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Scisma e scandalo intende qui Dante in senso e religioso e morale e civile; triade inseparabile nella sua mente, come è nella vita: e chi commentando divide le tre specie di verità, impiccolisce l'ingegno di Dante ed il verso, e gli lacera l'anima con tormento d'inferno. I nomi in questo Canto rammentati sono d'uomini appunto che non solo religiosamente ma civilmente divisero la patria loro, Maometto, Ali, Fra Dolcino: poi vengono i motori o consiglieri di discordie tra popoli e tra principi, ma in maniera che ne segua guerra di nazione.

Scisma aveva agli antichi Italiani, così come nell'origine greca, significato comune a ogni separazione violenta. Nel senso religioso, scismatici sono coloro che deliberatamente si separarono dalla Chiesa, la quale è unione di ciascuno de' membri con ciascuno e con tutti, e di tutti col capo che è Cristo, è per tali giunture cresce in augumento divino (1). L'eresia, dice Girolamo, s'oppone più direllamente alla fede, e lo scisma alla carità (2): or per la carità è veramente una la Chiesa; e chi tale vincolo scioglie o allenta, fa principio di scisma, per pio uomo che paia, e sebbene lo faccia a titolo di pietà. Tommaso (3) per dimostrare la gravità della colpa, in quanto è sociale, reca l'autorità d'Aristotile, alla quale anco Dante avrà avuta la mira: il bene della moltitudine è più grande e più divino che il bene d'un solo (4).

Scandalo, dice Girolamo (5), è detto o fatto non relto che porge occasione a ruina. Comprende dun

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que ogni occasione di male; comprende, come dice l'origine del vocabolo, e ostacolo e intoppo e caduta; dacchè nella via dello spirito anco l'arrestarsi o l'allentare il corso è una specie di caduta, od almeno la vien preparando collo scemare le forze del volere e dell'abitudine retta. Varii dunque i gradi dello scandalo, secondo che più o meno è l'intoppo, più o meno grave la ruina, o il pe ricolo o l'occasione di quella. E ben dice lo scandalo occasione, non causa, perchè la causa è nella volontà di ciascuno (1); onde l'arrestatosi in sulla via od il caduto, non è dallo scandalo altrui scusato in tutto della colpa propria; e il suo arrestarsi o cadere denota animo malfermo e malamente docile. Nota sapientemente Tommaso che il farsi occasione altrui di male offende la carità; nel che la colpa dello scandalo tien dello scisma, e sono colpe sociali ambedue. Offende, dico, la carità, in quanto denota dispregio della dignità dell'anima altrui; e da questo dispregio è misurata l'intrinseca gravità della colpa; ond'ella può esser grave anche quando il male cagionato, o che si risichi di cagionare, per sè sia leggiero. C'è scandalo anco quando non ci sia intenzione di sedurre deliberata, ma semplice noncuranza del giovare quanto si dovrebbe e potrebbe; e c'è scandalo anche quando effetto di male non segua, anche quando l'esempio o il consiglio non sia propriamente di male, ma n'abbia sembianza. Questo difetto si oppone non solo alla correzione fraterna, come la Somma dice, ma ad ogni dimostrazione di bene che possa al bene i fratelli eccitare. Onde

(1) Som., 2, 2, 45.

il pure sconsigliare altrui dalle cose belle e generose, gli è un rendersi scandaloso; e però Cristo a Pietro che tentava stornarlo dal patire per gli uomini, dice: tu mi se' scandalo (4). E notisi fin nell'origini delle voci l'affinità delle idee di scandalo e tentazione; che questa ritiene (2) dalle buone operazioni o pensieri, quello oppone nella via del bene ostacoli che sorgono a ritenere, e di più, inciampi che cagionino la caduta. Ma siccome la tentazione è inevitabile da qualunque parte, ed è data all' uomo per prova, cosi è necessario che avvengano scandali (3) per provare i buoni, e perchè, posto il male, inevitabili ne sono certi effetti, che poi diventano e pene e correzione di quello.

