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posta nella torre di certi gentiluomini in Gubbio. Un'altra iscrizione più onesta, in un monastero di quella terra, gli era dedicata da un cardinale fiorentino a mezzo il secolo XVI

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Si fatte, e il sonetto al quale anche lo storico dell'italiana letteratura fidava miseramente (2)

sono

le prove della dimora lunghissima del poeta in quella città; mentr'esso e quanti primamente narrarono de' casi suoi lasciano a pena indizi a sospettare ch' ei talvolta vi fu. Raffigura fra l'ombre Oderisi,

́L'onor d'Agobbio, e l'onor di quell'arte
Che alluminare è chiamata in Parisi (3):

onde dianzi l'avea conosciuto; ma dove? e di certo assai prima dell' esilio. Dal consenso di tutti gli storici precedenti, Leonardo Aretino desunse« Che morto Arrigo VII, Dante povero assai dimorò per Lombardia, per Toscana, e per Romagna sotto il sussidio di vari Signori, finchè si ridusse a Raven

(1) Nelle Mem. per la vita di Bosone, e l'ultime delle iscrizioni nelle Mem. per la vita di Dante, pag. 112, nota (1). (2) Vol. V, pag. 484.

(3) Purg. x1, 79-81.

«

na (1). Il Boccaccio pur nomina le città una per una e le case ove Dante ebbe asilo; e giunto con la sua narrazione << a' monti vicino a Urbino,» parrebbe alludere a Bosone ed a Gubbio, se non dicesse espressamente che in que' monti «per alcuno spazio fu co' Signori della Faggiuola (2). » Se non che a tutti questi pellegrinaggi assegna l'intervallo d'anni fra la prima sentenza di bando del poeta, e la morte dell'Imperadore -« per la quale ciascuno, che a lui generalmente attendeva, disperatosi, e massimamente Dante, senza andare di suo ritorno più avanti cercando, passate l'alpi d' Apennino, se ne andò in Romagna, là dove l'ultimo suo di, che alle sue fatiche dovea por fine, l'aspettava. Era in quel tempo Signor di Ravenna, famosissima ed antica città di Romagna, un nobil cavaliere, il cui nome era Guido Novello da Polenta il quale seco per più anni il tenne, anzi sino all' ultimo della vita di lui (3).

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CXLVI. A questo solamente è da stare perchè, se non s'uniforma puntualmente, non però fa molto contrasto a veruno de' Toscani che o prima, o poi per cent'anni scrissero del poeta (4) perchè il Boccaccio parlava co'figliuoli e i parenti di Dante, e fra gli altri con un suo nipote di sorella, « uomo idiota; ma d'assai buon sentimento naturale, e nei suoi ragionamenti e costumi ordinato e laudevole: e maravigliosamente nelle lineature del viso somigliò Dante, ed ancora nella statura della persona (5)› finalmente, perchè i figliuoli di Dante non si

(1) Vita di Dante, pag 15-16.

(2) Ivi, pag. 27.

(5) Loc. cit.

(4) Qui dietro, sez. xi.

(5) Commento alla Commedia, vol I, pag. 67, St.

D

tosto fuori di puerizia, gli furono compagni d'esilin, nè potevagli venir fatto l'andare sempre vagando o con essi o senz' essi. Le meno ingannevoli fra le induzioni derivano a chi considera quanto i mortali possono fare umanamente, o non possono. Però credo senz'altro che Dante, domiciliato in Ravenna, mirando pur nondimeno a conciliarsi i suoi concittadini e provvedere alla sua famiglia, intraprese il Convito intorno al 1313; che da Ravenna sdegnò le condizioni indegne di lui proferitegli tre anni dopo; che poscia andò a Cane della Scala quando v'erano i signori ghibellini delle città di Toscana (1); che dimorò poco in Verona, e tornossi in Ravenna; e che dopo d'allora, finchè egli ebbe anima, stava vegliando sopra il poema, aggiungendovi i tratti più fieri a danni de' suoi nemici, trasfondendovi le sue passioni, e le sue speranze, e credendosi più sempre ordinato all'impresa dal cielo, e certissimo dell' immortalità del suo nome. Però nel libro della Volgare Eloquenza, che s'è mostrato il più tardo fra opere sue minori, esclamava: « Quant' onore questa lingua procacci a chi l'è fatto domestico, noi lo sappiamo, che per dolcezza di tanta gloria, non ci rincresce oggimai dell'esilio (2). >> -Davvero, LE MUSE SONO AMICHE DEGLI ESULI (3); e se Tucidide e Dante avessero scritto presso gli altari domestici, forse che la Divina Commedia, e la storia del Peloponneso sarebbero altre, e non parrebbero più che umane. La pertinacia stolida de' Fiorentini che non sapeva conoscere nè voleva ammansare quell' ingegno terribile, tolse un danno gravissimo dall' Italia

(1) Vedi dietro, sez. LXXXVIlI.

