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colui che pagava sul piede di dieci mille assi di capitali prestati, avrebbe continuato a pagare, in ragione di simile somma, in proprietà fondiaria in proprietà fondiaria, di cui il precedente proprietario delle terre cedute non avrebbe antecedente→ mente pagato nulla. Ecco donde procede che i patrizi che appaiono sempre come capitalisti, non sono punto gravati dal tributo (503), che è rappresentato come la vera contribuzione dei plebei (504).

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Presso i Romani i contratti ad interesse erano dei prestiti a condizione di pagamento del capitale in un termine fisso e senza dubbio, era allora l'anno di dieci mesi, come lo faranno vedere le nostre indagini in un altro luogo di questa storia. Gl'interessi non avevano limiti, e per conseguenza smoderati, la prima restrizione legale al dieci per cento fu un gran sollievo pei plebei, nè conviene meravigliarsi se si parla della moltiplicazione del capitale per l'accumulazione degli interessi come di una cosa ordinaria. Era d'uso di convertire il capitale scaduto e gl' interessi in un nuovo debito (versura) la di cui estinzione doveva in breve divenire assolutamente impossibile. Onde per avere un concetto della condizione dei debitori plebei, il lettore uso agli affari s' immagini la somma dei debiti particolari d' un paese trasformato in lettere di cambio pagabili all' anno col venti e più d'interesse per cento. E convien pure che presupponga che ad un sommario processo teneva dietro la prigionia non che l'aggiudicazione di tutta la fortuna del debitore al creditore quand' anche soverchiasse il debito. Rispetto le altre circostanze che sono fatte impossibili dai nostri costumi, come sarebbero l'asservimento personale del debitore e de' suoi figli, non è pur necessario di ricordarle per misurare tutto l'orrore della fortuna dei sciagurati plebei (506). La mi

seria era fatta ancora più colina dalle dispneste ingiustizie. I plebei costituivano tutta l' infanteria di linea, eppure gli si negava non solo d'aver parte alle terre conquistate, ma si privavano altresì del bottino che il soldato romano, doveva sempre rendere con giuramento di non occultar nulla, a meno che gli fosse stato abbandonato: bottino però che non si adoperava a favore dello stato, ma entrava nella cassa comune dei patrizi (507).

Nelle città marittime ove i capitali sparvero col commercio, nelle contrade piene d'industria, dove cessarono i lavori delle fabbriche, ci sono migliaia d' individui la di cui miseria ce ne potrebbe dare un'immagine. Immagine che ingannò Dionisio di modo che in tutto il comune sospinto alla ribellione, non ha veduto che cotesta moltitudine affamata a cui si sarebbero congiunti per gusto o per calcolo degli scioperati, dei libertini, dei vagabondi, pieni d' invidia è di seduzione (508). L' asseveranza con cui fu detto trasse in errore, e non s'è posto mente che T. Livio quantunque non favorevole ai plebei, e quantunque non avesse un concetto molto limpido degli ordini degli antichi tempi, non dice pure un sol motto, che ben compreso, abbia soltanto l' apparenza di confermare que

sta maniera di vedere.

Sarebbe stato malagevole ad un greco il non lasciarsi ingannare sopra tutto perchè la sua lingua, lungi d' essere così ricca, e così conformata sotto il rapporto del diritto pubblico come quella dei Romani, non aveva per populus e per plebs che la sola parola demos (509) il che ebbe già in Aristotile diversi sensi, e per democrazie intende la nazione, e l' insieme del popolo in opposizione ai reggitori, e per oligarchia, il comune, e poi, nel linguaggio corrente e volgare i necessitosi e le genti del comune.

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Forse in ciascuna città d'origine greca, o che si riputává tale non si conservò oligarchia al tempo d' Augusto e la democrazia era rara. I Romani avevano in generale introdotto la timocrazia dove l'assemblea generale dei cittadini a vero dire si chiamava demos. Ma oltre questo significato, e più propriamente ancora, si nominavano di questo nome gli abitanti che non adempiendo alle condizioni volute per essere ammesso agli onori del diritto di città, erano esclusi come minuto popolo dal consiglio e dai magistrati, così di diritto come lo erano di fatto. La plebe urbana tale come Dionisio la conobbe a Roma. all'ottavo secolo era senza contraddizione un demos di questo genere; era l' insieme di quelli che ricevevano le distribuzioni destinate alla capitale (510); la maggior parte semplici affrancati o cittadini imperfetti, gli onorevoli campagnuoli ed i municipali, n'erano affatto distinti (511). I cavalieri a molte migliaia erano ancora di più; in fine sopra tutto si trovava la nobiltà confusa con quello che rimaneva ancora di patrizio. Dionisio sapeva bene che sotto il rapporto del diritto pubblico tutte queste classi erano plebee; cioè tutta la nazione romana fuori delle cinquanta case patrizie che s'erano conservate (512) e le famiglie patrizie novellamente create da Cesare e d' Augusto. Nè vi è chi dubita che nei libri seguenti non annoverasse più nel basso popolo i principali plebei, cominciando dall' istante in cui poterono ottenere il consolato. Ma come ha potuto obbliare che in alcune pagine più sopra avea raccontato che Valerio avea inscritto fra i cavalieri quattrocento plebei in grazia delle loro ricchezze (513)? S' indovina agevolmente che era preoccupato dal pensiero dell' ordine di mezzo di cavalieri che s'era intromesse fra il senato ed il popolo ma questo pensiero si sarebbe dileguato se l'avesse voluto ponderare.

