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fatta intenzione non fu pienamente adempita, perchè solamente in alcuni tratti a ponente e a levante si coltivano le viti e alcune specie fruttifere.

Resta ancora a distribuire un'altra parte di terreni comu nali, nella regione del Paloni, che se non erro tienesi ancora in comune siccome prato.

I predi antichi sono cinti di siepe viva, e questa è più spesso di fichi d'India, che di piante di altra specie, che dovrebbero essere preferite all'opunzia, le cui foglie grosse, che in gran quantità cadono intorno, accrescono la mal'aria.

Vedesi con piacere che molti oristanesi abbiano intesa là utilità di tener chiusi i propri poderi; ma sarebbe assai desiderato che in questo non uscissero mai dalla linea delle prescrizioni del Governo, come fanno alcuni troncando le vie pubbliche e appropriandosi una terra che loro non fu

concessa.

Arte agraria. Tra' coloni de' paesi cereali forse gli oristanesi sono men periti e meno diligenti. Il complesso delle loró cognizioni è scarso e poco sincero, non sapendo altro che quello che odono da' più attempati ripetenti le parole degli antichi, le quali spesso sono massime false. Le solite operazioni di preparar la terra, e talvolta di concimarla, si fanno da tutti; ma poi sono rari quelli che fatichino perchè i seminati vengano prosperamente, e molti lasciano che le male erbe li soffochino.

Se al difetto di cognizioni si potrà un giorno o l'altro occorrere con lo stabilimento d'una scuola agraria pratica, quale si desidera in tutti i capoluoghi di provincia, come si farà a sollecitare i pigri alla fatica? È questa una impresa difficile in luoghi, dove è facilissimo il vitto per la benignità della natura in produrlo.

L'agricoltore riposa per poca ora entró la giornata per una leggera refezione, e solo cena in sulla sera, quando ritornando in casa trova fumante la zuppa. Esso non desina che nelle sole domeniche, e di mattino ama piuttosto il caffè, che i liquori.

Se il tempo è buono va al lavoro e ne ritorná a gambe e piedi nudi, e nei grandi calori copre il capo zazzeruto con un cappello di certa erba simile allo sparto, che dicono

aedda. Questi cappelli si fabbricano da'pastori e da'garzoni guardiani de' buoi.

I coloni proprietari conducono dei garzoni o servi per un anno, e si obbligano verso loro alla cerga, e si vuol dire a fornirli del necessario e ad una retribuzione in danaro (dai 15 ai 30 scudi), se pure non li ammettano in parte dell'aja, secondo i varii patti che si usano.

Monte di soccorso. Il fondo granatico del medesimo fu stabilito a starelli 2000, il nummario a lire 7510. Nell'anno 1843 essendosi fatta la ricognizione del monte il primo fondo era di starelli 1808 e imbuti 15, il nummario già di

sceso a zero.

Quando la prima volta aprissi questo monte di soccorso i suoi fondi non superavano gli starelli 997. 7. Nel 1761 era già cresciuto a starelli 1761, e molti poveri agricoltori poterono applicarsi al lavoro mercè cotesti soccorsi in semente e in danaro.

Quanti pigliano in prestito dal monte dovendo corrispon dere per ogni starello mezzo imbuto, ossia la trentaduesima, e per ogni cento lire l'uno e mezzo, avrebbe dovuto il monte per questi tenui aumenti aver in migliore stato il ' granajo e la cassa.

L'attuale diminuzione del granajo da che sarà causala se non può ripetersi dalla quota delle spese, cui va soggetta l'Azienda in favore dell'ufficio del Censorato generale per il diritto della centesima, e in favore del depositario in ragione dell'uno per cento sui grani misurati ed esistenti nel magazzino? Infatti, posto per ogni cento starelli l'aumento di starelli 3 e imbuti 2, se quindi sia detratta la centesima dell'ufficio generale è quella del deposito, dovran rimanere a beneficio del monte starelli 1 e imbuti 2.

