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26. Ditene dove la montagna giace,

Si che possibil sia l'andare in suso: Chè 'l perder tempo, a chi più sa, più spiace. 27. Come le pecorelle escon del chiuso

Ad una, a due, a tre; e l'altre stanno Timidette atterrando l'occhio e 'l muso; 28. E ciò che fa la prima, e l'altre fanno, Addossandosi a lei s'ella s'arresta, Semplici e quete, e lo 'mperchè non sanno; 29. Si vid'io muovere, a venir, la testa

Di quella mandria fortunata, allotta, Pudica in faccia, e nell'andare onesta. 30. Come color dinanzi vider rotta

La luce in terra dal mio destro canto, Si che l'ombr' era da me alla grotta; 31. Restàro, e trasser sè indietro alquanto; E tutti gli altri che venieno appresso, Non sappiendo 'I perché, fêro altrettanto. Senza vostra dimanda i' vi confesso

32.

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juro (Æn., VI). Enea a Didone: Per sidera juro, Per Superos, et si qua fides tellure sub ima est (Æn., VI). 26. (L) GIACE men erta.

(SL) GIACE. Georg., III: Tantum campi jacet. Inf., XIX, t. 12: Quella ripa che più giace.

(F) TEMPO. Seneca: Nulla più prezioso del tempo... le altre cose sono non nostre; nostro solo il tempo. 27. (L) ATTERRANDO: abbassando. 28. (L) 'MPERCHÈ perchè.

(SL) FA. Conv.: Se una pecora si gittasse da una ripa di mille passi, tutte l'altre le andrebbono dietro: e se una pecora, per alcuna cagione, al passare d'una strada, salta, tutte l'altre saltano, eziandio nulla veggendo da saltare. E i' ne vidi già molte in uno pozzo saltare, per una che dentro vi saltò, forse credendo saltare uno muro, non ostante che il pastore, piangendo e gridando, colle braccia e col petto dinanzi si parava. 29. (L) Si: cosi. LA TESTA i primi. · : ALLOTTA: allora.

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(SL) TESTA. Cronac. As. Montalcino: Marciando innanzi con una testa di cavalli. MANDRIA. Ott.: Dio non vuole se non della sua mandria. PUDICA. Delicato elogio a Manfredi ch'è della mandria; ma di lui, vivente, non vero.

30. (L) L'OMER'ERA DA ME ALLA GROTTA: il sole gli era a manca, la rupe a destra : l'ombra dunque verso la rupe. (SL) ROTTA. Più sotto (terz. 32): 'L lume del sole in terra è fesso.

31. (L) RESTARO si fermarono.

(SL) SAPPIENDO. G. Villani.

ALTRETTANTO.

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34. Cosi 'I maestro: e quella gente degna: Tornate (disse); intrate innanzi dunque, Co'dossi delle man facendo insegna. 35. E un di loro incominciò: Chiunque Tu se', così andando, volgi 'I viso; Pon mente se di là mi vedesti unque. 36. I' mi volsi vêr lui, e guarda' 'l fiso. Biondo era e bello e di gentile aspetto: Ma l'un de'cigli un colpo avea diviso. 37. Quand' i' mi fui umilmente disdetto D'averlo visto mai, mi disse: · Or vedi; E mostrommi una piaga a sommo 'I petto. 38. Poi disse sorridendo: I' son Manfredi, Nipote di Gostanza imperadrice. Ond' i' ti prego che, quando tu riedi, 39. Vadi a mia bella figlia, genitrice Dell'onor di Cicilia e d'Aragona,

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E dichi a lei il ver, s'altro si dice.

superate jugum. Georg., III: Superant montes. · --PARETE. Nei Salmi, muro sta per ostacolo qualunque sia (Psal. XVII, 30).

34. (L) TORNATE con noi. DELLE MAN FACENDO INSEGNA facendo indizio allungando la mano.

(SL) INSEGNA. Purg., XXII, t. 42: L'usanza fu li nostra insegna.

35. (L) UNQUE mai.

