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In questo tempo fu portato prigioniero in Oristano Manuele de Entexa figlio di Ponzio Ugone, fratello bastardo dell'Infante Teresa, madre del re Pietro.

Non potendo il re effettuare il disegno di sua venuta in Sardegna, e non sapendo altro modo a trattenere le armi arboresi, diede consiglio a Brancaleone che patteggiasse un armistizio con Mariano forse con la promessa di trattar la pace. Il giudice consentì nella tregua, e il Re usò del tempo per approvigionare le rocche di Cagliari e di Alghero, e per procurarsi nuove forze, avendo mandato il conte di Chirra in Avignone per invitare Benedetto Walter gentiluomo inglese, capo d'una masnada di avventurieri, di passare in Sardegna co' suoi capitani e le genti d'armi.

In questo tempo Brancaleone Doria riconciliossi con Mariano, e ne ebbe in moglie la figlia Leonora.

Il Walter acconsentì, e decorato del titolo di conte d'Arborea venne nell'isola col conte di Chirra, Berengario Carroz, con Olfo da Procida, Filippo Lamberto di Villachiusa, Ludovico Hos e Raimondo Oggero di Pontsorga.

Nell'anno seguente il Walter presentossi in campo a lottare con Mariano; ma tanto valse la sua sperienza militare contro il suo avversario, quanto il valore degli inglesi valse contro gli arboresi, che non retrocessero d'un passo a'conati di quelli.

Nella primavera del 1375 i genovesi armarono quaranta galee, e le caricavano di gente per dare ajuto agli arboresi. Il re Pietro muniva però di altre genti d'arme la rocca di Alghero.

Se in quest'anno i genovesi non fecero ostilità contro gli aragonesi le fecero poi nell'altr'anno prorompendo in aperta guerra senza una causa evidente. Operando di concerto genovesi e arboresi oppugnarono Lapola, sobborgo marittimo di Cagliari, ed essendosene impadroniti strinsero di così dura ossidione il castello e Stampace, che ridussero agli estremi i cittadini: se non che scongiurò l'estremo destino da una parte la virtù di Gilberto di Cruillas, sostituito dal Re in capitano generale del regno dopo la morte di Berengario Carroz; dall'altra la fede di Brancaleone Doria che sostenne Alghero contro gli sforzi e le arti d'altri arboresi e genovesi.

Tra gli aragonesi, che meglio meritarono del Re in tanto pericolo, fu Bernardo Dusay cagliaritano, il quale per le molte sue azioni di valore contro Mariano e gli arboresi fu rimunerato con la concessione in feudo di varie terre nelle curatorie di Dolia e di Nuraminis.

La condizione de'cagliaritani assediati dagli arboresi facevasi più spaventosa, essendo premuti di grave penuria e mancando di armi per munire le castella di Chirra, Acquafredda, e Giojosa guardia, e si venne a tal punto che il governatore del regno deliberò co' cittadini di Cagliari, che ove non fossero soccorsi e si facesse più duro il tormento dell'inedia abbatterebbero le mura, incendierebbero le case e salvandosi nel continente supplicherebbero il Re a non sdegnarsi del loro fatto.

Ugone di Arborea incrociando con alcune galee sul porto di Cagliari e di Alghero dava grandissimo affanno a' catalani e facea tornar indietro le navi cariche di frumento se non lé potea predare, e finalmente avrebbe spinto a quella fatale risoluzione gli assediati se il regio viceammiraglio Francesco di Averso assalendolo e fortemente combattendo non lo costringeva alla fuga e a salvarsi dentro il porto d'Oristano.

In quell'anno la pestilenza invadea la Sardegna, e fra le molte vittime che si dovettero deplorare la più compianta fu lo stesso Mariano.

Ugone che già era stato addestrato nel governo e molto aveva operato in terra e in mare combattendo contro gli aragonesi, prese le redini del governo e continuò con lo stesso accanimento la guerra, fermo nel proposito di esimersi da un superbo padrone e liberare tanti popoli sardi dal gravissimo giogo degli stranieri.

Durava ancora a questi giorni la prigionia di Giovanni d'Arborea e del suo figlio, e quindi diventò più dura di maniera che i due infelici nella esasperata crudeltà de' trattamenti dovettero finalmente succumbere.

Benedetta d'Arborca, figlia di Giovanni e di Sibilla Moncada, per grazia sovrana succedeva al padre nella signoria della città di Bosa e del suo distretto. I figli che ebbe da Giovanni Carroz, fratello del Berengario che abbiam veduto ne' primi ufficii politici e militari del regno, quando questi morì domandarono per se lo stato di Chirra.

Stabilitosi Ugone nel giudicato, e ordinato il governo secondo il suo pensiero, si volse nel 1377 con tutto l'animo alla guerra contro gli aragonesi, occupò tutti i paesi dello stato di Chirra, quindi pensò ad affermare la sua dominazione sulla città di Sassari, pubblicando gli statuti che furono poi sempre osservati, e ponendovi podestà e vicario suo Giacomo de Atene. Egli muniva ancora il castello di Osilo.

Il duca d'Angiò, fratello del re di Francia Carlo V, contendendo col Re d'Aragona per la successione al regno di Majorca, e volendo giovarsi contro l'avversario della potenza di Ugone, mandavagli una solenne ambasciata per stringer seco l'alleanza. Ugone accettò l'alleanza, e permise che il Duca traesse dal suo stato molti balestrieri ed altre soldatesche, e fece pubblicare questa alleanza nella chiesa maggiore della città in presenza di tutto il popolo.

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Il Re che conosceva il valore di Ugone mandò alcuni suoi confidenti facendogli grandi proferte se lo potesse dividere dal Duca; ma Ugone non volle nè pure udire gli ambasciatori, mentre il Duca poco sincero nel tempo che si allegava con lui facea patti col Re, e poi poco fedele nell'esecuzione neglesse di adempire agli obblighi che avea assunti.

