a doppia forma genetivale plurale (1. 1. VII, 37). I temi degli astratti col nominativo in -tâs (e -tûs) furono in origine temi in -i, ed al genit. plur. oscillarono tra -um e -ium; ma nella buona prosa ànno il genitivo in -um, come temi dentali. (Cfr. in Pl., Pers. 420 << compedium tritor »; in C. I. L. I, 199 Longatium, Genuatium »>: in Monum. Ancyr. « Penatium » e << civitatium »; ed il titolo ufficiale<< procurator hereditatium. »

La forma in -is di accus. pl. dei nomi col genit. in -ium, non è un arcaismo come sostennero alcuni; essa era la forma in uso, ulteriore evoluzione di eis che aveva sostituito l' arcaico -es. (Cfr. Gell. XIII, 20 e Bücheler-Havet, Précis de la déclin. lat. p. 91). È invece un arcaismo l'acc. pl. «vis » (H. III, 17) per « vires »; l'usò pure Lucrezio (II, 586; III, 266); ma pare per necessità di metro: e Messala (in Macrobio sat. 1, 9, 14). Noteremo da ultimo la forma nominativa « plebes » assai più usata da S. che « plebs ». Ed è una forma antiquata che si ritrova pure in Ces. B. g. 6, 13, 1. Dalla forma piena in vocale (t. plebe-) nel periodo storico derivò per formazione retrograda un tema in consonante accorciandosi (tema mutilato), e si ebbe « plebs » forma

(1) In Cat. 15, 5 e G. 44, 4 i Codd. dànno« color, »« labor ; ma l'analogia e la testimonianza di Probo pel 4° e di Frontone pel 2o inducono a scrivere colos», «labos; lo stesso dicasi di C. 7, 5. Servio all' En. I, 253 << Item Sallustius paene ubique labos posuit quem nulla necessitas cogit. »

che non appare in alcuna iscrizione anteriore ad Augusto. Ma in C. I. L. si trova la forma « libs », « lubs » per « lubes (I, 182, 183). Di nomi trasportati qui da altre declinazioni abbiam solo « sublices > in luogo di « sublicae » nella forma « sublicibus » (H. IV, 85) (= pile di ponti).

Nella 4a declinazione Sallustio usò la forma arcaica di genitivo << senati » per « senatus » in C. 30, 3; 36, 5; 53, 1: G. 25, 11; 40, 1, cioè solo nelle formule ufficiali; in C. 53, 1 « senati decretum » è accanto a << senatus magna pars » ed altri esempî di « senatus » sono C. 37, 10; 38, 2; 42, 3; 51, 36; G. 25, 7; 30, 3; 43, 4; 112, 3; (cfr. C. 59, 5 « tumultus causa » lezione migliore). La forma « senati » fu un fatto analogico, un passaggio di temi in -u alla declinazione in -o. Essa è attestata da tutti i grammatici. Quintil. in 1, 6, 27 scrive: « Quid de aliis dicam, cum senatus, senatus senatui senati senato faciat incertum sit. » Plauto e Terenzio usano regolarmente la desinenza -i. « Senati » si legge ordinariamente nelle iscrizioni del secolo VII di R. e nei framm. di Sisenna (fr. 17 e 119 « senati consulto »); nelle lettere (ad. Att. 4, 2; ad Brut. 1, 2) e nelle orazioni (Carisio p. 43 K.) di Cicerone. Sette nuovi es. di « senati » numera l'Index di Hübner (p. 594). Così pel dativo, troviamo in Sallustio le forme luxu » G. 6, 1; « exercitu » 39, 2; « nisu » 94, 2 per luxui, exercitui, nisui. Cfr. in Tacito « senatu » An. I, 10; III, 30, 34; XV, 48; « luxu » H. II, 71; « decursu » An. III, 33; « nuru » An. VI, 23. Ma si avverta che la forma in -u non è soltanto propria dell' anteclassicità, ma pure del periodo classico, ov'è più usata che -ui; questa diviene normale solo nell' età imperiale. Cfr. Gell. N. A. VI, 16, 5 << Non omnes concedunt, in casu dativo « senatui » magis dicendum quam « senatu ». In Plauto, Pseud. 306 leggesi « ussu »

usui ;

ma « usui » in 305); in Terenzio « vestitu», « neglectu » ; in Lucilio « anu », « victu »; in Lucrezio « visu » (5, 101); « usu » (3, 969); in Virg. « metu », « concubitu », « aspectu » (giudicati però ablativi da Prisciano 7, § 88 p. 363 K.). Cesare aveva nelle opere sue « dominatu», « casu » ed in « De analogia » raccomandava questa uscita, di cui usarono pure Augusto e Livio (1).