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(SL) SORRIDENDO della scomunica inutile, e per disporlo a fare la sua preghiera e per isperanza della gioia immortale. MANFREDI. Benvenuto da Imola: Corpore pulcher, probus et prudens et fuit pulsator, cantor, amator, joculator, et curialium et pulcrarum puellarum amicus.... Magnopere studuit contrahere et confirmare amicitiam fidelium imperii in Thuscia et Lombardia. GOSTANZA. Per Costanza anco il Boccaccio. Figlia di Ruggieri re di Sicilia, moglie dell'imperatore Arrigo VI, il padre di Federigo II, a cui Manfredi fu figliuolo illegittimo. E però dice un' antica postilla: E' non nomina l'illegittimo padre, ma si di Costanza.

39. (SL) FIGLIA. Altra Costanza, unico germe di casa sveva, moglie di Pietro re d' Aragona e madre a Federigo re di Sicilia, e a Jacopo re d'Aragona. Pietro d'Aragona, marito di lei, liberò la Sicilia da' Francesi l'anno 1282. Onde l' onor di Cicilia e d' Aragona non sono i due figli de' quali dirà male nel Canto VII, ma la conquista di Pietro marito di lei ed ella generò quell' onore, dandone occasione al marito. S' altri intendesse genitrice in senso proprio, de' due re, converrebbe interpretarla come ironia, che non parmi abbia luogo. Dal terzo Canto al settimo non è poi credibile che il Poeta mutasse opinione, come gli accade altre volte. [Gio. Villani, VI, 47 ; VII, 9; VIII, 48. Dante, de Vulg. Eloq., I, 12.]

40. Poscia ch'i' ebbi rotta la persona

Di duo punte mortali, i' mi rendei, Piangendo, a Quei che volentier perdona. 41. Orribil' furon li peccati miei;

Ma la Bontà 'nfinita ha si gran braccia Che prende ciò che si rivolve a lei. 42. Se 'l Pastor di Cosenza, ch'alla caccia Di me fu messo per Clemente allora, Avesse 'n Dio ben letta questa faccia; 43. L'ossa del corpo mio sarieno ancora

In co' del ponte presso a Benevento, Sotto la guardia della grave mora. 44. Or le bagna la pioggia e muove 'l vento Di fuor dal Regno, quasi lungo 'l Verde, Ove le trasmutó a lume spento.

40. (SL) ROTTA. Æn., IX: Pectora rumpit. Lucan., VI: Ruptas letali vulnere fibras.

41. (SL) ORRIBIL. Fu dissoluto e ambizioso, e dicesi uccidesse il padre Federigo e Corrado fratello (Vill., VI, VII); ma non è dimostrato.

42. (L) PER: da. - IN Dio nel libro di Dio.

(SL) CLEMENTE Quarto, che ricevè trionfalmente in Roma Carlo d' Angiò, vincitor di Manfredi. Vill., VII, 9: Perchè (Manfredi) era scomunicato, non volle lo re Carlo che fosse recato in luogo sacro, ma appiè del ponte di Benevento fu seppellito, e sopra la sua fossa per ciascuno dell'oste fu gittata una pietra; onde si fece una grande mora di sassi. Ma per alcuni si disse che poi per mandato del papa, il vescovo di Cosenza il trasse da quella sepoltura e mandollo fuori del regno, perchè era regno della chiesa: e fu seppellito lungo il fiume del Verde a' confini del Regno e di Campagna. L' Ottimo aggiunge che il Legato lo fece diseppellire per adempiere il giuramento fatto di cacciarlo dal regno. CIA. Simile figura nel Canto IX del Paradiso.

43. (L) Co': capo. MORA: mucchio.

-FAC

(SL) Ossa. Æn.; VI: Sedibus ossa quiérunt. 44. (L) A LUME SPENTO: cosi portavansi i corpi scomunicati.

(SL) OR. Æn., VI: Nunc me fluctus habet, ver

45. Per lor maladizion si non si perde,

Che non possa tornar l'eterno Amore, -Mentre che la speranza ha fior del verde. 46. Ver è, che quale in contumacia muore

Di santa Chiesa, ancor ch'al fin si penta, Star gli convien da questa ripa in fuore, 47. Per ogni tempo ch'egli è stato, trenta, In sua presunzion, se tal decreto Più corto per buon' prieghi non diventa. 48. Vedi oramai se tu mi puoi far lieto

Revelando alla mia buona Gostanza Come m' ha' visto, e anco esto divieto. 49. Ché qui per quei di là molto s'avanza.

santque in litore venti.

