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Dante e riveste aspetto di dogma nel suo libro de Monarchia, che uno scrittore torinese, guelfo, chiama anch'oggi tessuto di sogni, e uno scrittore lombardo, brancolante tra il guelfo ed il ghibellino, abbiettissimo libro. Oggi, pigmei, non intendiamo di Dante che il verso e la prepotente immaginazione; ma un giorno, quando saremo fatti più degni di lui, guardando indietro all'orme gigantesche ch' egli stampo sulle vie del pensiero sociale, andremo tutti in petlegrinaggio a Ravenna, a trarre dalla terra, ove dormono le sue ossa, gli auspicii delle sorti future e le forze necessarie a mantenerci su quell'altezza che egli, fin dal decimoquarto secolo, additava a' suoi fratelli di patria.

E quando saremo fatti degni di Dante, troveremo oltre a quel segreto, nelle pagine ch'ei ci lasciava, una lingua, quale in oggi gli sfibrati scrittori che tengono in Italia il campo delle lettere, guasti dai francesi, guasti da' tedeschi, guasti da tutti e pure armeggianti a dichiararsi indipendenti da tutti, neppure sospettano troveremo una filosofia, nazionale davvero, anello tra la scuola italiana di Pitagora e i pensatori italiani del secolo xvi troveremo le basi d'una poesia, vincolo fra il reale e l'ideale, fra la terra e il cielo, che l'Europa, incadaverita nello scetticismo e nell'egoismo, ha perduta: troveremo i germi d'una credenza che, tutte l'anime invocano senza raggiungerla. Gli studi di Foscolo su Dante, oggi non citati o eitati a fior di labbro dai letterati, verranno allora in onore. E quando uomini imbevuti per langhi studi della tradizione italiana, e santificati dall'amore, dalla sventura e dalla costanza, sacerdoti di Dante, imprenderanno, monumento dell'intelletto nazionale, una edizione delle sue opere, preporranno all'edizione un volume di critical che sarà quasi vestibolo al tempio ove Dante sarà vene

rato, e quel volume conterrà pure le cose di Foscolo.

Foscolo non fu sacerdote di Dante, nè le sue mani potevano ardere incenso al suo santuario. Troppe delle vecchie credenze sull' umana natura e sulla legge che regola le sorti delle nazioni combattevano nell'anima sua i nuovissimi presentimenti. Troppi errori accumulati da secoli si stavano fra Dante e lui, perch' ei potesse contemplare il Dio nello splendore del primitivo concetto. Venuto a tempi ne' quali l'intelletto italiano s'agitava più per impulso straniero che non per propria virtù, non ebbe fede, quanto volevasi, in una poesia nazionale, e pur faticando sull' orme del pensiero moderno, s' ostinò, anche per le memorie dell'infanzia, nelle forme greche. Irritato dalla serva plebe di letterati che gli stava intorno e dalle delusioni che amareggiarono gli ultimi anni del suo soggiorno in Italia, imparò da Dante l'energia delle passioni, l' indipendenza negli studi, la santità delle lettere, gli sdegni santi contro chi le contamina; non la credenza che calpesta uomini, cose e speranze contemporanee e si leva a quell' Ideale che i più tra noi chiamano immaginazione e non è che presagio. Ma vide, se non quanto era in Dante, quanto almeno in Dante non era, e innestalovi nondimeno dalla malizia o dalla credulità dei commentatori, ne deformava le sembianze e la vita. Si armò di flagello contro ai profanatori del tempio. Si levò a distruggere

strusse.

