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nostre castella, il castello detto Pedrès e il castello di Buonvicino, quello di Terranova, di Ardara e di Capula co' loro termini, territori, diritti e pertinenze; le quali castella furono e devon essere nostre, appartennero e devono appartenere a Noi: e ricusando ancora iniquamente di rendere a Noi con grave danno dell'anima vostra, e vilipendio e dispregio nostro, i frutti, i redditi, i proventi e gli altri diritti, che portano, e facendone ogni vostra volontà: ora convenendo che voi secondo il dritto, l'equità e la retta ragione, e secondo le anzi riferite autorità, rendiate a Noi o a chi ne piacerà indicare le prenominate castella co' frutti già percepiti e che si eran potuti percepire dal tempo della occupazione e della usurpazione, nè ulteriormente le ritenghiate se volete evitare il peccato della ingratitudine e il delitto di maestà; però nel miglior modo noi vi ammoniamo, e formalmente comandiamo, che restituiate o facciate restituire a Noi le predette castella con le loro pertinenze e i frutti che si ebbero e si poteano avere, senza dilazioni morose, senza eccezioni frustratorie, senza scuse; altrimenti, se voj in questo sarete negligente e tardo, Noi con tutta forza e rigore procederemo contro voi e i vostri beni, e il nostro diritto rimarrà intero, e voi porterete la pena delle azioni vostre insane e imprudenti. Diciamo che alla presentazione e relazione della presente Noi diamo e intendiam dare piena autorità a Guglielmo di Apiaria, cursore della nostra cura e nunzio giurato a quest'effetto. Dat. nel castello di Cagliari addì 8 giugno dell'anno del Signore 1335 ».

Mariano poco commosso dal comando e dalle minaccie rispose che la prima capitolazione doveva essere osservata, e il re più fortemente irritato esecrando le inique condizioni della pace di Alghero, che diceva infida ed infame, comandò a Pietro d'Exerica e a Bernardo Cabrera che marciassero con le loro genti sopra le terre arboresi.

Mariano accorse a questi e accaddero alcune scaramuccie, nelle quali gli aragonesi perdettero un certo re mauro, vassallo di Pietro, e Berengario Monros.

Nello stesso tempo altri capitani del re operavano contro gli alleati di Mariano, Artaldo di Pallas contro i trecentani, sudditi dei pisani, che molto erano contrari al governo ara

genese; Bernardo Cruillas, governatore del Logudoro, con Sampero, capitano delle milizie di quella provincia contro Matteo Doria, ma le parti nemiche non s'impegnarono mai sériamente.

In questo essendo i genovesi compostisi in pace còi veneziani, e potendo soccorrere a Mariano e confortarlo nella lotta, Pietro credette meglio di inclinar l'animo alla pace, e mandati al giudice con pieno potere Lupo Gurrea, Fran cesco de Perellos e Berengario Dalms, si convenne nel v. degli idi di luglio in queste condizioni: Che il giudice pagherebbe tre mila fiorini; cederebbe al re le castella di Buonvicino, Pedrès, Urisa (Orosei) e le altre terre della Gallura; il re lo restituirebbe nei feudi di Matero e Gelida; che le castella di Ardari e Capula vendute a Mariano da Damiano Doria, il Castel genovese, quel di Roccaforte e l'altro di Caramonte, possedute da Matteo Doria sarebbero consegnate o all'arcivescovo di Arborea, o al vescovo di Uselli, finchè il papa Innocenzo giudicasse a chi spettassero di diritto.

Questi articoli essendo stati segnati, si ristabilì l'ordine, Mariano e Matteo Doria promisero la loro fedeltà, e Timbora, ritornata con Ugone in presenza del ré, le fece per il ma rito gli onori della riverenza.

Mariano riposo sino al 1364, quando ripiglio le armi contro gli stranieri.

In quest'anno Urbano V, sdegnato gravemente contro il re di Aragona, trattò nel concistoro di privarlo del regno di Sardegna, e questo concedere a Mariano. Ma per lettera di Ferdinando di Eredia avvisato a tempo Pietro, che avea nel bisogno dopo i dispendi cagionati da tante guerre occupato i beni della camera apostolica e i frutti dei beneficii di quegli ecclesiastici che non risiedevano ne' suoi regni, scrisse al Papa per scusare il fatto, cui avealo indotto la necessità, e domandò e ottenné il perdono.

Continuando il giudice nella guerra occupò la massima parte dell'isola, e agivà da sovrano; a che era confortato da Pietro re di Castiglia, da cui gli si rappresentava l'opportunità di impadronirsi di tutto il regno, mentre l'aragonese, comune loro nemico, era impigliato in molte e gravi guerre Bella Spagna.

Nel 1365 Mariano occupava la città di Sellori, Villaiglesias e molte altre castella, guerreggiando senza tregua contro gli aragonesi. In uno dei più forti fatti d'arme cadde Alibrando de Sena col suo figlio, capitani distinti di Arborea. I sardi aderivano tutti a Mariano, quelli ancora che erano nelle possessioni che i pisani avevano ancora in Sardegna, e si univa a lui Salebro Doria dopo avere spento il proprio

zio.

Nel 1566 il Re rivolse la sua attenzione alla Sardegna, e provvide perchè Mariano che minacciava di occupar tutto il regno fosse arrestato ne' suoi progressi. Olfo da Procida veniva mandato da lui con la flotta, e Ugone di Santapau raccoglieva nell'isola fanti e cavalli per comporre con le genti del conte di Chirra, con Berengario Carroz, con Branca Doria e col governatore del Logudoro un esercito sufficiente a far fronte al Giudice. Cagliari e il castel della Fava ebbero aumento di presidio, e molte genti d'arme si disposero nella Gallura e in Alghero, dove comandava Giovanni Carroz. Il Giudice essendo più forte di gente teneva in grande apprensione i nemici.