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VERDE. Tra la Puglia e la Marca: mette nel Tronto, non lontano da Ascoli. 45. (L) SI PERDE. Impersonale. MENTRE sino. HA FIOR DEL VERDE: punto vive.

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(SL) VERDE. Buonarroti: D' ogni mia speme il verde è spento. Psal. CXLIV, 19: Voluntatem timentium se faciel, et deprecationem eorum exaudiet: et salvos faciel cos.

(F) LOR. Non li nomina i suoi nemici, e non li chiama costoro: ma così in ombra, più li risparmia e più li condanna. PERDE. Maestro delle sentenze citato da Pietro: Talvolta chi è messo fuori è pure dentro. TORNAR. Ne' Salmi sovente convertere della misericordia di Dio.

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46. (L) QUALE: chiunque. - CONTUMACIA: separato. DA QUESTA RIPA IN FUORE: alle faldo.

47. (L) PER OGNI TEMPO CH'EGLI È STATO, TRENTA, IN SUA PRESUNZION: star fuori trenta volte il tempo che egli è stato in sua presunzione. PRIEGHI. Suffragi de' vivi.

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Una sorella della buona Costanza, la figlia di re Manfredi, fu moglie a Corrado Malaspina, l'antico ch'e' nomina nel Canto ottavo. E i Malaspina erano lontani parenti di Dante: onde questi avrebbe avuti vincoli d'affinità con la casa di Svevia, se detta casa viveva. Di qui anco l'affetto pio che Dante dimostra alla memoria di lui; ma più alle credenze politiche; e credenze le chiamo, perchè tali erano le speranze del Poeta nel potere e nel volere della casa di Svevia, e d'altri tali. Non si dica però che il verso Biondo era e bello e di gen

tile aspetto sia concesso all'amore di parte, e molto meno a rettorica eleganza; dacchè il guelfo Villani de' Tedeschi dice: Belli uomini e di gentile aspetto, che vale nel senso antico non già leggiadro, ma nobile. E notisi come singolarità storica, dagli storici trasandata, che Elena, figlia d'un Michele despota d'Epiro (questo titolo ci viene di Grecia, come tiranno), moglie a Manfredi, altrimenti nominata nelle cronache, gli portò in dote Corfù ed altre terre, ond'egli ebbe titolo di duca di Romania, titolo comune con quello Stefano

Dusciano di Serbia che tanta parte dell' impero greco aveva con le sue armi occupata. E Manfredi imperatore accademico, che aveva un po' del tedesco e un po' del francese, condito con dell'italiano, avrà con questo matrimonio, come i conquistatori sogliono, inteso di fare un negozio: e le sue mire tendevano fino a Bisanzio. Dopo la rotta di Benevento, Elena chiudesi in Nocera co' Saraceni, e per opera di frati travestiti, messi di Clemente, è data a Carlo, e rinchiusa in un castello per anni sei; muor di trenta.

Orribili, dice Dante, i peccati di re Manfredi : parola in tal bocca di grave senso, e che se non giustifica tutte le accuse date al Ghibellino da' Guelfi, lascia imaginare più di quello che dice. Se non che l'idea che succede della misericordia divina, idea cosi degnamente significata, onora in doppio modo l'anima del Poeta, ed è condanna tanto più forte quanto più mansueta, alla crudele severità de' nemici. Bene aveva Dante e letto e inteso le parole del Profeta, che non senza perché l'Autore della nuova legge ricorda: Non vo' la morte del peccatore, ma ch'e' si converta... e ch' e' viva (1). E i Salmi: Soare il Signore a tutti, e le misericordie di lui sopra tutte le opere sue (2). E ne' Treni: Buono è il Signore a chi in lui sperano, all' anima che cerca lui (3). E Isaia: Lasci l'empio la sua via, e l'uomo ingiusto i suoi pensieri, e ritorni al Signore, ed egli avrà misericordia; poichè Iddio nostro è grande al perdono (4). Il Grisostomo citato da Pietro: La pietà di Dio non dispregia mai il penitente. Nel Convivio nomina le braccia di Dio (5), che è voce biblica; come l'ombra delle ale (6); ma non come il Foscolo dice: Le ale del perdono di Dio. Tommaso, ragionando dell'infinita bontà, muove a sè l'obbiezione, che il bene consistendo nel modo, nella specie e nell'ordine; siffalte idee non paiono convenire con quella dell' infinito; e risponde: che le idee di modo, di specie e d'ordine appartengono al bene creato; ma il bene è in Dio come in causa, ond'egli impone alle cose il modo e la specie e l'ordine, che sono in lui come in principio, ma nè lo limitano ne vengono limitate (7).

