Dopo la Gelosia, Ascoltò la Follia, E momenti non brevi Ad amendue concesse, Perchè affari non lievi Suole affidare ad esse.
Torbido in viso e tetro Passava il Tradimento; Ma nel tornare indietro Parve lieto e contento; Entrò lo Sdegno ancora A favellar col Nume; E benchè ad esso ognora Avverso di costume, Pur gli si lesse in volto, Che avealo bene accolto.
Fu ammessa la Costanza Coll' Innocenza a lato, Ma usciron della stanza In aspetto turbato.
Avea già udito Amore Tutto l'accorso stuolo, E la Ragione solo Aspettava al di fuore: A lei per odio antico Il Capriccio nemico Aveva per dispetto D' annunciarla negletto; E allor che il Nume vide Dall' udienza stanco, V'è la Ragion pur anco, Dice: e fra se poi ride.
Quando quel nome ascolta, Pensoso abbassa i guardi, Poi dice Amore: è tardi, Che passi un' altra volta.
INNO PER LA LIBERAZIONE DELL' ITALIA.
Bella Italia, amate sponde, Pur vi torno a riveder.
Trema in petto e si confonde L'alma oppressa dal piacer. Tua bellezza, che di pianti Fonte amara ognor ti fu, Di stranieri e crudi amanti T' avea posta in servitù. Ma bugiarda e mal sicura La speranza fia de' re. Il giardino di natura No pei barbari non è. Bonaparte al tuo periglio Dal mar libico volò,
Vide il pianto del tuo ciglio, E il suo fulmine impugnò. Tremar l' Alpi e stupefatte Suoni umani replicar,
E l'eterne nevi intatte D' armi e armati fiammeggiar.
Del baleno al par veloce
Scese il Forte, e non s' udì; Chè men ratto il vol, la voce Della Fama lo seguì.
D' ostil sangue i vasti campi Di Marengo intiepidir,
E de' bronzi ai tuoni, ai lampi L' onde attonite fuggir.
Di Marengo la pianura Al nemico tomba diè. Il giardino di natura No pei barbari non è. Bella Italia, amate sponde, Pur vi torno a riveder. Trema in petto e si confonde L'alma oppressa dal piacer.
Volgi l'onda al mar spedita, O de' fiumi algoso re;
Dinne all' Adria, che finita La gran lite, ancor non è! Di', che l'asta il Franco Marte Ancor fissa al suol non ha; Di', che dove è Bonaparte, Sta vittoria e libertà, Libertà, principio e fonte
Che il piè in terra, in ciel la fronte, Sei del mondo il primo amor. Questo lauro al crin circonda: Virtù patria lo nutrì,
E Desaix la sacra fronda Del suo sangue colorì. Su quel lauro in chiome sparte Pianse Francia e palpitò Non lo pianse Bonaparte, Ma invidiollo e sospirò. Ombra illustre, ti conforti
Quell' invidia e quel sospir; Visse assai, chi 'l duol de' forti Meritò nel suo morir.
Ve' sull' Alpi doloroso
Della patria il santo amor Alle membra dar riposo, Che fur velo al tuo gran cor.
L'ali il tempo riverenti
Al tuo piede abbasserà; Fremeran procelle e venti, E la tomba tua starà, Per la Cozia orrenda valle, Usa i nembi a calpestar, Torva l'ombra d' Anniballe Verrà teco a ragionar.
Chiederà di quell' ardito,
Che secondo l' Alpe aprì. Tu gli mostra il varco a dito, E rispondi al fier così: Di prontezza e di coraggio Te quel grande superò; Afro, cedi al suo paraggio: Tu scendesti, ed ei volò. Tu dell' itale contrade Abborrito destruttor; Ei le torna in libertade, E ne porta seco il cor.
Di civili eterne risse
Tu a Cartago rea cagion: Ei placolle e le sconfisse Col sorriso e col perdon. Che più chiedi? Tu ruina,
Ei salvezza al patrio suol. Afro, cedi e il ciglio inchina; Muore ogni astro in faccia al sol.
Finchè l' età n' invita, Cerchiamo di goder! L' aprile del piacer Passa e non torna. Grave divien la vita,
Se non ne cogli il fior. Di fresche rose Amor Solo s' adorna.
A che vantar, mia cara, Del cor la libertà? Cotante vanità, Ben mio, disdice.
I nostri cori a gara
Lasciamo delirar!
Chi sa fervente amar 9 Solo è felice.
Fonte d' affanni e pianti Si grida Amor, lo so; Tu non pensarlo, no, Sgombra il sospetto. Per due fedeli amanti Tutto, tutto è gioir; Nè destasi un sospir Senza diletto.
Più sei bella, più devi Ad amor voti e fè. Della beltade egli è Questo il tributo. Amiam, che i dì son brevi: Un giorno senza amor È giorno di dolor, Giorno perduto.
SONETTI,
Sulla Morte di Giuda.
Gittò l'infame prezzo, e disperato L'albero ascese il venditor di Cristo; Strinse il laccio, e col corpo abbandonato Dall' irto ramo penzolar fu visto. Cigolava lo spirito serrato
Dentro la strozza in suon rabbioso e tristo, E Gesù bestemmiava e il suo peccato, Ch' empia l' Averno di cotanto acquisto. Sboccò dal varco al fin con un ruggito.
Allor Giustizia l' afferrò, e sul monte Nel sangue di Gesù tingendo il dito, Scrisse con quello al maladetto in fronte Sentenza d' immortal pianto infinito, E lo piombò sdegnosa in Acheronte.
Piombò quell' alma all' infernal riviera, E si fe' gran tremuoto in quel momento. Balzava il monte, ed ondeggiava al vento La salma in alto strangolata e nera. Gli angeli dal Calvario in su la sera Partendo a volo taciturno e lento, La videro da lunge, e per spavento Si fèr dell' ale agli occhi una visiera. I demoni frattanto all' aer tetro
Calar l' appeso, e l' infocate spalle All' esecrato incarco eran feretro. Così ululando e bestemmiando, il calle Preser di Stige, e al vagabondo spetro Resero il corpo nella morta valle.
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