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quasi subito dopo la morte di Adelaide. Egli è vero che i Torinesi in tutti i predetti casi dovettero cedere alla forza maggiore, e mostrarsi cọn calma obbedienti ai loro despoti, ma fu calma foriera della tempesta; perocchè, spento appena l'odiato Burcardo, risolvettero nuovamente di viver liberi, e non guari andò che poterono colorire con loro gloria il proprio disegno, e mantenere per assai tempo la loro autonomia, come diremo fra poco.

In quel frattempo il sommo pontefice Urbano II attraversò il Piemonte, soffermossi alquanto in Torino, ed indi si condusse in Francia per ivi dirigere la grande crociata, che avea per iscopo di scacciare gl'infedeli dalla terra santa : nell'autunno dello stesso anno 1096 discese per le torinesi alpi nella subalpina terra un esercito condotto da valorosi baroni; il quale sotto la bandiera della croce recossi nella Puglia, e dopo avervi passato l'inverno, se ne partì nella primavera del 1097, muovendo alla volta della Palestina. In tanta agitazione d'uomini e di cose il giovine principe di Savoja Umberto I, figliuolo di Amedeo II, apprestavasi anch'egli come gli altri Principi suoi coetanei alla santa guerra; ma gli sconvolgimenti che sorsęro in Piemonte lo impedirono di mandare ad effetto que' suoi pensieri.

Frattanto la contessa di Torino Agnese II, perduto il consorte Burcardo, ed anche il proprio figliuolo Pietro II, più non potendo rimanere in questa capitale, per causa de' politici rivolgimenti, ritirossi in un monastero di donne, soggetto all'abate di Fruttuaria, ed ivi terminò la sua mortal carriera. La madre di lei Agnese I, consorte di Pietro I, in sì difficili emergenze non trovò scampo migliore che quello di ricoverarsi presso Alice o Adelaide I sua secondogenita, sposata al marchese Bonifacio di Savona, il quale, dopo la morte della grande Adelaide, divenne colla forza dell'armi padrone del Piemonte occidentale dall'appennino Ligure insino al Po, ed eziandio del meridionale dallo stesso appennino sino al Tanaro. Qui vuolsi notare che l'imperatore Arrigo IV ritornando in Borgogna, e passando per la Savoja, dimostrò al conte Umberto II com'egli fosse irritato contro il ribelle suo figliuolo Corrado; e fu pertanto facile allo stesso conte Umberto l'ottenere da lui l'investitura della

marca di Torino, e perciò del cospicuo e contrastato ́re-' taggio dell'illustre Adelaide.

Mentre accadevano siffatte cose, l'autorità sovrana erasi inaridita nelle mani deboli degli Imperatori e Re. L'Italia trovavasi lacerata e divisa tra mille tiranni usurpatori degli attributi della sovranità: trovavasi divisa in varii partiti, che la sottomisero ad un tempo a più d'un Re, che ingenerarono maggior barbarie, fecero declinare il rispetto delle leggi, e quasi in ciascuna terra trapiantarono un tirannello. Le città italiche languivano nella universale oppressione dilaniate da' loro despoti a nome dell'impero. Gli antichi privilegi delle medesime e i buoni usi erano conculcati. La loro popolazione iva decrescendo; il loro commercio soffriva tutti i pericoli della procellosa anarchia. Tutto era inazione e tirannide. Ora l'interesse di conservarsi diè finalmente forza agli abitatori delle città italiehe, e massimamente alle più ragguardevoli della Lombardia e del Piemonte: riunirono essi, favoreggiati dalle circostanze, gli avanzi del loro vigore; scossero una volta il giogo che gli opprimeva, ed alle stesse provincie, da cui erano usciti i loro oppressori, diedero il grande esempio di liberarsi dai tiranni.