Parimente l'annichilazione del fondo nummario da che sarà causata se non può ripetersi dalle contribuzioni, cui assoggettossi la cassa dell'azienda per l'università di Cagliari, per le avarie, per l'ufficio generale e diocesano, per stampati, per altri oggetti in servizio generale de' monti? Infatti il frutto del denaro essendo di lire sarde 112. 10 e non importando le suddette parziali più di lire sarde 30, dovea aversi un eccedente annuo di lire 62. 10.

Dal 1761 al 1843 gli annui aumenti se avessero ampliato il fondo nummario a starelli 3845, e cresciuta la cassa a lire sarde 11,600, quanto più prospera or sarebbe l'agricoltura, nella migliorata condizione degli agricoltori? Questi non dovrebbero sostenere il danno che devon patire ogni anno dall'avarizia degli usurai, e l'azienda avrebbe potuto avere un'edifizio proprio per serbare i grani e per tenervi così importante ufficio.

Si adducono da alcuni, come causa di siffatta diminuzione dell'azienda nummaria, certe straordinarie contribuzioni che furono imposte o per una o per altra cosa e nominatamente per la pubblicazione della storia naturale del Regno, per la formazione d'una carta del Regno e per l'edizione e incisione della Flora sarda e per le opere stradali..... Sarebbe desiderabile che questi fondi fossero più rispettati, e che l'eccedente fosse impiegato unicamente in bene dell'agricoltura, massime per scuole pratiche agrarie, per l'introduzione di nuovi articoli di cultura, e per premi a quelli fra' contadini che meglio d'altri studiassero sull'arte; tuttavolta è ragion di dire che dalle suddette quotizzazioni non poteasi cagionare lo sfondamento di cassa che abbiam notato, perchè se la diocesi intera di Oristano contribuiva prima lire sarde 1757. 10 e poi l. 7100, l'azienda di Oristano non poteva essere quotizzata che in una somma proporzionata,

Qui non lascierò di notare una cosa degna di considerazione. I diritti che si pagano all'amministrazione generale non essendo calcolati sui fondi esistenti, sia di grano, sia di danaro, ma sul fondo nominale, nel quale sono comprese tante parti inesigibili, però accade chè debbasi vendere dei grani per satisfare a quei diritti, e quindi vadano sempre decrescendo i fondi reali dei monti. Sarebbe certamente ben fatto se si facesse una liquidazione diminuendo la somma su cui si calcolano i diritti dei debiti arretrati inesigibili.

Seminagione. La ordinaria quantità delle sementi è come segue; fromento starelli 3000, orzo 600, fave 700, fagiuoli 80, ceci ed altri legumi 600, granone 60, lino 500.

Nel 1835 cominciarono alcuni, in vista economica, a usare i cavalli nei lavori agrari. L'esperienza fece molti imitatori. Gli aratri oristanesi sono piccoli e mal formati, e si può

dire che graffino, e niente più, la terra. Ripetono molti da tal difetto, se queste terre feracissime non diano quel frutto che potrebbero dare. Bastano nella primavera quindici giorni di siccità per li campi non umidosi perchè si debba augurare scarso il ricolto. Comunemente si semina a solco, come di

cono.

Vilazzoni. Una dicesi de' su Coddu, dalle sponde del Tirso verso Oristano; l'altra de'su Ungroni, nella regione limitrofa allo stagno di S. Giusta e al canale di Pesaria. La prima è fertile in tutte le sue parti, l'altra ha varii tratti che patiscono di salsedine e sono sterili.

Simile alla regione Su Coddu sono le nominate Sa Mestia, Su Paloni e Pardu-baccas.

La fruttificazione moltiplica le sementi del frumento a 10, dell'orzo al 12, delle fave al 15, de' ceci al 9 ecc., mentre in anni di disdetta, come avvenne nel 1843, in cui le troppo continuate pioggie disperdettero i seminati, si ebbero il 5 dal grano e dall'orzo, il 2 1⁄2 dalle fave, il 2 da'ceci ecc.