Sapeva Dante che anco de' buoni può essere la sepoltura vietata (8), e rammentava forse le parole d'Agostino (9): Corpori humano quicquid impen

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(1) Ezech., XXXIII, 11. (2) Psal. CXLIV, 9. Vǝggasi tutto il salmo CII, pieno dello spirito di misericordia cristiano, e tra' più be' passi della Bibbia, cioè tra più alti di tutta la poesia di tutti i popoli e i secoli. (3) Thren., III, 25. — (4) Isai., LV, 7. — (5) Il Montaigne: Il n'est rien si aisé, si doux, et si favorable, que la loi divine.... Elle nous tend ses bras, et nous reçoit en son giron, pour vilaines, ords et bourbeux que nous soyons, et que nous ayons à l'étre à l'avenir. - (6) Psal. XVI, 8; XXXV, 8; LVI, 2. (7) Som., 1, 6.- (8) Som., Sup., 71. (9) De cur. pro mort. ag.

ditur, non est præsidium salutis, sed humanitatis officium. E qui giova recare le belle parole del Supplemento alla Somma, le quali dicono cose e più vere e più alte e più liete, e però più poetiche, de' Sepolcri del Foscolo: La sepoltura fu trovata e pe' vivi e pe' morti; pe' vivi, non gli occhi loro dalla sconcezza de' cadaveri sieno offesi, e i corpi dalle esalazioni ammorbanti. Ciò quanto al corpo; ma spiritualmente altresì giova a' vivi, in quanto così si rafferma la fede nella risurrezione. A' morli poi giova in questo, che gli uomini riguardando i sepolcri, ritengono la memoria dei defunti, e orano a Dio per èssi: onde il monumento prese nome da memoria, come dire ammonimento (1). Fu errore de' pagani che al morto la sepoltura giovi acciocchè l'anima di lui abbia pace. Ma che la sepoltura in sagrato giovi al morto non diviene dall'opera in sè, ma dall'animo dell'operante, in quanto o il defunto o altri disponendo la sepoltura in luogo sacro, la commette a patrocinio e alla speciale preghiera di qualche santo, e all'amore e alle preghiere di quelli che servono al sacro luogo, che pe' quivi sepolti in più special modo orano e più di frequente. Quelle cose poi che usansi all'ornamento de' sepolcri, giovavano a’vivi, in quanto che sono ad essi consolazioni: e possono anco a' morti giovare non di per sè, ma in quanto per que' segni gli uomini sono eccitati a commemorare e compiangere, e quindi a pregare; od in quanto da quel che è dato alla sepoltura o i poveri ricevono frutto, o la chiesa ne riceve a' suoi riti decoro, e la sepoltura viene ad essere tra le elemosine annoverata. E però gli antichi Padri curarono della sepoltura de' corpi proprii a fine di dimostrare, che i corpi de' morti cadono anch'essi sotto le leggi della divina, e però dell'umana provvidenza; non già che i corpi morti abbiano sentimento, ma per raffermare la fede nella risurrezione (2). Onde volevan anco essere nella terra di promissione sepolti, ove credevano che Cristo nascerebbe e morrebbe, autore della risurrezione nostra. E perchè la carne è parte dell'umana natura, naturalmente l'uomo alla propria carne ha affezione: e per questo istinto il vivente ha una certa sollecitudine di quel che sarà del suo corpo anche dopo la morte, e si dorrebbe se presentisse che quelle spoglie avessero a patire cosa non degna. E però coloro che amano l'uomo, conformandosi all'affetto di lui che amano, intorno al corpo suo adoprano le cure che insegna l'umanità. Perchè, come dice Agostino (3), se la veste o l'anello del padre o altra tale memoria, è tanto più cara a’ discendenti quanto maggiore è stato l'affetto loro verso di quello, non sono da non curare i corpi