Ma l'alto pensatore, che dalle obbiezioni che viene muovendo spesso trae luce a rischiarare da tutti i lati la verità, sì che, giunto alla fine di ciascun breve articolo, il lettore si trova avere la questione svolta in tutti gli aspetti, e le apparenti contrarietà conciliate, e avere nel pensiero un germe d'un ampio e intero trattato, Tommaso, soggiunge che lo sdegno generoso del male non è scandalo, ma merito e occasione di merito; afferma con Girolamo che chi si scandalizza è pusillo, che i maggiori non patiscono dello scandalo (4); da ultimo insegna che gli esempii del bene difficile e nuovo, quand'anco turbino i flacchi di mente e di cuore, non sono da reputare però scandalosi (5).

Altra sentenza di temperanza sapiente si è quella dove, della discordia ragionando, dice: la volontà dell'uomo contraria a Dio è una regola perversa dalla quale è buono discordare. Dunque il togliere la concordia nel bene è grave colpa: ma cagionare discordia per la qual tolgasi la concordia nel male é lodevole cosa (6).

Altra sentenza fecondissima e di pensieri e d'atti virtuosi e di civili utilità, è la seguente: la concordia è effetto di carità, è l'unione de'voleri, non delle opinioni. Perchè, guai se gli uomini per andare d'accordo aspettassero d'avere opinioni conformi in tutte le cose ed in ciascheduna. Discordia, segue, è figlia di superbia; e per essa l'uomo prepone le cose proprie alle altrui; e per attaccarsi a quelle, dagli altri s'allontana. Così, discordia che è divisione di voleri, divide anco esteriormente gli uomini; e però viene nell' Inferno di Dante punita con la divisione e laceramento e mutilazione delle membra.

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(1) Matth., XVI, .—(2) Tento da teneo. - (3) Matth., XVIII, 7. - (4) Hier. in Matth., XVIII. Ps. CXVIII, 163. Parx multa diligentibus legem tuam, et non est illis scandalum. (5) Somma, 1. c. Non dispone di per sè a spirituale ruina se non cosa a cui manca reltitudine. Perchè ciò che è in sè perfettamente retto munisce l'uomo contro la caduta, anzichè indurlo a ruina.. (6) Som., 1, 2, 39; e reca l' esempio di Paolo che mette alle prese Sadducei con Farisei, perchè questo giovava a ben più alti suoi fini.

Quest'è la forma del divino giudizio che, secondo che un fece, patisca (1). Nel giudizio che giudicherete sarete giudicati; e con la misura che misurerete, misurati anche voi (2). La norma del taglione era più materialmente adattata nella legge vecchia : vita per vita, occhio per occhio (3). Non però si che a certa proporzione spirituale non s'avesse riguardo; siccome quando è ordinato che quattro pecore sien rese per una rubata, e per un bove cinque bovi (4), perchè il furto maggiore, avendo in sè maggior tentazione e pericolo, merita maggiore pena. Ma nella legge cristiana il contrappasso è più spiritual cosa del taglione; e Tommaso distingue la giustizia commutativa che comporta certa parità, dalla distributiva in cui s'ha più l'occhio alla proporzione (5). Di qui l'alta sentenza che nobilita e tempera la legge umana, e dimostra quant'ella sia da se insufficiente senza le norme dell'intima coscienza: Le circostanze variano in modo incomputabile la varietà del peccato e fanno maggiore il minore, e a vicenda (6).

Anche Isidoro (7) nota l'affinità tra le idee di scisma e scissura; e lo scindere delle vesti in antico era simbolo appunto di scisma (8). E la spada con cui Dante divide coloro che dividono uomini e popoli accenna tra le altre imagini a quella dell'Apostolo: Percuotendo la coscienza de' fratelli inferma, peccate contra Cristo (9). Dante altrove degli eretici dice: Che furon come spade alle Scritture In render torti li diritti volti (10). Prov.,XXII, 5: Arma, et gladii in via perversi. Psal. LVI, 4: Lingua eorum gladius acutus. Eccle., XXVI 27. Qui transgreditur a justitia ad peccatum, Deus paravit eum ad romphæam (11). Daniele: L'angelo del Signore... ti scinderà per mezzo... Rimane l'Angelo del Signore avente una spada da tagliarti a mezzo (12). Ezechiele Manderò saetle di fame pessime contro loro;... e bestie pessime infino allo struggimento. E pestilenza e sangue passeranno per le; e menerò sopra te la spada (13).