Tanta scarsezza di ricolto dipende da più cause, or dalla siccità, or dalle innondazioni e talvolta da altro. Le terre di gregori, che sono lietissime nella frequenza delle pioggie isquallidiscono inerti nella loro virtù produttiva se non piova: le terre di benagi che lussureggiano in tempi poco piovosi intristiscono in troppa copia di acque e in troppo ripetuti e prolungati diluvii, e perchè questi diluvii sono tanto frequenti quanto abbiam già notato, e la maggior parte della seminagione è ne' benagi, per questo avviene che le aje sieno di poca mole e i granai più capaci che sarebbesi voluto.

A intendere tutti i danni che gli oristanesi patiscono nell'escrescenza del fiume, devo aggiungere che morendo i semi e i germi per il soverchio umore deve il colono rifar la seconda e la terza volta il già fatto ripetendo il grave lavoro della seminagione. Susseguisse almeno una copiosa raccolta, ma scorron molti anni senza che egli possa rallegrarsi di un premio condegno delle sue fatiche, ora per altra innondazione, ed ora per la malignità delle nebbie che offendono le spighe fiorenti.

Non dimenticherò un'altra causa degli scarsi raccolti, poco frequente è vero, ma sovente più dannosa d'ogni altra, e 18 Dizion. Geogr. ecc. Vol. XIII.

sono le cavallette o locuste, le quali nell'immensa loro moltitudine consumano e recidono quasi tutte le spighe, siccome ultimamente accadde nel 1841, in cui un immenso nuvolo di siffatti insetti cadde, peggio di rovinosa grandine, sopra il territorio di Oristano e i luoghi prossimi. La città e i sobborghi furono invasi, invase le abitazioni, coperti i tetti, le piazze, le strade, e fu necessità di chiudere i pozzi con diligenza, perchè la copia de' medesimi non ne empisse il fondo e la loro corruzione non depravasse le acque.

Il guasto che si fece ne'campi, nelle vigne e ne' verzieri fu spaventoso; le voraci locuste struggevano tutto, non lasciavano una foglia verde, un segno di vegetazione, e la terra appariva in uno stato insolito, perchè non era come nell'inverno, nel qual tempo se gli alberi sono spogli di fronde, verdeggiano i seminati, e non era come nell'autunno, nel qual tempo se i campi sono squallidi verdeggiano gli alberi carichi di frutta mature o maturanti.

Comparivano questi animali negli ultimi dell'aprile, e restavano operando continui guasti fino al 18 maggio nello ́spazio da Uras a Oristano. Nel 22 caddero sopra la città e i borghi, crebbero sino al 26, e non scomparvero prima della metà di giugno. Dominava il levante alla prima invasione e continuò con frequenti pioggie ne' primi giorni per tutto il tempo della loro fermata. Quando prevalse il maestrale allora esse cominciarono a mancare e in breve sparirono, lasciando dolentissimi i coloni e i cittadini timidi di qualche epidemia, perchè per quanto si faticasse a coprire il putridume dell'immenso numero degli insetti, che morivano o naturalmente o per le offese umane, le braccia erano insufficienti all'opera.

Di essi alcuni aveano le ali macchiate in bruno e il corpo d'un forte giallo, altri erano tinti in rosso: e quando in sciami immensi si levavano a volo per andare a devastare alcuna delle regioni vicine sentivasi da lungi un lungo fremito per il battimento delle ali e un funesto ronzio.

Rispettivamente alla produzione del lino: un moggio di seme può produrre 15 òberas (fasci) di dodici manipoli, ed ogni obera, fatta la maciullazione, rende dalle 10 alle 15 libbre, secondo che l'erba, nella più o meno fausta stagione, sia più o meno cresciuta.

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