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cose ecclesiastiche fatti dentro a trent'anni, benchè confermati dalla sede apostolica, si dichiaran privi di valore, ove sieno a lungo tempo, o come in alcuni luoghi si dice, a ventinove anni, o a due volte ventinove anni, qualora il sinodo provinciale, o i deputati da esso li giudichino dannosi alla Chiesa, e contra i canoni.

12. Le decime si paghino interamente alle chiese alle quali toccano. Chi le sottrarrà, o le impedirà, si scomunichi, nè ottenga l'assoluzione se non dopo la restituzione. Sono esortati tutti ad una caritativa larghezza de frutti da loro ricolti verso que vescovi o parrocchiani che preseggono alle chiese più tenui.

13. Dovunque innanzi a quarant'anni la quarta de funerali solevasi pagare alla cattedrale, o alla parrocchia, e di poi era stata per qual si fosse privilegio applicata ad altro luogo pio, si rendesse a quelle intera

mente.

14. Non tengano i cherici ne in casa nè fuori o concubine o altre donne sospette, nè con esse abbiano veruna pratica, altramente sieno puniti secondo ragione: e se ammoniti non si emendano, levisi loro la terza parte

di tutte l'entrate ecclesiastiche, la quale dal vescovo sia applicata alla fabrica, o ad altro luogo pio. Se poi non ubbidiranno alla seconda ammonizione, perdano tutte le rendite isso fatto, e gli sospenda il vescovo, eziandio come delegato apostolico, dall'amministrazione de' benefici a suo arbitrio. Se tuttavolta continueranno, sieno privati in perpetuo di tutti i beneficii e di tutte l'entrate ecclesiastiche, e dichiaratine indegni e inabili nel futuro, finchè, essendosi manifestamente emendati, al vescovo parrà buono di voler con essi in ciò dispensare. Se di poi torneranno al peccato, si scomunichino. La cognizione di ciò appartenga a' vescovi, e non ad inferiori ecclesiastici, e possano in tali cause procedere senza strepito di giudicio. I cherici che non hanno entrate ecclesiastiche, sieno puniti con prigionia, con sospensione dagli ordini, con renderli inabili a'beneficii, e con altre pene. Se i vescovi cadessero in simil fallo, e ammoniti dal concilio provinciale non s'emendassero, divengano immantenente sospesi: e ove pur continuassero, sieno dinunziati dal sinodo al papa, il quale, secondo la colpa, li gastighi eziandio con la privazione.

15. Agl'inlegittimi figliuoli de'cherici è vietato l'aver beneficio, o l'amministrare in quella chiesa dove ministrino o abbiano ministrato i lor padri, ed anche l'aver pensione in beneficio che sia stato posseduto da essi. Se di fatto in tempo di questo decreto padre e figliuolo avevano beneficii nella medesima chiesa, il figliuolo risegnasse o permutasse il suo fra tre mesi, se no, isso fatto ne fosse privo. Sopra tali cose qualunque dispensazione si reputi surrettizia. Le risegne vicendevoli di beneficii tra padre e figliuolo s'abbiano per fatte in fraude di questo decreto e de canoni. Nè giovino a'figliuoli le collazioni seguite in virtù di tali risegne, o d'altre commesse in fraude.

16. I beneficii secolari che o per la pri ma instituzione o per altro hanno cura d'anime, non si mutino in semplici, nè anche trasportata la cura a un vicario perpetuo, non ostante qualunque grazia che non abbia conseguito il suo pieno effetto. In que benefici ove contra l'instituzione o la fondazione s'era trasportata la cura dell'anime ad un vicario perpetuo, se al vicario non era assegnata congrua porzione de'frutti, ella gli si assegnasse almeno fra un anno dopo il fine del

concilio ad arbitrio dell' ordinario, secondo il decreto di Paolo III. E se ciò non si potesse comodamente fare, o non si facesse per effetto fra un anno, tosto che vacasse o per morte, o per rinunziazione il beneficio o la vicaria, si riunissero secondo lo stato antico.

17. Riprendesi l'avvilimento de vescovi verso i ministri de principi, e verso i signori e i baroni. Si rinuovano tutti i canoni a favore della dignità episcopale. S'ingiugne si a loro, che in chiesa, e fuori trattino col decoro, e con la gravità di padri e di pastori, si a principi e agli altri, che rendano loro il paterno onore, e la debita riverenza.

18. Le dispensazioni da chi si sia non si concedano se non per grave cagione, e conosciuta maturamente la causa, e gratuitamente, d'altra maniera sieno tenute per surrettizie.

19. L'imperadore, i re, e qualunque altro signor temporale il quale concederà luogo a duello, cada nella scomunica. Se la terra che si concede per campo al duello, è data loro dalla Chiesa, ne perdano il dominio; se è feudo, ricaggia al padrone diretto. I duellanti, e i padrini incorrano nella scomunica, nella confiscazione di tutti i beni,

nella perpetua infamia, e sieno puniti come micidiali secondo i sacri canoni. Chi muore in duello sia privo a perpetuo di sepoltura ecclesiastica. Tutti quelli che daranno consiglio di ciò o in punto di ragione o di fatto, e che ne faranno suasione in qualunque modo, e anche i riguardatori, caschino nella scomunica, e nell'eterna maledizione.

20. Si fa una grave esortazione all'imperadore, e a tutti i signori, che mantengano le ragioni, e le immunità della Chiesa, e le facciano mantenere da loro sudditi, e da lor ministri. Si rinovano tutti i canoni e tutte le constituzioni fatte in pro della libertà, e della immunità ecclesiastica, e si confortano i principi ad operar sì che i vescovi possano risedere con dignità, e con quiete.

21. Si dichiara, che tutti i decreti fatti ne tempi o di Paolo o di Giulio, ò del presente pontefice intorno alla riformazione, e alla disciplina s'intendano, salva sempre l'autorità della sede apostolica.

Intorno a queste proposizioni fu maraviglioso consentimento. Solo la dichiarazione posta nel fine a due non piacque, richiedendo l'un di loro diverse parole in sua vece, e opponendo l'altro che era su

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