Secondo la misura del misfatto sarà e il modo delle piaghe (14). Cosi Dante fa questi dannati più o meno spaccati o recisi o monchi, secondo che più o meno fecero essi della concordia strazio. Maometto è rotto dal capo al sedere, come botte a cui manca doga o fondo, e mostra le interiora e se le squarcia, perch' egli divise il corpo morale e politico della nazione sua con indigestę dottrine convertite in materia di corruzione. I lacerati se

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ne vanno dolorando, e per via le ferite gli si richiudono, per essere di nuovo al medesimo passo dalla spada del diavolo riaperte: che rammenta quel di Virgilio (1): Immortale jecur tundens, fœcundaque pænis Viscera... nec fibris requies datur ulla renatis.

I Proverbii (2): Sex sunt quæ odit Dominus, et septimum detestatur anima ejus. Oculos sublimes, linguam mendacem, manus effundentes innoxium sanguinem, cor machinans cogitationes pessimas, pedes veloces ad currendum in malum, proferentem mendacia, testem fallacem, et eum qui seminat inter fratres discordias. Il Poeta ebbe in pensiero queste parole costruendo l'Inferno. Le mani pronte al sangue troveremo anche in questo Canto co' seminatori di scandali; i mentitori ei testimoni falsi nel seguente; i pensieri di triste machinazioni sono nel XXVI. Anco Virgilio nell'Inferno suo mette: quique arma secuti împia (3): e Dante tra costoro rincontra, oltre a' parteggiatori di repubblica, i tristi consiglieri dei re: Homo perversus suscitat lites, et verbosus separat principes (4). Bertrando del Bornio, che parti padre da figliuolo, porta in mano la propria testa, uno in due e lucerna di sè a sé stesso, e la leva in alto per far meglio intendere le parole. S. Agostino, nota il Lombardi, dimostra l'abilità dell' anima ad informare corpi separati, con l'esperienza de' polipi. In un dipinto senese un santo ristretto in un canto si che non ci cape tutta la persona, prende in mano la sua testa e la sporge per meglio vedere il fatto suo. In una leggenda bretone: Vi taglieranno la testa, e vivrete: se la getteranno i demonii l'un l'altro, e vivrete. In un'altra del popolo stesso santa Trifina condannata a morte, esclama: Il di del giudizio i'mi presenterò a Gesù Cristo con in mano il mio capo, ed egli lo farà vedere a' miei condannatori e saranno maledetti.

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Curione consigliatore a Cesare della guerra civile. e dopo tradotto il verso di Lucano: Tolle moras: semper nocuit differre paratis (1), egli, Dante, ridice questo verso ad Arrigo imperatore per moverlo contro Firenze sua patria. E veramente tra il caso di Curione e quel di Dante era trista conformità: Sed postquam leges bello siluêre coactæ, Pellimur e patriis laribus, patimurque volentes Exilium: tua nos faciet victoria cives (2). Se non che forse Dante, il qual non pativa volontario esilio, non avrà riguardata la sua come guerra civile, anzi come la fine delle guerre civili, incurabili, al suo parere, altrimenti. Non è però da dissimulare che siccome un senso d'equità gli fece dannare l'istigatore di quel Cesare, del resto già ad bellum prono, il cui impero il Poeta stimava onore e salute d'Italia; così poi la passione irritata, e scusante sé stessa con, Dio sa, quanti pretesti, e fors' anco la smania erudita di citare un verso d'antico e mescolare sciaguratamente la letteratura con la diplomazia, lo tentò a fare abuso della memoria in si scandalosa maniera.

