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dall' esercito ogn' imbarazzo. Uccisi pertanto i muli e i giumenti, salvo que' tanti, che trasportavano il saettame e le macchine, cose avute da loro care per lo bisogno, che aver ne potrebbero, ma singolarmente perchè temevano, che a'Giudei non venissero in mano per proprio danno, spinse l'armata alla volta di Betoron. Ora i Giudei nel largo delle pianure li tormentavano meno; ma al ringorgare, che in qualche angusta discesa facevano, ecco i Giudei parte anticorsi impedirne loro l'uscita, parte sospignere verso il basso la retroguardia, mentre il grosso della lor gente allargatosi alla gola di quel passaggio copriva l'esercito di saette. Quivi se i fanti altresì non sapevano come riparar se medesimi molto peggiore era il rischio della cavalleria; conciossiachè saettati, com'erano, mal potevano in ordinanza proseguire il cammino, e l'andar contro a' nimici era loro impedito dall'erte scoscese. Dall' un lato poi e dall'altro ci aveva dirupamenti e burroni, onde lo sdrucciolare e il precipitarvi dentro era tuttuno; e però non avevano pronto nè luogo, dove fuggire, nè modo, come difendersi: ma per la mancanza di buon partito si volsero a guai e sospiri da disperati; a cui rispondeva con eco amara il confortar che facevausi scambievolmente i Giudei e gli schiamazzi, che mettevano, d'allegrezza misti e di sdegno. Per poco in somma non ispogliarono Cestio di quante forze avea seco; se non che li soprapprese la notte, in cui i Romani si ricoverarono entro a Betoron, e i Giudei, occupati i posti d' intorno, ne custodivano ogni uscita. Disperato allor Cestio di continuare il cammino scopertamente pensò d'involarsi di là

colla fuga, e trascelti da quattrocento de' più coraggiosi soldati diputògli a guardare i fortini del campo con ordine, che montativi sopra colà piantassero le bandiere, che usavano le sentinelle negli alloggiamenti. Esso intanto col rimanente de' suoi cheto cheto avanzò trenta stadj di viaggio. Sul far del giorno i Giudei accortisi ch'eran vote le tende nimiche, corsero addosso a quei quattrocento, che avevanli tratti in inganno, e mortili prestamente si misero dietro a Cestio; ma egli e non poca strada avea guadagnata la notte, e col venire del giorno sollecitò con più fuga il cammino, talchè i soldati per lo spavento e timore, ch' entrò loro in corpo, lasciaron tra via e falconi e mangani e il rimanente dei loro ordigni, de' quali i Giudei, in cui mano vennero allora, si valsero poscia in danno di chi ve gli aveva lasciati. Or essi nell'inseguire i Romani pervennero fino ad Antipatride; indi, poichè non giugnevanli mai, nel dar volta che fecero, preser seco le macchine, spoglia rono i morti, ne menaron la preda rimastavi, e tra lieti canti si ricondussero alla metropoli, con perduti pochis simi affatto de' loro, ed uccisi tra di Romani e confederati quattromila pedoni, e trecentottanta cavalli. Tutto questo intravvenne l'ottavo di di novembre (50) all'anno dodecimo dell' impero di Nerone.

CAPITOLO XX.

Cestio manda ambasciadori a Nerone. 1 Damasceni passano a fil di spada i Giudei, che vivevan tra loro. I Gerosolimitani, inseguito Cestio, tornano in città, e messala bene in concio per la difesa creano assai capitani, tra' quali lo scrittore di que sta storia. Si dicono alcune cose dell' amministrazion di Giuseppe.

I. Dopo la disavventura di Cestio parecchi de' principali Giudei, quasi già per fortuna dovesse affondarsi la nave, spelagavano dalla città. Costobaro adunque e Saulo fratelli con esso Filippo figliuolo di Giacimo, tempo fa capitano delle truppe d' Agrippa, involatisi dalla città rifuggironsi presso a Cestio. Quanto si è poi ad Antipa una con essi assediato dentro il reale palagio, come non curatosi di fuggire venne poi da'ribelli tolto di vita, il diremo a suo luogo. Ora Cestio al pregarlo che fecero Saulo co' suoi li mandò in Acaja a Nerone, perchè l' informassero della lor fuga, e e tutta la colpa di quella rovesciassero addosso a Floro. Perciocchè collo sdegno, che accenderebbegli in petto contro di lui, sperava di menomare il suò rischio.