Nell'anno 1367 Mariano volendo far colpi decisivi, forse espugnando Cagliari e Alghero domandò ad Americo Visconte di Narbona, marito di Beatrice sua figlia, di mandare a' suoi stipendi una compagnia di quei guerrieri di ventura, che erano in quelle regioni; ma il re essendone stato avvisato pregò con sue lettere il Visconte suddetto e il re di Francia perchè non permettessero che nessuna truppa uscisse da' loro stati in servigio di Mariano.

Quando il re ebbe tolto all'arborese quelle armi mercenarie pensò di aumentare le sue, e nella primavera del 1368 mandò Pietro de Luna, governatore del regno, con un forte esercito. E qui crebbe questo a maggior numero non solo per le genti che Berengario Carroz avea nell'isola già ben addestrate nella guerra, ma ancora per quelle che i fratelli Sanna Lorenzo e Giovanni di Figulina, distinti capitani a servigio del re, raccolsero, e per le squadriglie che comandava Pierro Pinna di Minutada.

Pietro De Luna, sentendosi assai forte per tentar il colpo che meditava, mosse contro Mariano, e accampatosi alla

parte orientale della città tra la chiesa di s. Maria Maddalena e lo stagno di s. Giusta cominciò a minacciar l'eccidio della città se gli oristanesi non si sottomettessero.

Mariano attese intanto l'ora felice, e quando vide gli aragonesi, nella troppa confidenza che aveano nel numero e nel proprio valore, negligenti e sbandati trasse dalle mura le sue genti, e invadendo il campo nemico sparse il terrore ed ebbe un facilissima vittoria. Restaron molti aragonesi uccisi nella mischia, tra'quali il capitan generale, Pietro De Luna col suo fratello Filippo e con Pietro Pinna, e si fece gran numero di prigionieri, anzi si disse che nessuno sia potuto scampare alla morte o alla prigionia.

De' prigionieri più distinti una parte fu scambiata coi cento arboresi che il re aveva statici, gli altri, con poche eccezioni, furono senza riscatto rimessi in libertà.

Mariano proseguì nell'anno seguente la sua fortuna: espupugnò il castello d'Osilo, uno dei più forti e per la robustezza delle mura e per la natura del luogo, e quindi fece una scorreria contro Sassari.

Il re in tanto pericolo mandò Pietro di Averso con la sua flotta nell'isola, destinò capitano generale il conte di Chirra, Berengario Carroz, tentò di scemare gli alleati al suo nemico, e ottenne per mezzo di Dalmazio Jardin governatore del Logudoro di richiamare alle sue parti Brancaleone Doria, al quale però diede conferma di tutti i feudi e in dimostrazione della sovrana benevolenza la real insegna, che in quel tempo era un'ancora.

Ma gli arboresi non si conteneano da nessun timore ed osarono assalir la rocca di Acquafredda nei salti di Siliqua, ch'era un castello sopra uno scoglio ripidissimo. Se Berengario di Enteça, che vi comandava, non avesse adoperato tutto il suo ingegno militare, il vessillo d'Arborea sarebbesi senza dubbio levato su quelle torri sublimi.

L'impeto di Mariano non si calmò nè pur all'annunzio che nel giorno dopo la Risurrezione era stato eretto in Barcellona il real vessillo e pubblicato il privilegio che sarebbe conceduto a quelli che armati seguissero il re, come si costumava quando imprendevasi una guerra gravissima. Proseguendo dunque i suoi trionfi, era ricevuto dai... sassaresi

nella loro città, e potea stringer d'assedio il castello, dove con Berengario Carroz alcaide erano Giordano Tolar vicario pella città e Sancio Ximene d'Ayerne cavaliere aragonese. Gli assediati molto patirono per i frequenti assalti e i morbi morendo fra gli altri il d'Ayerne; e dovettero finalmente capitolare.

Il dominio degli aragonesi in Sardegna pareva alla súa fine non solo per le vittorie di Mariano, ma per la discussione che era tra il conte di Chirra, capitano generale, e il governatore di Cagliari, la quale potè impedire, come dice il Fara, che il re differisse di venir con l'esercito in Sardegna; ma questa determinazione restò segreta, perchè non cadesse l'animo de' suoi catalani e aragonesi, sostenuto dalla speranza del prossimo ausilio; nella quale li confortò Giasperto Campolungo, regio tesoriere, venuto nell'isola a preparar per la guerra.

Nell'anno seguente 1370, Pietro per ritenere la Sardegna che sfuggivagli di mano, mandava il siciliano Benvenuto Graffeo, barone di Partana, con alcune navi per vettovagliare i cagliaritani e gli algheresi, e comandava che le quattro principali castella, che gli restavano, di Acquafredda e Giojosa Guardia nel Ciserro, di s. Michele presso Cagliari e di Chirra fossero ben muniti.

I regi legati Francesco Villarosa e Giacomo Finellero poterono in questo persuadere Brancaleone Doria a muover guerra agli arboresi, e questi nella primavera usciva da castel genovese seguito da molte genti, invadeva le terre di Mariano, le saccheggiava e venuto alle mani con le di lui genti le sconfisse.

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A questo vantaggio del re seguiva uno svantaggio per la ribellione di Lampanto de' Lampanti cittadino di Stampace, contro la quale ebbe a operare Alberto Zatrilla governatore di Cagliari e di Gallura.

La speranza che in quest'anno venisse il re cadea per la guerra che scoppiò tra lui ed Enrico.

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Nel 1371 le cose degli aragonesi in Sardegna erano per la violenza degli arboresi cadute così basso, che restavano appena in potere degli aragonesi Cagliari e Alghero con alcune castella

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