Nota in questo Canto, segnatamente nel principio, i costrutti lunghi e involuti, che ritraggono la qualità e della colpa e della pena dipinta. Poi, quante memorie in esso! D'antichi, Turno, Annibale, Maometto e Ali, Curione, Achitofello: moderni, la rotta di Manfredi, la rotta di Corradino, Fra Dolcino, Pietro Cattani, il Mosca, Bertrando; gli scismi religiosi e politici, Firenze e la Romagna e il regno di Napoli, il Piemonte e l'Inghilterra e la Francia, e l'Oriente, e le divisioni degl'imperi e de' regni e delle repubbliche; e cit tadini e principi e cortigiani e frati; e un de' suoi conoscenti e un suo congiunto, e uno degli uomini da lui ammirati e posto fra' tre fondatori della moderna poesia, là nel Volgare Eloquio dove egli, Dante, nomina sẻ cantore della rettitudine, Cino dell'amore, Bertrando dell'armi. Questa varietà di memorie aggiunge alla fantasia penne e vita, fa la poesia veramente europea. Questa equità di biasimare gli amati è, specialmente a' di nostri, esemplare. Chè gli uomini voglionsi tutti d'un colore e d'un pezzo, o vermi, o Dei.

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CANTO XXIX.

Argomento.

Tra' seminatori di scandali trova un congiunto di sangue: poi viene alla decima bolgia, dove sono punili í falsificatori d'ogni genere, con felide piaghe, marciume, scabbia: perchè, dice Pietro, ogni falsila procede ab anxietate corrupti intellectus, ut ægritudo corporalis a corrupto humore corporeo. Tre falsità distingue; in cose, in alli, in parole. Della prima son rei i falsarii di metalli e moneta, come Griffolino & Capocchio; della seconda chi contraffece sè stesso, come Gianni Schicchi e Mirra; della terza i menzogneri e calunniatori, come la moglie di Putifarre e Sinone.

Nola le terzine 1, 5; 6 alla 12; 15, 16, 17, 20; 22 alla 26; 28, 29, 35, 41, 42, 43, 46.

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(SL) MOLTA. La nona bolgia è più gremita delle altre. 'NNEBBRIATE, Frase dell' uso vivente toscano. (F) 'NnebbRIATE. Ezech, XXIII, 55: D'ebrietà e dolore sarai ripiena, Isai., XXXIV, 7: S'inebrierà la terra del sangue loro. Dante, Rime: Ebrietà del gran timore. Piange e a' tormenti, e alla cagione di quelli, le discordie civili, delle quali anch'egli fu vittima.

2 (L) GUATE?: badi tu a guatare? - SOFFOLGE: ferma. (SL) SOFFOLGE. Lat.: hæret. La vista fermandosi nell'oggetto, pare che in esso s' appoggi. Inf., XXVIII, t. 10. - Par., XXIII, t. 44 : Ubertà che si soffolce in quelLarche. L'usa l'Ariosto (XIV, 50; XXVII, 84). - TRISTE. Eo., V: Impia... Tartara... tristesque umbræ. 3. (L) Si: così. - LE ombre.

4. (L) Poco fino a sera.

(SL) TEMPO. Æn., VI: Et fors omne datum traheren! per talia tempus; Sed comes admonuit breviterque affata Sibylla est: Nox ruit, Enea: nos flendo ducimus horus.

(F) GIA. Ne' plenilunii, la luna a sera è sull'orizzonte, a mezzanotte nello zenit, il mezzodi seguente al nadir, cioè per l'appunto sotto i piedi di chi è posto nel mezzo della terra. Ha già detto che la notte precedente la luna era tonda (Inf., XX): dunque sei ore lontano

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10. Tu eri allor si del tutto impedito Sovra colui che già tenne Altaforte, Che non guardasti in là si fu partito. 11. O duca mio, la violenta morte,

Che non gli è vendicata ancor (diss' io) Per alcun che dell'onta sia consorte, 12. Fece lui disdegnoso: onde sen gio

Senza parlarmi, sì com' ïo stimo;

Ed in ciò m'ha e' fatto a sè più pio. 13. Così parlammo insino al luogo primo,

Che dello scoglio l'altra valle mostra,
Se più lume vi fosse, tutto ad imo.

14. Quando noi fummo in su l'ultima chiostra Di Malebolge, sì che i suoi Conversi Potean parere alla veduta nostra;

15. Lamenti saettaron me diversi,

Che di pietà ferrati avean gli strali;
Ond' io gli orecchi con le man copersi.

16. Qual dolor fora se degli spedali

Di Valdichiana tra 'l luglio e 'l settembre, E di Maremma e di Sardigna i mali 17. Fossero in una fossa tutti insembre;

Tal era quivi: e tal puzzo n'usciva
Qual suole uscir delle marcite membre.