(2)

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Quantum suos familiares gloriosos efficiat nos ipsi novimus, qui, hujus dulcedine gloriæ, nostrum exilium postergamus » — Lib. I, 17. pag. 30.

(3) PLUTARCO, Opusc. de Exilio, verso il principio.

di allora, e da questa misera d'oggi, e più forse dalla futura, se verrà dì che il poema non insegni solamente a far versi. Ove Dante si fosse rappacificato co' suoi concittadini, non avrebbe potuto lasciare dopo di sè tante invettive contr'essi senza suo disonore (1); nè infierire con tanto ardore su le iniquità de' tiranni e de' preti, e de' demagoghi loro ciechi ministri. Ov'ei fosse morto in Firenze, avrebbero mutilata, se non distrutta, la sua grande opera. E se non moriva co' suoi figliuoli intorno al suo letto, sarebbesi smarrita fors' anche in Ravenna: e poco mancò.

CXLVII. E' pare che neppur Guido da Polenta fu messo dall'ospite suo dentro tutti i segreti della Commedia. Dante lo conobbe canuto, e forse l'amò; ma non l'aveva per meritevole delle sue lodi. Era stato esule ghibellino, e tornossi armato in Ravenna sino dall'anno 1275, quando la lega potente de' guelfi Bolognesi e delle città pontificie fu rotta e atterrita per lungo tempo da Guido di Montefeltro (2) - al quale il poeta annunziò poi nell' Inferno,

Romagna tua non è, e non fu mai
Senza guerra ne' cor de' suoi tiranni;
Ma palese nessuna or ven' lasciai.
Ravenna sta, come stata è molti anni:
L'aquila da Polenta la si cova,

Si che Cervia ricopre co' suoi vanni (3).

Il prossimo verso intorno a Cesena,

Fra tirannia si vive e stato franco,

sola città a pena libera dalle dittature militari, fa

(1) Vedi qui dietro, sez. XL.

(2) MURATORI, Annali d'Ital. (3) Inf. xxvi, 37-42.

scorgere il titolo di tiranno severamente applicato anche a quel da Polenta, che infatti si impadronì della patria cacciandone le antiche famiglie. Dante le deplora scadute in tutte le città di Romagna; e mostra a dito Ravenna

Ov'è il buon Lizio, e Arrigo Manardi,
Pier Traversaro, e Guido di Carpigna?
O Romagnuoli tornati in bastardi!
La casa Traversara, e gli Anastagi:

E l'una gente, e l'altra è diredata
Là, dove i cor son fatti si malvagi (1).

Onde l'Anonimo suo famigliare -I Traversari furono di Ravenna; e perchè, per loro cortesia erano molto amati da' gentili, e dal popolo, quelli da Polenta, occupatori della repubblica, come sospetti e buoni li cacciarono fuori di Faenza. Gli Anastagi furono similmente antichissimi uomini di Ravenna, ed ebbero grandi parentadi con quelli da Polenta; ma perocchè discordavano in vita e in costumi, li Polentesi, come lupi, cacciarono costoro come agnelli, dicendo che avevano loro intorbidata l'acqua (2). »

CXLVIII. Da commento sì fatto e dal testo che lo ha provocato, e più che mai dal silenzio perpetuo de' beneficii e del nome del Signor di Ravenna in tutti i libri del poeta, taluno forse desumerà ch'egli nacque ingratissimo. Altri il loda, « perchè nè parenti nè amici antepone alla verità, e com'ei dice nel Convito, se due sono gli amici, è uno la verità, alla verità è da consentire (3). » Il fatto era, che Guido mantenevasi in signoria

Mutando parte dalla state al verno (4).

Purg. xiv, 96-111.

(2) Chiose al Canto cit., Ediz. Fior., vol. IV.
(5) Parad. xvi, 118-120. Giunte degli Editori Fiorentini.
Inf. xxv, 51.

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