(1) Aug., de Civ. Dei, et lib. de cur. pro mort, ag. (2) Aug., de Civ. Dei, I. — (3) Ivi.

stessi, i quali tanto più famigliarmente e più congiuntamente che veste o adornamento, portiamo. Onde colui che seppellisce, col soddisfare all'affetto del defunto, ch'e' non si può soddisfare da sè, dicesi che in certa guisa gli faccia carità. E all'uomo stesso non buono la sepoltura in luogo sacro non nuoce se non in quanto egli intese fare a sè sepoltura non degna per gloria vana (1).

I riti sepolcrali sono in tutta l'antichità cosa sacra; e gran parte dell' epopea e del dramma greco, e dell' epopea virgiliana, s'aggira intorno a' sepolcri. Non dirò dell'ode oraziana ad Archita, la quale avrebbesi a tenere come un'esercitazione giovanile, se forse non è accenno a fatti ignorati da noi: il che del resto sarebbe scusa, ma non si potrebbe convertire in bellezza. L'ode però attesta anch'essa la religione de' sepolcri; e come il pio uffizio reso agli estinti credessesi ridondare in merito a' vivi, e il negletto in grave pena (2), e al trasgressore e a' suoi figli innocenti. In Virgilio, Mezenzio stesso, il disprezzatore degli dei e lo sfldator della morte, con parole che vanno all'anima prega il suo vincitore gli conceda sepoltura allato al figliuolo diletto e lo salvi dall'ire superstiti de' suoi nemici: Corpus humo patiare tegi : scio acerba meorum Circumstare odia: hunc, oro, defende furorem; Et me consortem nati concede sepulcro. Hæc loquitur, juguloque haud inscius accipit ensem... (3). Ma i versi a cui in questo Canto di Dante s'accenna, sono: Hæc omnis, quam cernis, inops, inhumalaque turba est... centum errant annos, volitantque hæc litora circum. Tum demum admissi stagna exoptata revisunt (4). E l'altro ancora: Distulit in seram commissa piacula mortem (5).

I dare in pena della presunzione contro la Chiesa moltiplicato per trenta nel Purgatorio il tempo dell'indugio per salire all'espiazione desiderata, è idea conforme alla pena della presunzione giudaica; che per quaranta giorni d'indocilità stettero quarant'anni gli ebrei nel deserto (6). Severo a que' ch'egli credeva o frantendessero i precetti della Chiesa o li violassero, il Poeta dimostra verso la Chiesa stessa pietà riverente e punisce gl'inobedienti. Qui parlasi della presunzione verso la Chiesa; ma quanto alla presunzione in genere, quest' è la dottrina della Somma, dottrina al solito sapientemente temperata di severi e di miti pensieri Siccome per disperazione altri dispregia la divina misericordia a cui la speranza

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s' appoggia; così per la presunzione dispregia la divina giustizia che punisce i colpevoli: siccome la disperazione è avversione da Dio, così la presunzione è inordinata conversione ad esso. Par ch'ella importi certa smoderatezza nella speranza. Or l'oggetto della speranza è un bene arduo ma possibile. E possibile è all'uomo la cosa in due maniere l'una per virtù sua propria, l'altra per sola virtù divina. Nell'una e nell' altra speranza, se smoderata, può essere presunzione. Chi troppo spera di sè, ha presunzione contraria alla magnanimità; troppo spera della virtù divina e pecca di presunzione chi pretende avere perdono senza penitenza, e senza meriti avere gloria. Appoggiarsi alla virtù divina per volere ottener da Dio quel che a Dio non conviene, gli è un detrarre alla divina virtù (1). Peccare con proposito di persistere nel peccato con la speranza del perdono è presunzione: e questo aggrava il peccato; ma peccare con isperanza di perdono ed insieme con proposito di astenersi dal peccato e pentirsene, questo scema il peccato perche dimostra volontà meno ferma in esso. presunzione è peccato minore della disperazione, perchè è più proprio a Dio usare misericordia e perdono, che punire, per la sua infinita bontà (2).