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(F) CHIOSTRA. Petr. Di bei colli ombrosa chiostra. Ma qui anco in senso di monastero; e conversi in senso di trasmutati e di frati. Allusione forse maligna. Purg., XXVI: Al Chiostro, Nel quale è Cristo abate... 15. (L) DI PIETÀ FERRATI AVEAN GLI STRALI: mettevan pietà.

(SL) STRALI. Più ardire e più squisitezza nella frase delle Rime: Guai Che di tristizia saettavan foco. Æn., VIII: Gravior ne nuntius aures Vulneret. Cino, più affettato: Saetta ferrata di piacere. Lucr., III: Telis per fixa pavoris. Par. II, t. 19: Strali d'ammirazione. Petr., 1, 203: Una saetta di pietade ha presa E quinci e quindi 'l cor punge ed assale. Petr., Trionfo della Castità: In fredda onestate erano estinti Li dorati suoi strali accesi in fiamma D'amorosa bellade e in piacer tinti. Ezech., V, 16: Le saette della fame. A' tempi guerrieri del Poeta, de' molti traslati eran tolti da imagini di guerra.

16. (L) TRA 'L LUGLIO E 'L SETTEMBRE... Mesi caldi e insalubri.

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18. Noi discendemmo in su l'ultima riva Del lungo scoglio, pur da man sinistra; E allor fu la mia vista più viva 19. Giù ver lo fondo, dove la ministra Dell'alto Sire, infallibil Giustizia, Punisce i falsator', che qui registra. 20. Non credo ch'a veder maggior tristizia Fosse in Egina il popol tutto infermo, Quando fu l'aer si pien di malizia 21. Che gli animali infino al picciol vermo Cascaron tutti (e poi le genti antiche, Secondo che i poeti hanno per fermo, 22. Si ristorår di seme di formiche);

Ch'era a veder per quella oscura valle Languir gli spirti per diverse biche. 23. Qual sovra 'l ventre, e qual sovra le spalle L'un dell'altro giacea; e qual carpone Si trasmutava per lo tristo calle. 24. Passo passo andavam senza sermone, Guardando e ascoltando gli ammalati Che non potean levar le lor persone. 25. Io vidi duo sedere a sẻ appoggiati, Come a scaldar s'appoggia tegghia a tegghia, Dal capo a' piè di schianze maculati. 26. E non vidi giammai menare stregghia A ragazzo aspettato dal signorso, Nè a colui che mal volentier vegghia, 27. Come ciascun menava spesso il morso Dell'unghie sovra sè, per la gran rabbia Del pizzicor che non ha più soccorso.

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onde

(SL) EGINA: Egina giacque con Giove Giunone mandò la peste nell' isola (Ov. Met., VII). — MALIZIA. Dell'aria, l' usa il Crescenzio. 21. (L) CASCARON morti. 22. (L) SI RISTORAR: rinacquero. - CH'ERA A VEDER maggior di quella ch' era. BICHE: mucchi. (SL) FORMICHE. Onde i popoli furon detti Mirmidoni. BICHE. Spiega quello del Canto IX delle rane alla terra ciascuna s’abbica; ed è spiegato dal fiorentino odierno che chiama bica un mucchio di sterco. Georg., III: Aggerat....... turpi dilapsa cadavera tabo... 23. (L) TRASMUTAVA: muoveva

(SL) TRASMUTAVA. L' ha il Boccaccio, e i Toscani tuttodi tramutarsi,

25. (L) A sÈ: uno all' altro. SCHIANZE crosta di piaghe.

TEGGHIA Teglia.

26. (L) STREGGHIA A RAGAZZO ASPETTATO DAL SIGNORSO, NE A COLUI CHE MAL VOLENTIER VEGGHIA, COME CIASCUN MENAVA SPESSO IL MORSO DELL' UNGHIE SOVRA SẺ: striglia a servo aspettato dal padron suo né a chi vuol ire presto a letto, con tanta furia quanto ciascun si grat

tava.

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(SL) SIGNORSO. I Napoletani: mogliema, pátreto. 27. (L) SOCCORSO: rimedio.

(SL) MORSO. Æn., XII: Fibula mordet.

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