L'Angioino sentendosi un'altra volta nella necessità degli ausili di Ugone mandogli due altri ambasciadori i signori Mignon di Rochefort e Guglielmo Cayan.

Essendo questi giunti alle porte della città aspettarono finchè il giudice concedesse di lasciarli entrare. Andati al suo cospetto esposero il desiderio del loro committente di contrarre una novella alleanza, e la domanda della di lui figlia al figlio del Duca che ancora vagiva nella cuna; e Ugone avendo rimproverato a'medesimi la mala fede del loro signore ne'primi patti, rifiutò la domanda di sua figlia, già da marito, come un blandimento grossolano; quindi dal vescovo cancelliere fece nella gran sala, dove erano radunati i cherici ed i cittadini delle diverse classi, rispondere a' medesimi che con un alleato, che avea mancato la prima volta a' suoi doveri, egli non volea più patteggiare.

Nel 1578 Urbano VI sdegnato gravemente contro i procedimenti poco rispettosi del re Pietro, e credo per la stessa ragione per cui il Pontefice quinto dello stesso nome era

stato in sul punto di esautorarlo, pensò di rigettar il recidivo e porre in suo luogo sopra la Sardegna.

Anche questa volta il Re fu avvisato a tempo, e avendo fermata con pochi cambiamenti la pace già stipulata co'genovesi sotto l'arbitramento del marchese di Monferrato, libero da ogni timore dalla parte della repubblica volle fare un gran sforzo e deliberò di passare in Sardegna con una numerosa flotta, confidando che questa volta sarebbe più fortunato, perchè avrebbe trovato minore resistenza dalla parte de’sardi, e che molti de'più potenti signori d'Arborea si sarebbero uniti a lui.

Siffatta fiducia di Pietro posava nell'odio che Ugone col suo aspro governo e le maniere tiranniche aveva concitato contro di sè, perchè i popoli oppressi stimando che meno soffrirebbero sotto la dominazione degli stranieri faceano voti per la venuta del Re.

Presto cominciò la defezione, e primo ad abbandonare le parti di Ugone e darsi al Re fu Valore de' Ligia d'una delle più illustri e antiche famiglie della Sardegna, imparentata con la casa di Arborea. Il Re l'accolse, e volendo con la mu nificenza allettare gli altri gli fece concessione delle terre del Goceano ed altre, sebbene Valore siasi dovuto contentare del solo titolo e abbia continuato a esserne possessore Ugone.

Avendo Pietro raccolto un grandissimo esercito nel 1579 disegnò di invadere l'Arborea, e questa ridotta in sua podestà di passare nella Sicilia; però nominava ammiraglio della flotta Bernardo Cabrera: ma alcuni fra' consiglieri suoi, che egli più stimava per il senno, essendo contrari alla guerra Siciliana, e ne' dibattimenti essendo trascorsa la stagione, nella quale le truppe avrebbero potuto guerreggiare in Sardegna senza pericolo della sanità, non si fece nè pure l'impresa sarda.

La smania del Re alla distruzione della casa d'Arborea andò poi mitigandosi e non più si parlò della spedizione. Ugone non fece cosa alcuna memorabile in guerra negli anni 1380-81-82, ma ebbe assai che fare per reprimere le ribellioni de' suoi sudditi, i quali verisimilmente erano concitati da' fautori degli aragonesi.

Formossi finalmente nel 1585 una congiura contro Ugone

da' principali di Arborea, si propose la mutazione dello stato in quella forma, che piace a uomini stanchi della tirannia, e quando venne il giorno fissato allora eccitatași una sedizione per chiamar fuori Ugone, quando questi si presentò per reprimere gli audaci fu mortalmente ferito, e subito fu proclamata da' principali congiurati la repubblica.

Comechè il Re avesse dei partigiani nell'Arborea non pertanto i più detestando quanto il superbo impero de' Giudici, tanto la tirannica dominazione degli stranieri, proclamarono la libertà.

Il Re quando seppe questa novità comandò subito una spedizione e nominò capitano generale dell'esercito Ponzio di Senesterra.

L'occupazione della provincia arborese parve ancora più facile dopo che Brancaleone Doria, personaggio di grande autorità nell'isola per la sua potenza, e che era rimasto sempre fedele al Re dopo la riconciliazione, giunse alla corte, e promise di ridurre tutta l'isola sotto la sua obbedienza se concedesse l'eredità di Mariano alla sua moglie ed a' figli, Pietro per stringerlo anche più alla sua causa lo armava cas valiere, lo fregiava del titolo di conte di Monteleone, e gli facea dono del dipartimento della Marmilla.

Sperava Pietro che i ribelli una volta vinti cesserebbe finalmente la guerra con cui gli arboresi da tanti anni tentavano annullare la dominazione aragonese, epperò molto fu dolente quando seppe la deliberazione del senato arborese, che ove non potessero conservare la libertà si commetterebbero alla fede e nella clientela della repubblica di Genova. e affrettossi a mandare al papa ambasciadori Guglielmo di Estaymbos ed il dottore Matteo Clemente, uditore del sacro palazzo e consigliere aulico, perchè vietasse che i genovesi s'impadronissero della Sardegna stata data in feudo alla cos rona di Aragona dalla S. Sede.

Qui Leonora, figlia di Mariano e moglie, come notammo, di Brancaleone Doria, sperando nulla in suo favore dalla parte del Re, e non soffrendo di veder lo stato di Arborea in potere degli uccisori del suo fratello, radunò i vassalli di suo marito e quegli arboresi che erano rimasti fedeli alla sua casa, e indossate le armi scese, come è tradizione, dal castello di

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