La

Il Canto spira freschezza e quiete come di sera estiva serena; e qui, come sovente, cade la lode del Tasso: Dante agguaglia quasi Omero nell' accurata diligenza di descrivere le cose minutamente. Cade segnatamente nella comparazione delle pecorelle, che nessuno avrebbe forse osato dedurla con accuratezza tanto minuta, perchè pochi saputo con si schietta e conveniente eleganza. Qui viene il bel verso: Pudica in faccia, e nell'andare onesta (3); e nel principio evvi quell' altro: La fretta, Che l'onestate ad ogni atto dismaga (4). Che rammenta quegli altri: Genti v'eran con occhi tardi e gravi (5). E nel muover degli occhi onesta e tarda! (6) Duo vecchi in abito dispari, Ma pari in atto d'onestade sodo (7). Tommaso: All' onestà e gravità nuoce la fretta (8). Seneca tradotto da un antico: Sia il tuo andare senza disordinamento. Il Boccaccio, di Dante: Era il suo andare grave e mansuelo.

(1) Som., 2, 2, 21. (2) Som., 1. c. (3) Terz. 29.(4) Terz. 4. (5) Inf., IV. - En., I: Pietate gravem ac meritis.-(6) Purg., VI. — (7) Purg., XXIX. — (8) Som., 1, 2, 102. Onestà e nella Somma e in Dante e in que' del suo tempo e di poi ha senso più pieno che ne' moderni, i quali per essa appena intendono l'astinenza dalle furfanterie. La Somma (2, 2, 83) Onesto chiama l'intelligibil bellezza che noi propriamente diciamo spirituale. Som., 1, 2, 101: Le cose che fannosi al culto di Dio debbono avere onestà, orrevolezza e decoro. Nel Convivio, onestà vale decoro virtuoso. Sacchetti: Senza alcuna pompa, che piuttosto tenea costume e apparenze con onestà di grande cittadino, che di signore.

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CANTO IV.

Argomento.

Salgono per via malagevole. Virgilio spiega perchè 'l sole lo ferisca da manca, mentre che, se fosse nel nostro emisfero, lo ferirebbe a dritta. Non poetica esposizione, ma notabile per le vinte difficoltà dello stile. Trova delle anime che aspettano di purgarsi, perch' hanno, per pigrizia, differita la conversione all'estremo: onde tanto aspettano, quanto vissero impenitenti.

Le aridità filosofiche e geografiche sono compensate dalla pittura dell' erta e de' pigri sedenti. E' movono Dante

:

al sorriso la prima volta ch'e'rida. L'altra sarà alle parole di Stazio: l'uno sorriso di sdegno, l'altro d' affetto; le due ale di Dante. Nel Purgatorio le passioni decrescono s'innalzan gli affetti.

Nota le terzine 6, 7, 9, 11, 12, 17, 18, 19, 21, 24, 30, 31; 55 alla 36; 58 alla 44, con l'ultima.

1.

Quando,

uando, per dilettanze, ovver per doglie Che alcuna virtù nostra comprenda, L'anima bene ad essa si raccoglie,

2. Par ch'a nulla potenzia più intenda: E questo è contra quello error, che crede Ch' un' anima sovr'altra in noi s'accenda.

3. E però, quando s'ode cosa o vede

Che tenga forte a sè l'anima volta, Vassene 'l tempo, e l'uom non se n'avvede: 4. Ch'altra potenzia è quella che l'ascolta, E altra è quella che ha l'anima intera: Questa è quasi legata, e quella è sciolta. 5. Di ciò ebb' io esperienzia vera,

Udendo quello spirto, e ammirando
Chè ben cinquanta gradi salit' era

1. (L) QUANDO, PER DILETTANZE, Ovver per Doglie... : quando per piaceri o dolori che una potenza dell'anima abbracci in sè, l' anima in quella potenza si concentra, le altre paiono inoperose.

(F) [DILETTANZE. Som., 1, 118, 2]

2. (SL) INTENDA. Conv., I, 14: Dirizzano si lo loro animo a quello... che ad altro non intendono.

(F) UN'ANIMA. Som.: L'una operazione dell'anima quand'è intesa, impedisce l'altra: il che non potrebbe accadere se il principio delle azioni non fosse per essen

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