e di

Distrusse il rispetto alle congetture avventate, alle imposture letterarie, agli anacronismi eruditi, ai mille errori accettati senza esame, solo perchè patrocinati dall' autorità d'un nome o d'un' accademia. Distrusse la cieca fiducia ne' Codici tutti posteriori di molti anni al Poeta e da correggersi col confronto e colla logica e colla conoscenza della

vita e della mente di Dante. Distrusse i sistemi originati dalle meschine vanità locali o dalla riverenza adulatrice a' discendenti d' illustri famiglie, che alteravano la storia dei pellegrinaggi di Dante e contaminavano l'anima più nobilmente altera che mai si fosse or di calcolo or di basso rancore la venerazione al pregiudizio toscano fatale al testo

l'abitudine di dar predominio all' estetica sul pensiero, alla forma sull' idea, allo studio dei

mezzi sulla ricerca del fine. Condusse la critica sulle vie della storia. Cercò in Dante non solamente il poeta, non solamente il padre della lingua nostra, ma il cittadino, il riformatore, l' apostolo religioso, il profeta della nazione. Schiuse a noi tutti la via, che i tempi, l'educazione, la vita infelicissima, e alcuni errori della mente, da' quali egli non potè emanciparsi, vietarono a lui di correre intera. E s' oggi gli studi su Dante movono più severi e più filosofici e di certo più giovevoli alla gioventù d'ltalia che non tutte le industrie sudate de' spiluccatori di sillabe, è dovuto pei due terzi, comunque altri pensi, al Discorso sul Testo e agli altri scritti di Foscolo intorno a Dante: se un giorno avremo una edizione del Poema da non ritoccarsi più oltre, sarà dovuto alle norme con che Foscolo condusse l' emendazione del Testo e la scelta delle varianti nel lavoro ch' or pubblichiamo.

E fu l'ultimo suo lavoro. Cominciò tra le lodi e gl'incoraggiamenti dei migliori intelletti dell'Inghilterra, tra le speranze d'una riposata vecchiaia e d'una gloria vagheggiata d' antico; fini tra le angustie d'una povertà che pochi saprebbero sopportare senza avvilirsi, tra le persecuzioni de' creditori, fra i dolori, inacerbiti dall' opera assidua, della malattia che lo condusse a morire, e nell' amarezza del sentirsi impotente, per mancanza di

mezzi, di tempo e di pane, a compirlo com' ci l'aveva, per venerazione a Dante ed amore all'Italia, ideato. Se in Italia gli uomini letterati pensino altrimenti, non so. Ma io sento nell' anima che la pubblicazione di questo manoscritto, giacente da quindici anni nella polvere degli scaffali d'un libraio inglese, era debito, debito sacro per gl' Italiani. Parmi che il giacersi dell'ossa di Foscolo in un cimiterio straniero, sotto una pietra postavi da mani straniere, sia tributo che basti agli avversi tempi, senza che debba consegnarsi all' obblio anche l'ultima testimonianza d'affetto agli studi ed a noi di un uomo che, solo forse fra i noti del periodo tempestoso in che visse, serbò incorrotta, immutata davanti al potere, davanti alla prospera e all'avversa fortuna, e all'esilio e alla fame, l'indipendenza dell'animo e del pensiero, e riconsecrò a sacerdozio in Italia l'Arte, scaduta pur troppo, salve poche ec cezioni, a mestiere.

UN ITALIANO..

AL LETTORE

A chi paresse quest' edizione diversa in tutto dall'una disegnata da me in un manifesto fatto pub blico sul principio dell' anno 1824-troverà qui alcune ragioni che m'indussero anzi a indugiare che a mutare il mio proposito; e insieme alcuni avvertimenti si ch'egli ed altri possano giovarsi di questi volumi.

Da che l'autore si tolse per soggetto della Commedia il secolo suo, ed ei se ne fece protagonista, l'animo mio era che fosse preceduta da un volume col titolo: «Storia della vita, de' tempi e del poema di Dante. »

E perchè tanta dottrina in letteratura e scienze, della quale le opere di lui sono talvolta luminosissime, non poteva originare da ispirazione, io intendeva di corredare ciascheduna cantica di alcuni discorsi brevissimi ne' quali la storia, e la poesia s'illustrassero scambievolmente, non solo intorno agli avvenimenti dell' età media accennati da Dante, ma molto più intorno alle fonti antiche dalle quali il lume della filosofia de' Romani e de' Greci, tra

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