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medesimo cosi intrigato da non sapere come levarne le mani e poichè il testo non era pasto da dotti ma da

« PISTOLA.

«Che diranno costoro i quali s'affibian la giornea da ch'io ho coz› zato nel Burchiello? Oh quanti letteruti mi tormentaranno col bocciar> mi e volere intendere dove l'ha egli cavato questo commento? Ai quali > io dirò così: essendo una volta inalberato il senno m'invillupò il ghi› ribizzo nella fantasia; e mi pareva esser a un medesimo tempo savio, > pazzo, dotto, ignorante, eccetera: ultimo; le girelle stracorsono infino > in Parnaso credendovi trovare quel cavallo bardato, quella fonte, e quel> l'atre chiacchiere: e che la fosse vera o no, io mi trovai in una selva > scura che la dritta via era smarrita; dove era un gabbione grande, › grande, o simil cosa. Ed aggirandomi intorno a questa gabbia, diman› dai: che è questo? Una stiata di pazzi mi fu risposto e consi» deratoli bene ci raffigurai molta genia. Eranvi molti padiglioni e assai > trabacche nelle quali per ordine stavano l'arti: una temperava penne, » l'altra faceva inchiostro, e tale formava fogli. Riconobbi molti poeti che › a uso di cingani in quelle tende si posavano. Cosi aggiratomi intorno as> sai non ci fu ordine a passare per allora nè tempo d'entrare in quella gabbia » (benchè io viddi il mio luogo a ordine, che m'aspettava): quando io > venni cercando, egli erano certi poeti ingabbiati per pazzi solenni; e in › fra gli altri fatappi io viddi il Burchiello da molti forbottato, che gli > dicevano: oh tu facesti i bei frinfri! oh che goffi griccioli! alcuni, tirando > il cordovano, dicevano: i tuoi sonetti sono ermafroditi, o pazzo umorc, Ciotto › diceva, oh ve' fusto da far versi! Tingolo bravava passeggiando per quella > selva: e diceva: Burchiello Barchiello, tu te ne vai rigonfio come un quarte>rone, poeta posticcio! tu non lo credi? Il Lapino, che era in compa› gnia di Tingolo, to cominciò a piluccare col dire: ogomagogo, non son > così paffuti i tuoi sonetti come tu credi; favella con esso meco e non > ti mettere in dozzina con i prosanti, che non se n'intendono io ti farò » ben rannicchiare, taccola, spippola, grimo, e forche; bene sta' pure in> cotesta gabbia! Poi da un monte di giustizie di altri poeti gli fu scoc>colato nel capo, tavernieri, strabocchevole, busbaccone, ciabattino, ten» tennone, cacastecchi; e di gran villanie gli fu detto. Pure, come vuol la > sorte, v'era un certo Quanqua, che prese a diguazzare per il Burchiello, > e disse: che dite? voi state troppo schizzinosi, voi avete fatto una fra‣ stagliata di parole che avrebbe asciugato l'umore di quale arfasatto poe> teggi. Voi vi tenete bene per savi. Quante volte avete voi mentito con

cervelli balzani, ci dice d'aver fatto il commento con le più strane novelle, con le più bizzarre fantasie, con i più

» le vostre poesie, che non sono altro che lusinghe donate a gli orecchi >> fitti ne' capi balordi e sciocchi? è ella altro cotesta vóstra arte (da che » n'andate tanto altieri) che fabbrica di bugie, sfacciatezza e ardimento >> d'ubriachi? avete voi mai detto se non ladrerie? come dire il figliare » di Venere, il castar di Cielo, la zana di Giove, la gabbia di Saturno, i >> sudori di Latona, il dar fuoco di Semele, e infino raggh,ato i due sessi » di Becco? poi sono infinite le girandole che voi avete cicalato delle fa» tiche d'Ercole, della zuffa di Nettuno e del Sole, d' un uomo con cento >> occhi e una donna trasfigurata in vacca, e tante frappe di satiri, sirene, > centuari, e il mal che vi venga. Infin di cielo avete fatto venire, o dato » a credere (per dir meglio) che sian venuti in terra gli Dei a intricarsi » di prigioni, di guerre, di lussurie, di ruffianamenti, con bestie, con uo>> mini; e tante altre cose infami e disoneste. Voi siate i rigogliosi, i pa>> sticciani, i materozzoli, i lecconi, gli svenevoli, che inconocchiate su o> gni cosa: in non vi crederei un iota, stucchevoli, sgangherati, babbioni » scipiti, cianfrusaglia; che avete in fino sfardellato la stiatta de' vapori > farnetichevoli, smilzi, intricati, e stippole. In fine questa malvagità di » mentire è troppo in su. E non è giovato che i Romani la tenessino per » disonore, nè che gl' Ateniesi facessino pagare Omero: e a chi non è > noto questa arte esser fuggita da tutti i dotti? quanti di voi lodavano » gli uomini per danari, quanti per forza, e quanti n'avete cantati men» tendo di cosa in cosa? non vedete voi che voi sete posti fra quei due >> due fiumi uno di vino per ubbrjacarvi e l'altro d'acqua per annegarvi? » poi dite l'è nettare l'è ambrosia. Però Platone vi chiamò veri poeti >> quando eri ubbriachi: vino d'errore, cibo da diavolo, dicono i dottori: » che l'è questa vostra cicaleria da voi poesia chiamata? Vedutosi ser» Burchiello alquanto riscosso, si ribeecò e disse: i miei sonetti sono mi» gliori delle vostre composizioni, ser niente. Forse che i cacciapassere >> mi snocciolano a tutto pasto e mi sgranano i miei sonetti, come a voi >> altri filosofanti, che studiazzate accorruomo? Cosi cominciarono a co>>mentar de' sonetti è disputargli insieme: di tutti quelli burchielleschi >> ch' io sentii esporre io li scriverò, e perdoneretemi se io non mi ricor» dassi ben bene di ogni cosa. Accetti la Signoria Vostra questo che, » gli dedico per segno della riverenza ch' io le porto, offerendomi a darne » fuori un altro, se questo non contenta l'animo suo.