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Se uno straniero udisse parlare della miseria dei campagnuoli Irlandesi se intendesse che per un affitto rovinoso coltiva la terra proprietà de' suoi avi, e che divenne il cliente senza protezione e senza sussidio di patroni avari indifferenti; uno straniero che per questa ragione avesse per mendicanti tutti i cattolici Irlandesi, si meravigliarebbe assai se gli si dicesse che pretendono di partecipare alle prime dignità dello stato ed all' eligibilità alla camera dei comuni, mentre questa elegibilità presuppone in di ritto ed in fatto una notabile fortuna in fondi. E se non gli si facesse intendere che il povero campagnuolo non è che una parte di tutta questa classe che comprende altresì l'alta nobiltà ed un ordine di mezzo, non saprebbe trarsi da questo viluppo come non seppe farlo Dionisio. Ma quando s'intende a dovere, il corpo dei cattolici d' Irlanda fornisce in complesso un esempio perfetto della condizione dei plebei; giacchè com' essi formano un comune; la disperazione dei poveri è l'arma più potente dei loro capi, le di cui querele sarebbero indifferenti ai primi se le leggi non li congiungessero in un sol corpo. Se non che corre un' immensa differenza in questo che in Irlanda i milioni d' individui che sono pronti a sacrificar la loro vita per le pretese dei loro capi non vedranno mai quand' anche avessero felice fortuna adempirsi pur una delle vaghe speranze che concepirono di tempi migliori; mentre i plebei cercarono un rimedio preciso alla lor propria miseria. Se, dopo tre generazioni, l' Inghilterra avesse conferito individualmente la pienezza dei diritti di cittadinanza, avrebbe disarmato i cattolici e separate le classi più alte dalle moltitudini e dai preti che le fanno movere. A Roma il medesimo sistema non avrebbe bastato per impedire che la miseria non corresse alla violenza,

giacchè il povero si prometteva la liberazione dei debiti e qualche terra di proprietà.

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Quando un errore è radicato da secoli non può essere superfluo per fondare la verità il riferire più d' un pio preciso. Costituita dall' ammissione dei borghesi e di intiere comunità, la plebs dei romani si poteva paragonare ai sudditi valdesi di Berna; quivi l'antica nobiltà borghignona si trovava rispetto al sovrano sulla medesima linea delle città e dei campagnuoli. Colui che si è addomesticato coll' istoria di Firenze s'immagini che la repubblica abbia riunito in una comunità gli abitanti di tutto il distretto. I conti Guidi ed i signori Cattanei (514) del Mugello non sarebbero stati secondo il diritto pubblico rispetto al governo sopra di un membro delle case di Pistoja o di Prato e neppur sopra ai borghesi od ai campagnuoli di Valdarno; ciò che non torrebbe che anche secondo le idee nobilesche di cotestoro, non fossero gli eguali degli Uberti o di ogni altra casa delle orgogliosissime della città dominante e che non fossero forse qualche cosa di più che loro pari. Nell'istesso modo che negli ultimi tempi si videro i Mamilj che volevano discendere dal ceppo di Ulisse e di Circe, essere accolti fra i cittadini plebei, non può essere dubbio che le famiglie di cavalieri plebei dei primi tempi non fossero la nobiltà del distretto, e che i primi capi della plebe i Licinii e gli Icilj anche per quello che concerne la nobiltà non fossero del medesimo grado dei Quinzj e dei Postumj.

Nulla di meno non era lo splendore gittato dal picciolo numero di queste famiglie che faceva così riputata la casta plebea; era il suo carattere fondamentale di comunità di agricoltori carattere marcato dal diritto dei Quiriti di loro proprietà. Gli antichi avevano unanimamente l'agricoltura

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