In questa guisa le città italiane divennero corpi politici. Tutti i cittadini acquistarono successivamente la libertà civile, ed un'influenza ne' pubblici affari. Il popolo della campagna dianzi attaccato alla terra da lui coltivata, e di cui, come istrumento di essa, accresceva il valore, riacquistò anch'egli la libertà per via dell'affrancamento, la cui difficoltà d'ottenersi il dimostrava inconciliabile col sistema feudale.

Prime ad uscire di servitù erano state le città marittime, più danarose per cagione del traffico, e meno esposte alla rapacità e alle estorsioni dei governatori, e alla prepotenza dei grandi, i quali non potevano così di leggieri involare ai mercatanti di mare i loro danari e le loro merci, come i frutti delle terre ai posseditori. Genova, Lucca e Pisa nelle oscure e scarse memorie del secolo xi compariscono già governate a comune; e ben presto sorsero ad imitarne l'esempio le città poste nel seno e nel centro della Lombardia

e del Piemonte. E tutte comunemente le città italiche si veggono dopo il mille far leghe e guerre e paci tra loro a guisa di stati liberi, senza riguardo alcuno nè all'imperatore, signor Comune, nè a chiunque pretendesse di reggerle a nome dell'impero; e tutte comunemente guardarono il regno d'Arrigo IV come il tempo dell'acquistata loro libertà. Il governo libero ed uguale che queste città stabilirono, umiliando l'insolente potenza de' nobili, agevolò finalmente a pro di tutti gli ordini del popolo il ritorno de' diritti di proprietà che esso già da varii secoli aveva perduti. Ottenne ciascun individuo un'esistenza politica eccitatrice dell'industria e della popolazione; onde vieppiù s'accrebbe la forza della società. Per la qual cosa, dopo questa rivoluzione, che è una delle più grandi epoche onoranti l'umanità, la potenza temporale de' prelati, de' conti e de' vassalli venne decadendo in proporzione che cresceva la potenza delle italiane repubbliche. Tutti quei tirannotti o castellani poco a poco furono sottomessi dalle città rivendicatrici de' loro antichi territorii, oppur eglino credettero meglio di sottoporsi, e di buon grado si sottoposero all'inevitabile dipendenza dai comuni. Quindi cessarono infiniti abusi, perchè le loro castella più non riguardavansi per un asilo de' delitti, o per un asilo oppressore di chi era costretto a rifuggiarvisi. Quindi la faccia delle provincie ricoperta dianzi da quei despoti, i quali per lo più per usurpazioni particolari avean moltiplicate le loro fortezze, e adunatovi a gara il maggior numero di gente su cui signoreggiavano indipendentemente da conti urbani, versò nelle città i nobili, e ciò che più rileva, molti uomini languenti nell'inazione, che poi divennero utili cittadini. Cessarono quindi le massime arbitrarie e militari, perchè vi succedettero leggi costanti e conosciute da tutti: le comunità si assodarono coll'impegno di tutti i loro membri per la loro vicendevol difesa. Ritornarono a comparir tra gli uomini la pulizia, le arti, l'industria, a misura dei progressi della ragione e dello spirito, e si preparò lentamente il sistema politico, di cui ora godiamo.

Il Sigonio ritarda l'epoca dell'autocrazia delle città italiche sino all'anno 1106; egli ne ritrova il primo esempio ne' Milanesi, e stabilisce il principio della loro repubblica dall'es

sersi fatti a risolvere colle armi le controversie che componevansi per l'addietro colla sentenza del Re, e che quindi su questa norma le altre città modellarono le loro repubbliche. Ma nè questa fu l'origine delle italiane repubbliche, nè la rivoluzione dei Milanesi nel 1106 era stata la prima di questa specie. Le carte pubblicate dal Muratori, che ci danno un fermo stabilimento di una piena libertà e di alto dominio nelle città italiane, sono tutte posteriori all'epoca fissata da Sigonio, e ci portano verso la metà del secolo xır. Ma le città anche innanzi avevana di già forma di repubblica, e fecero pubblici trattati. Esse bensì vi si prepararono di grado a grado col favore delle loro consuetudini e prerogative, riconosciute ancora dal ré Arrigo IV : noi · pensiamo che gli sforzi delle città per sottrarsi validamente dal giogo dell'impero siano a un di presso incominciati in un medesimo tempo, perchè la cagione e l'oggetto della rivoluzione era comune in tutte le città, e quasi le medesime circostanze agevolarono ad un tempo a tutte l'esito felice della memorabile rivolta, che già quasi da un secolo andavasi preparando.