strani vocaboli e le maggiori invenzioni che mai si vedessero, confidandosi di riuscire meglio degli altri (i com

« COMENTO.

<< Maestro Burchiello, poeta salvatico, fu si stitico ne' suoi capricciacci > che non è stato mai giornea alcuno che abbia voluto affibbiargli un › commento addosso, o dargli il becco a postillarlo; ed ecci stato le doz› zine a scommettere (esaminare chiosare) i Pulci, a sgangherare i Mor› ganti. Benedetto sia il Bernia, che ci mise lo stile! ma il Collegio di » Parnaso veduto il suo ardire, lo fece citare; ed egli, credendosi cavare › qualche bella allegoria, distese le gambe ed andò di lungo, nè mai più > c'è tornato a finirlo. Io, che ho mezzo lega con le sue albagie, più > volte mi sono fitto a leggere questi sonetti pazzi; e, cavandone poco u» tile, cento volte l'ho gettato in terra: ma, tratto dalla curiosità delle > sue fanfalucole, mi conflccai quelle copie di cruscate nel capo; e rime> stato assai buffonerie, berte, burle, e baie, misi pur alla fine qualche ›ciarpa insieme, tanto che io ho fatto una corpacciata di chiacchiere, e » non sono restato per questo che io non abbi dimandato qualche vecchio › cacafretta e di questi attempati saccentoni: che ne dite? Ultimamente, › da loro non cavai mai altro che capogiri, castelli in aria, arzigogoli, e baruffe; le loro sposizioni mi riuscivano poi cianfrusaglie. Nè mai potei » trovare alcun nebbione che non avesse nel nodo: tutti dicevano certe » cose sventate, svenevoli, e grime, da intricare ogni addottorato maz› zagattone. Orsu; da che io vidi che non sapevano del dottrinaio altro che zaffata di tottamelle, io misi a saccomanno tutta la bottega del > Barbieri: e sgominatogli la cassa degli scartabegli, quando uno e quando » un altro a cicalarvi sopra incominciai. Poi m'è venuto fantasia trarli > nelle man de' popoli e ficcarli nella bocca della plebe: acciocchè, a> vendo trapelato in non mulla mene sia dato una pesta; e toccando quando › una zimbellata da questo zugo caldo e quando una frugata da quell' in› freddato, si trovi alla fine qualche rampollo da succiare benchè io credo che gl'avesse (il Burchiello) più dello scioperone che del poeta: e quando › noi avremo fatto, rimestato, questi vapori, la sarà borra e scialacquata › di parole. Ora, per spremere dargli le tara, ho trovato molti testi di» versi, rimescolati, e scompigliati, si ne' principii come ne' mezzi e nella > fine. Ecci chi comincia: « Il dispota di quinto »; alcuni « La poesia › combatte col rasoio »; ma uno n'ho acchiappato boriosamente scritto, » più antito che 'l Tanfura, che principia « La gloriosa fama de' cen> ciotti», e presi questo a tenere a sidacato e metterlo per capo: e dico > così che 'l poeta, come testericcio, per imitare tutti gli altri che hanno

mentatori da lui inventati), avendo sentito, come finge fantasticamente, su queste rime le dispute di certi poeti in Parnaso, e perchè egli ha mezzo lega con le albagie del Burchiello. Dopo le quali confessioni dell'autore, parrà a tutti verissimo quel che fu detto; che cioê questo non è il commento delle rime del Burchiello, ma il commento del Doni rimato dal Burchiello (1). Più tardi (lasciando d'altri commentatori per incidenza (2)) a commentare il nostro barbiere pare avesse l'animo anche il Salvini (3); poi, accorgendosi forse che troppi sarebbero stati i sonetti da' quali niente sarebbesi cavato (4), non ne fece altro, contentandosi d'illustrarne alcuni pochi in vari discorsi