II. In questo i Damasceni, udita la rotta de' Romani, studiaronsi di trucidar que’Giudei, che vivevan fra loro; e siccome tenevanli (già era gran tempo) rinchiusi dentro il ginnasio, e ciò per sospetto de'fatti loro, sembrava agevolissimo terminare l'impresa: temevan però le lor

donne, tuttequante, salvo alcune poche, guadagnate alla religion de Giudei. Grandissimo però fu lo studio, che posero nel far sì, che non ne trapelasse loro notizia. Intanto avventatisi sopra i Giudei, perchè in luogo ristretto pe' diecimila, ch' essi erano, e tutti inermi, in un' ora sola li trucidarono tutti sicuramente.

III. Or quelli, che messo avevano Cestio in rotta, poichè fur tornati a Gerusalemme, trassero al lor partito que' tutti, che ancora romoreggiavano (51), usando con altri la forza, le ragioni con altri; e raccoltisi insieme nel Tempio crearono assai generali d'armata. l reggimento adunque di quanto aveva in città, e in particolar modo alla guardia delle sue mura furono diputati Giuseppe figliuolo di Gorione, e il pontefice Anano. Perciocchè ad Eleazaro figliuol di Simone, tuttochè in suo potere avesse la preda tolta a' Romani, e il denajo rapito a Cestio oltre assai delle pubbliche casse, pur nei bisogni presenti non diedero niuna soprantendenza, perchè scorgevano in lui un umor da tiranno, e ne' suoi partigiani un procedere da scarafaldoni. Benchè per altro non andò guari tempo, che parte il bisogno di denajo, parte gl'incantesimi d'Eleazaro ebbon per modo aggirato il popolo, che in ogni cosa stava a' suoi cenni. Altri generali trascelsero per l'Idumea, e furono Gesù figliuol di Saffa un de' pontefici, ed Eleazaro figliuol del novello pontefice; e a Negro governatore a quei tempi dell' Idumea, nativo d'oltre il Giordano (52), donde chiamavasi ancor Peraita, ingiunsero, che ubbidisse a' generali d'allora. Intanto non dimenticarono neppur l'altre provincie ma a Gerico fu spedito governatore Giuseppe

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figliuol di Simone, di là dal Giordano Manasse, nella signoria di Tamna Giovanni Esseo, a cui furo aggiunte Lidda, e Gioppe, ed Emmaus. Capitano della Gofnitica ed Acrabatene fu destinato Giovanni figliuol d' Anania, e dell'una e dell' altra Galilea (53) Giuseppe figliuol di Mattia (54). Al suo governo assegnòssi per giunta ancor Gamala la più forte tra quante città sono in quella provincia.

IV. Or ciascheduno de' generali anzidetti reggea la provincia a se affidata con quel più di prudenza e d'industria, che aveva. Giuseppe intanto rendutosi in Galilea volse i primi pensieri a legare a se gli animi de' paesani, sapendo, ch'egli trarrebbe a fine con ciò di gran cose, eziandio se parecchie altre gliene andasser fallite. Veggendo poi, che sicuro mezzo da guadagnarsi l'affetto de' grandi si era chiamargli a parte del suo potere, e quello di tutto il popolo comandargli per lo più colla voce de' suoi paesani e conoscenti, fatta da tutto il corpo della nazione una scelta di settanta vecchi de' più assennati, li costitui reggitori di tuttaquanta la Galilea, assegnandone sette a ciascuna città per giudici delle cause di minor conto: poichè gli affari più gravi e le cause capitali stabilì, che i settanta eziandio rimettessonle a lui.

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V. Ordinati così gli statuti cittadineschi da osservarli gli uni cogli altri passò ad assicurargli al di fuori; e antiveggendo, che i Romani entrerebbono in Galilea prese a fortificare i luoghi più opportuni, Giotapata, e Bersabee e Selamin, e Cafarecco, e Giaffa, e Sigof, e il monte detto Itabirio (55), e Tarichea, e Tiberiade.

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