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druccio (1). Quel di Loreno, perciò che gli pareva d'aver perduto d'onore là onde speravane grande acquisto, da che nè i canoni da lui divisati sopra l'instituzione de' vescovi, nè il suo decreto sopra la residenza eran riusciti ad approvazione, anzi, in vece d'appianare la marea in bonaccia, avevano eccitata maggior procella : onde appunto col linguaggio degli scontentati, diceva che da indi innanzi non volea pigliare alcun carico, `ma far gli ufficii di privato che non rimarrebbe tuttavia di servire a'Legati dove potesse, intromettendosi con gli altri per la concordia. Il cardinal Madruccio non tanto attristavasi per la poca felicità del decreto, nel cui aggiustamento era stato egli collega del Lorenese, ben sapendo che a questo, come a principale architetto, ridondava la lode o'l biasimo del lavoro, quanto perchè gli era avviso d'esser negletto da'presidenti, e star quivi per poco in tal digiuno d'informazione, e in tal bassezza d'autorità, qual convenisse ad un ordinario vescovo, e non a un nobilissimo porporato.

(1) Lettere e scritture del Visconti al cardinal Borromeo de' 3, degli 11, e de' 15 di febraio 1563.

E troppo vedea rimanere oscura quella forma del suo intervenimento al concilio mirata in rispetto del cardinal tridentino suo zio, e del cardinal Pacecco in tempo di Paolo, anzi pure allora del cardinal di Loreno. Ma dove i lamenti del Madruccio eran brevi e in suon basso, come di addolorato, quei del Lorenese eran prolissi e ad alta voce, come di sdegnato, sì veramente che lo sdegno non violasse la modestia. Amplificava il disonore da lui sofferto: ma non tanto mostrava che gl'increscesse per privato, quanto per publico rispetto. Rammaricavasi del danno che portavano al papa con affettate diligenze a suo favore alcuni Italiani: significando, com'esplicò il Pelvè al Visconti, l'arcivescovo d'Otranto, il qual veramente parve smoderato e nel dire e nel fare, e più infaccendato che circuspetto. Alzava l' estimazione del suo potere, e del suo merito col papa; ma in sembianza di racconto, non di vanto, mentre narrava che gli ugonotti domandavano concilio nazionale, e che'l vi aveano invitato, mostrando essi, che con questo sarebbesi finita la guerra e racquetata la nazione: ma ch'egli l'avea

ricusato dicendo che ciò era illecito, mentre l'ecumenico stava aperto. Che in Francia erano ite di lui querele, perchè avesse operato rimessamente, e in particolarità sopra la dichiarazione, che la residenza fosse di ragion divina. Toccò l'andata, a cui s'apprestava, in Ispruch, accennando ciò ch'egli avrebbe potuto adoperar coll' imperadore. Affermò che l'unica via la qual conducesse il concilio a presto e prospero termine, sarebbe il soddisfare a' principi in poche cose, di cui rimarrebbon contenti, si come avea significato al pontefice mediante il Gualtieri, e massimamente intorno all'uso del calicea che sempre il cardinale s'era mostrato prono: el Gualtieri ne avea conteso (1) con lui, ricordandogli che non portavan questo parere tutti i Franzesi, e che 'l capo ecclesiastico della città capo del regno, cioè il vescovo di Parigi, vi si era opposto. Ora il cardinale, fermo in ciò, assertivamente prenunziava, che nè gl' imperiali nè i Francesi sarebbonsi mai quietati senza questa concessione, benchè il

(1) Appare da una cifera del Gualtieri al cardinal Borromeo, a' 17 di dicembre 1562.

concilio fosse dovuto prolungarsi due anni. E dall'altro canto dinunziava la sua partenza, ove non avesse fine alla Pentecoste.

Ritrovò il Visconti anche, secondo la consueta e infelicità de'principi, e infedeltà de'ministri, ch'era venuta al Lorenese la copia di varie lettere scritte in suo biasimo dalle persone di Trento al cardinal Borromeo, e non meno la contezza di varie segrete commessioni mandate da Roma a' Legati, e specialmente, che, sì come rapportammo, consentissero a mutare in altre le parole: la Chiesa universale. Ma questa contezza (1) fu come quella che dà il tuono del fulmine, cioè di cosa che fu, ma non è; però che il pontefice, ricevuto o più di lume, o più di cuore dalla opposita risposta de'Legati, aveva in quel tempo ricusato già di mandare il Breve chiesto da essi per loro perpetua giustificazione, con rivocare il comandamento, prescrivendo che in trattarsi dell'autorità sua, nulla meno o men chia

(1) Appare da due lettere del cardinal Borromeo a' Legati de'10, e de' 24 di febraio, e da una risposta de' Legati a lui de' 18 di febraio 1563.

ramente si dicesse di quanto dicono il sinodo di Fiorenza, e i concilii e i padri più antichi, anzi pure alcuni de'medesimi eretici, avendo scritto con questo titolo più volte al papa l'elettore di Brandeburgo. Ed aggiunse, che avea prontezza di mantener con lo spargimento del proprio sangue quelle prerogative della sede apostolica, le quali erano stabilité non solo con la dottrina, ma col sangue di molti santi. Più tosto, secondo gli ordini da se dati altre volte, si tralasciassero amendue le materie, cioè della giurisdizione episcopale, e della pontificale. Il qual nuovo mandato a'Legati mirabilmente soddisfece.

Per altra parte il Visconti raccolse dal cardinal di Loreno ed altronde, che i Francesi non sarebbonsi mai piegati alle già dette parole in favor della podestà pontificia nè valer con essi l'autorità del concilio fiorentino, come di celebratosi in concorrenza e in opposizione con quello di Basilea, il quale dall'accademia parigina era sostenuto.

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Nè avea trovato il Visconti molto ben disposto il nuovo ministro spagnuolo Martino di Gastelù, il quale stava in Trento

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