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>> cicalato, facesse ancor egli invocazione, come colui che voleva entrare » col suo cervel balzano nella camera delle Muse, e drizzò il suo stile alto >> ai gran concetti e non diede di ceffo in armi ne in amori, ma disse

« La gloriosa fama de' cenciotti

«Che Minarva cantò con dolci versi

« Sendo gli Svevi spiriti perversi

<< Dal malvagio pitone morti rotti.... »

«Non ve ne mando più perchè mi par fatica il trascrivere. Poi son » certo che se voi non sete in barca per partire tosto vi disporrete: e » con questa speranza vivo e mi raccomando ».

(1) Lettere Facete raccolte da Francesco Turchi (Venezia, 1601), Lett. 157, pag. 389.

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(2) Qualche sonetto, o qualche passo di sonetto, del Burchiello è spiegato da coloro che scrissero di lui; il Manni (Veglie Piacevol., vol. I Firenze, 1815), il Minucci (Le Merende di Burchiello etc. - Firenze 1869): e qui vuolsi ricordare nuovamente il più moderno commentatore di proposito, il Vallecchi (Sonetti del Burchiello emendati sopra i mss. etc. Firenze 1834), che credette averne illustrati trentasei.

(3) « Chi lo crederebbe che dopo la lettura de' libri che passano per la maggiore, come sarebbe, per esempio, Omero, e' mi piacesse il Burchiello? E pure e' mi piace si che presto presto ne compilerei un commento, non mica ridicolo alla maniera del Doni, ma serio, grave, massiccio. Salvini, Dis. Accad., II, 70.

(4) « Dura e malagevole impresa sarebbe, e da non ne venire mai a capo, il pretendere di sciorre i pazzi enimmi, i ridicoli gerghi, e le stra

all'Accademia degli Apatisti in Firenze (1), come dodici soli ne dichiarò e spiegò Giovannantonio Papini, parimente a Firenze, in altrettante lezioni fatte per festevole trattenimento degli Apatisti medesimi (2). Con diligenza pari alla dottrina i Salvini e il Papini si misero intorno al Burchiello: se non che muovendosi l'uno e l'altro dal concetto che in que' sonetti non fossero mai sole stranezze e bizzarrie, ma sotto quelle sempre un senso, un significato da scoprire e da spiegare, si condussero a far del barbiere fiorentino il poeta incomprensibile, misterioso, che lodano (massime il Papini) e magnificano ogni tratto. E poi i lor commenti non persuadono, e non chiariscono que' sonetti spiegati a volte diversamente nei passi medesimi (3); ma furono ad ambedue occasione, più che altro, di far mostra, ne' discorsi e nelle lezioni, della lor vasta erudizione in fatto di lingua: talchè noi oggi, apprezzando in questa parte tali fatiche, deploriamo che uomini di quel valore sciupassero la dottrina e l'ingegno nelle sterili prove

vaganti fantasie d'uno che accozzava e poesia e rasoio, che spesso aveano tra di loro aspre quistioni, come di sé medesimo racconta il piacevole nostro fantastico e bizzarro poeta di grottesche, Burchiello. Dato adunque per ora congedo ai sonetti ch'egli pare che ogni studio usato abbia perchè non fussero intesi, che non servirebbero ad altro che tormentare gl' ingegni e martirizzare i cervelli che sopra vi volessero farneticare per trarne, se possibil fosse, qualche costrutto, m' appiglio al primo sonetto dell' ultima parte delle sue rime, la quale è chiara e intelligibile; onde in tutta essa vi si riconosce l'ingenio del poeta, scoperto e vivo e brillante.. >> Salvini, Discorsi Accademici, II, 412.

(1) Discorsi Accademici di Anton Maria Salvini sopra alcuni dubbi proposti nell' Accademia degli Apatisti. Parte Seconda

1712)

(Firenze,

Vedi i Discorsi X, XX, XXIX, XLIII, LVI, LXXV. (2) Lezioni sopra il Burchiello di Giovannantonio Papini Accademico Fiorentino Firenze, 1733.

(3) Vedi la prima delle Lezioni del Papini sul Burchiello, e nella seconda parte dei Discorsi Accademici del Salvini il cinquantesimosesto.

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