Da un pregievolissimo trattato del 1098 tra il conte Umberto di Savoja ed i consoli astesi apparisce, che necessariamente già prima di quell'anno la città d'Asti avea scosso il giogo del suo conte, e s'era posta in libertà, come pure avea fatto la città di Torino. Ad Umberto II, figlio di Amedeo I, grandemente premeva di cattivarsi l'amicizia degli Astesi, ricchissimi allora e possenti; epperciò fece con loro un trattato di alleanza contro il marchese di Savona Bonifacio, il quale pretendeva all'eredità della grande Adelaide; ed inoltre fece al comune d'Asti larghe concessioni per favorirne il commercio negli stati suoi, e donò anche varie terre all'astèse mensa vescovile. Il documento che parla di tali doni e concessioni è forse il primo, in cui i consoli italiani compariscano con quella pubblica autorità, che li rendette poscia così celebri nella nostra penisola. Ivi si vede, che gli astesi consoli trattarono col principe Umberto Il come tra pari e pari.

Non v'ha dubbio che in quel torno anche la città di To, rino governavasi a foggia di repubblica, che erasi creati capi

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tanto militari, quanto civili, e sulle vestigie che le rimane vano ancora delle instituzioni e delle leggi romane si elesse consoli e stabili senati, cui diede il nome di consigli ; si armò, si fortificò, e si pose in istato di vigorosa difesa. Trasse i suoi consoli da diversi ordini de' cittadini; sicchè ognuno partecipasse del governo, comecchè altri alla pubblica amministrazione, altri alla privata giustizia presiedevano. Sembra che i primari magistrati di Torino, dopo l'acquistata libertà, lasciassero partecipare alquanto alla loro giurisdizione il vescovo, e che la loro elezione fosse dal medesimo confermata, ed invero sino ai tempi di Federico I si tollerò per lo più dai liberi municipii cotesta potenza episcopale ; massimamente perchè essa non faceva che secondare le dispo→ sizioni dei magistrati e del popolo.

Due consigli vi furono stabiliti; uno grande che rappre-. sentava l'intiera popolazione per gli affari più rilevanti e relativi all'interesse generale; l'altro piccolo, che in alcune città chiamavasi di credenza, in altre dicevasi consiglio degli anziani, o de' silenziarii, o de' savi, e questo provvedeva ai quotidiani bisogni. S'ignora qual numero di consoli venisse stabilito in Torino ; chè in alcune città vi si trovavano solamente in novero di tre, ed in altre di ́sei, o di dodici : erano eletti ad amministrare per un tempo determinato i pubblici affari di politica e di giustizia : i primi venivano detti consoli del comune, e provvedevano ai giornalieri emergenti del governo, marciavano alla guerra, negoziavano i trattati e le confederazioni; ma nulla di ciò potean fare senza l'assentimento dei due predetti consigli. I secondi consoli venivano chiamati de' placiti, vale a dire dei giudizii. Per riguardo alle elezioni dei magistrati è da osservarsi, che nessun elettore poteva proporre alcuno de' suoi stretti congiunti. L'eletto ad una carica, prima di entrare nell'esercizio della medesima, dovea prestar giuramento di comportarsi durante il suo uffizio con fedeltà e rettitudine. Le principali elezioni erano quelle che riguardavano la nomina dei consoli, quella dei personaggi che dovevano comporre il consiglio maggiore e quella dei savi formanți il consiglio, a cui era principalmente commesso l'interno governo della città.

In Torino, come nelle altre città divenute libere, gli ar

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