La Cat. 28, 1 ci offre un' antica forma di locativo « domui » dimostrata propria dell' archetipo dall' oscillare della grafia degli altri

(1) La desinenza -u può essere contrazione di -ui per assorbimento della più debole da parte della più forte, o semplice caduta d'i dopo rinforzo del tema; senatu, senatoui, senatou.

mss. tra « domui », « domi », « domu ». (Cic. Tusc. 1, 22, 51 « animus in corpore est tanquam alienae domui »; De off. 3, 26, 9, << domui suae »; pro Mil. 7, 16; in Cat. 2, 6, 13 ecc. Tac. An. 12, 16; 16, 26).

;

97,

3 ; << acie » H. I. 41;

in b. g. 2, 23, 1,

Declinazione 5a. « Die » G. 52, 3 << requie» H. I, 142 sono forme genetivali, per « diei, aciei, requiei,» proprie del latino popolare di Plauto (die, facie, fide), della poesia, ed anche della prosa classica. Lucilio e Virgilio ànno simili genitivi: «fide » à Oraz. o. III, 7, 4; Ovid. Met. 7, 728; Cicerone à « pernicie » (pro R. Amer. 45, 131); Cesare à « specie » ed « acie » « meridie » b. g. 7, 83, 5. Tra' grammatici Carisio « Quidam famis, quidam fame dixerunt genetivo » Servio (ad Virg. Georg. 1, 208) vuole che fosse « secundum antiquos genetivus regularis in e » A. Gellio (IX, 14, 25) riferisce il pensiero di Cesare: « C. Caesar in libro de Analogia secundo « huius die » et « huius specie » dicendum putat. » In Tac. s'à « re » (H. I, 29) e « fide » (D. 31) (1).

dice (p. 41, K.)

Quanto a G. 16, 3 « ut famae, fide, postremo omnibus suis rebus commodum regis anteferret, » ove sarebbe « fide » es. di dativo in -e, io preferirei lasciare intatta la scrittura dei codici migliori e più numerosi << ut fama, fide, postremo omnibus suis rebus.... » spiegando gli abl. come abl. di paragone (2). Richiama qui l'attenzione nostra la forma << plebei » genitivo in H. III, 48, 15; e dativo in H. I, 77, 14. Questi due soli sono i casi sicuri ed ammessi da tutti. La forma genetivale si trova frequente nella « legge agraria» (« plebeive scito »), accanto all'altre due « plebi » (bis) e « plebe »`(una volta sola). L'equazione plebis plebei risulta da plebis : plebem :: plebei : plebem.

=

(4) Questa forma genetivale in -ê, accanto alla forma in -es (ch'è affatto arcaica, << Diespiter ») ed alla forma in ei, si spiega dal nominativo in -es, come il genitivo <<< senatu »da« senatus »; ovvero da -êi con perdita della i dopo la ê.

(2) V. all' ablat. di paragone. Se poi si ammette il dativo si noti, come nel VI sec. di R. l'i del dat. -ei era scomparso (Cfr. Gr. quyñ da quyñ‹). Troviamo in C. I. L. 1, 170 « Fide » (Dea); in Gori « Inscr. in urb. Etr. exstantes » 4, 371, 122 Claudiae spe»; in Plauto Trin. 117 « Mandatus est fide et fiduciae »: 128 « fide mandatum malae »; Pseud. 125-27 « pube praesenti»; in Ter. Andr. 296 < tuae mando fide »; in Lucilio facie» (Gell. IX, 14); in Orazio serm. I, 3, 95 « commissa fide »; in Livio 5, 13, 3 « pernicie ». A. Gellio arcaicizzante dice: «< in casu dandi qui purissime locuti sunt, non faciei uti nunc dicitur, sed facie dixerunt. » Sono dativi abbreviati formatisi nella età preclassica.

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